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Sentenza

Il giudice, nel liquidare le spese di lite, non può scendere al di sotto dei min...
Il giudice, nel liquidare le spese di lite, non può scendere al di sotto dei minimi previsti dal d.m. n. 55 del 2014.
Cass. civ. Sez. II, Sent., (ud. 05/07/2023) 05-09-2023, n. 25847

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice - Presidente -

Dott. FALASCHI Milena - Consigliere -

Dott. SCARPA Antonio - Consigliere -

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere -

Dott. CAPONI Remo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23561/2018 proposto da:

A.A., difeso dall'avv. Mauro Longo;

- ricorrente -

contro

Roma Capitale, difesa dall'avv. Sergio Siracusa;

- controricorrente -

nonchè Agenzia delle Entrate - Riscossione;

- intimata -

avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 3000/2018 depositata l'8/02/2018;

Ascoltata la relazione del consigliere Dott. Remo Caponi, nella camera di consiglio del 5/07/2023;

Ascoltate le osservazioni del P.M., il Sostituto Procuratore Generale Fulvio Troncone, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

A.A. proponeva dinanzi al Giudice di pace di Roma convenendo in giudizio Roma Capitale ed Equitalia opposizione al precetto ex art. 615 c.p.c., comma 1 avverso una determinata cartella esattoriale di pagamento di una somma di circa Euro 1850. In primo grado l'opposizione veniva accolta con condanna di Roma Capitale a Euro 143 di spese di lite (Euro 100 per onorario e Euro 43 per spese). Su appello dell'attore che lamentava l'esiguità degli importi liquidati, il Tribunale di Roma accoglieva il gravame e liquidava Euro 160 per il primo grado e Euro 260 per il secondo grado.

Ricorre in cassazione l'attore con un motivo, illustrato da memoria. Resiste il Comune di Roma. Cass. 41436/2019 ha rimesso la trattazione del ricorso dalla sesta sezione alla pubblica udienza per difetto di evidenza decisoria.
Motivi della decisione

1. - Con l'unico motivo si censura l'erronea liquidazione delle spese del giudizio. Si deduce violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè del D.M. n. 55 del 2014.

Il motivo è fondato.

Il ricorrente argomenta che la sentenza impugnata ha liquidato incongruamente le spese di lite violando sia il criterio di ragionevolezza che deve presiedere a ogni decisione giurisdizionale, sia la normativa vigente in materia. Sotto il profilo della violazione del canone di ragionevolezza si osserva che il giudizio di primo grado si è articolato nel deposito del ricorso introduttivo al quale è seguita un'unica udienza. Il giudizio d'appello, invece, si è svolto con la notifica ed iscrizione a ruolo dell'atto di citazione e con la partecipazione a un'udienza.

Il ricorrente considera il numero di ore impiegato per l'espletamento delle suddette attività ed osserva che le spese liquidate dal giudice non integrano neanche la "paga oraria al minimo sindacale per attività prive di alcun apporto intellettuale". La violazione del canone generale di ragionevolezza integra dunque una violazione dell'art. 36 Cost. viziando la sentenza. Sotto il secondo profilo, la sentenza impugnata è viziata per illegittima decurtazione delle spese legali liquidate rispetto a quanto stabilito dal D.M. n. 55 del 2014, come modificato dal D.M. n. 37 del 2018.

Il controricorrente obietta fondamentalmente che i valori minimi di liquidazione per fase, previsti dal D.M. n. 55 del 2014, sarebbero sproporzionati rispetto al valore della domanda in primo grado e all'unico motivo di appello, in considerazione del carattere "snello" dell'attività professionale svolta.

2. - Il ricorso è fondato sotto il profilo della violazione dei parametri minimi ex D.M. n. 55 del 2014 (restando così assorbito il primo profilo fatto valere dal ricorrente).

Come ha argomentato la giurisprudenza di legittimità più recente (cfr. 9815/2023, in un caso di specie che vedeva come intimate sempre Roma Capitale e l'Agenzia delle Entrate), nella liquidazione del compenso il giudice è chiamato dal D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1 a tenere conto dei valori medi determinati dalle tabelle allegate al decreto. Essi possono essere aumentati fino al 50% ovvero diminuiti in ogni caso non oltre il 50% e sono soggetti ad aggiornamento biennale L. n. 247 del 2012, ex art. 13, comma 6.

Rileva in particolare la previsione che i parametri medi non possono essere diminuiti oltre il 50%, senza eccezione ("in ogni caso"). Tale inderogabilità dei parametri minimi è stata espressamente introdotta con una modifica apportata dal D.M. n. 37 del 2018. Anteriormente si prevedeva che nella liquidazione non si potesse scendere di regola al di sotto del 50% nella diminuzione rispetto ai parametri medi. Su questa base testuale si argomentava che la quantificazione giudiziale del compenso e delle spese fosse espressione di un potere discrezionale. Se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, la liquidazione non richiedeva un'apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, mentre il giudice era tenuto a motivare la decisione di aumentare o diminuire gli importi da riconoscere, ulteriormente rispetto ai massimi ovvero ai minimi. L'unico limite rigido, ma a sua volta determinato attraverso concetti elastici, era dettato dall'obbligo di non ledere il decoro professionale con l'attribuire una somma scarsissima (meramente simbolica). Cfr., tra le altre, Cass. 28325/2022.

Tale orientamento non può essere più seguito per le liquidazioni sottoposte al regime del D.M. n. 55 del 2014, così come modificato dal D.M. n. 37 del 2018. In forza della ricordata modifica, non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore al 50% dei parametri medi. Il legislatore ha deciso di circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso o le spese processuali e di garantire così (cioè, attraverso una limitazione della flessibilità dei parametri) l'uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale.

Da ultimo, tale intenzione legislativa ha trovato un'ulteriore espressione nella L. n. 49 del 2023 in materia di equo compenso delle prestazioni professionali, ove l'art. 1 dispone che "per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale", nonchè - per gli avvocati - conforme ai compensi previsti dal decreto del Ministero della Giustizia L. n. 247 del 2012, ex art. 13, comma 6 (cioè, attualmente, il D.M. n. 55 del 2014). Si prevede inoltre (all'art. 3) che "sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all'opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d'opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della Giustizia ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6 per la professione forense".

Su questa base e con l'integrazione ex L. n. 49 del 2023, si conferma il principio di diritto già enunciato da Cass. 9815/2923: salvo diversa convenzione tra le parti (adottata nel rispetto della L. n. 49 del 2023, art. 3), ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, così come modificato dal D.M. n. 37 del 2018, non è consentito al giudice di scendere al di sotto degli inderogabili valori minimi, predeterminati da tale decreto e aggiornati a cadenza periodica L. n. 247 del 2012, ex art. 13, comma 6.

3. - Il ricorso è accolto, la sentenza è cassata, la causa è rinviata al Tribunale di Roma, in diversa composizione, cui è demandata altresì la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia la causa al Tribunale di Roma, in diversa composizione, cui demanda altresì di liquidare le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 5 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2023
Avv. Antonino Sugamele

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