In caso di scontro tra veicoli, l'applicazione della presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054, comma 2, c.c.è una regola sussidiaria
Cass. civ., sez. III, ord., 17 maggio 2023, n. 13540
Presidente Travaglino – Relatore Rubino
Fatti di causa
1. Nel 2010 il motoveicolo Harley Davidson condotto da B.A., in marcia su strada extraurbana, veniva violentemente urtato sul lato sinistro dalla parte anteriore sinistra della autovettura Wolkswagen Polo di proprietà di C.V., condotta da D.G.G. - assicurata con una società rumena - che, proveniente dalla opposta direzione di marcia, svoltava a sinistra per immettersi nell'area di parcheggio di un supermercato sita in adiacenza della opposta semicarreggiata. Il B. riportava gravissime lesioni personali, che si traducevano in postumi permanenti (danni permanenti agli arti inferiori, che gli precludevano una deambulazione autonoma senza l'utilizzo di stampelle canadesi o altri supporti, vistosi esiti cicatriziali, problemi di decubito, disturbo post traumatico da stress a carattere cronico). 2. Il giudizio veniva introdotto dal B. e dai suoi prossimi congiunti, anch'essi odierni ricorrenti: F.C., moglie convivente, i figli, entrambi conviventi col padre al momento del sinistro, B.C. e B.R. (che agiva anche quale genitore esercente la potestà in favore del figlio nascituro A.N.), i genitori B.C. e A.A.. Essi convenivano in giudizio, oltre al conducente e al proprietario del veicolo investitore, anche l'UCI- Ufficio Centrale Italiano (d'ora innanzi, per brevità, UCI), responsabile ex lege essendo il veicolo investitore, al momento dell'incidente, assicurato per la r.c.a. con una società straniera. 3. Il tribunale adito, sulla base del verbale dei carabinieri e della deposizione di un teste, nonché del punto di impatto tra i veicoli, accertava che il sinistro si era verificato per colpa esclusiva della conducente dell'autovettura. Ritenuto che il B. avesse riportato una invalidità permanente nella misura del 63%, condannava i convenuti in solido al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore di tutti gli attori. Rigettava invece la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, proposta dal B. per la perdita della possibilità di svolgere lavoro autonomo occasionale, ritenendo tale fonte di reddito non cumulabile con il reddito da lavoro dipendente percepito dal danneggiato. 4. Proposto appello principale dall'UCI e appello incidentale dai ricorrenti, la corte d'appello accoglieva in parte l'appello principale della compagnia di assicurazioni, affermando che, nonostante la molteplicità di elementi raccolti, sia in primo grado che in appello, fosse impossibile ricostruire l'esatta dinamica del sinistro. Da ciò ricavava la necessità di applicare la presunzione di corresponsabilità dettata dall'art. 2054, comma 2, c.c., riconoscendo il concorso di colpa di entrambi i conducenti nella causazione del sinistro. Riduceva quindi proporzionalmente, in sede di liquidazione, gli importi spettanti alle vittime a titolo di danno non patrimoniale. 4.1. Rigettava invece l'appello principale dell'UCI laddove lamentava l'applicazione, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale, delle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma anziché quelle in uso presso il Tribunale di Milano. 4.2. Rigettava altresì l'appello dell'UCI quanto alla richiesta decurtazione, dall'importo liquidato a titolo di danno patrimoniale, di quanto il B. avrebbe percepito dall'INPS, ritenendo tardiva la produzione documentale relativa agli introiti percepiti dall'INPS, prodotta solo unitamente alla comparsa conclusionale. 4.3. Rigettava l'appello incidentale del B. in ordine al mancato riconoscimento del danno esistenziale, affermando che di esso si fosse tenuto adeguato conto all'interno della personalizzazione del danno, con un elevato aumento del valore tabellare, ed alla percentuale di invalidità permanente complessiva, che riteneva congruamente fissata, sulle base delle risultanze medico -legali,al 63%. 4.4. Quanto alla posizione delle vittime riflesse, negava il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in favore dei genitori della vittima principale, del nipote nascituro al momento del sinistro, e della figlia, benché la stessa fosse convivente al momento del sinistro (affermando che la giovane, in ragione della gravidanza in atto, era ormai proiettata verso la sua nuova esperienza di madre e questo le avrebbe evitato di soffrire in misura apprezzabile per l'infortunio del padre). Riduceva inoltre drasticamente gli importi riconosciuti, a titolo di danno parentale, al figlio minore B.C. ed alla moglie del B., affermando di applicare le tabelle del Tribunale di Milano per il danno da perdita del congiunto e non, secondo il criterio seguito dal giudice di prime cure, una percentuale del danno biologico liquidato alla vittima principale. Ciò premesso, indicando di fondarsi sull'apprezzamento delle circostanze del caso concreto, liquidava l'importo di Euro 30.000 complessivi in favore della moglie e del figlio convivente. 4.5 Infine, rigettava l'appello incidentale del B. volto al riconoscimento del danno patrimoniale da perdita della possibilità di svolgimento di lavoro straordinario o autonomo integrativo. 5. B.A. e F.C., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sul minore B.C., B.R., (in proprio, quale figlia convivente al momento dei fatti e) in qualità di genitore del minore A.N., B.C., A.A. propongono ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, nei confronti dell'UCI- Ufficio Centrale Italiano nonché nei confronti di C.V. e di D.G.G.. 6. Resiste l'UCI s.c. a r.l. con controricorso contenente due motivi di ricorso incidentale. 7. Gli altri intimati non hanno svolto attività processuale in questa sede. 8. La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata. 9. Il Procuratore generale non ha depositato conclusioni scritte. 10. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
Le eccezioni preliminari. Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni preliminari formulate dai ricorrenti nei confronti della società controricorrente e ricorrente incidentale, concernenti la regolarità della procura. 1.I ricorrenti, con il controricorso depositato per resistere al ricorso incidentale dell'UCI, avevano sollevato eccezione di difetto di prova dei poteri di rappresentanza in capo al soggetto ( R.S.C.), persona diversa dal legale rappresentante della società, firmatario della procura ad litem, e quindi della esistenza di valida procura e conferimento di ius postulandi in capo al difensore della controricorrente. La compagnia di assicurazioni si è difesa sul punto affermando che i poteri sostanziali erano stati conferiti al soggetto indicato con delibera del consiglio di amministrazione, come da visura camerale prodotta in giudizio unitamente alla memoria. Verificato il contenuto della visura camerale prodotta, effettivamente, a pag. 35 su 38 si rinviene il riferimento alla delibera del consiglio di amministrazione con la quale a R.S.C. è stato conferito il potere di "rappresentare in giudizio la società con legittimazione attiva e passiva, avanti a qualsiasi autorità giudiziaria, ordinaria, speciale e amministrativa, in Italia e all'estero nelle controversie derivanti dalla gestione liquidazione, pagamento di sinistri stipulazione di contratti di assicurazione, e riassicurazione, nominare avvocati e procuratori alle liti con poteri di rappresentanza e difese...". 2. La prima eccezione preliminare è pertanto infondata, essendo stata rilasciata la procura al difensore da soggetto dotato dei necessari poteri sostanziali, in conformità al principio secondo il quale il potere di stare in giudizio in nome e per conto di altri (e di rilasciare, eventualmente, in tale veste, anche la procura al difensore, ove occorra) presuppone, salvi i casi di rappresentanza legale (art. 75 c.p.c.) un mandato che abbia forma scritta e conferisca potere rappresentativo anche con riferimento al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, atteso che il potere di agire o di resistere in sede processuale non è autonomamente disponibile rispetto alla titolarità del bene della vita in relazione al quale venga richiesta tutela in giudizio (Cass. n. 9893 del 2004). 3. I ricorrenti sostengono altresì che la controricorrente non avrebbe depositato una specifica procura speciale abilitante a proporre ricorso incidentale, ma solo la procura a resistere in giudizio, non supportata a sua volta da procura sostanziale. 4. Anche tale eccezione è infondata, in applicazione del principio di diritto secondo il quale "La procura apposta nell'unico atto contenente il controricorso ed il ricorso incidentale deve intendersi estesa anche a quest'ultimo, per il quale non ne è richiesta formalmente una autonoma e distinta, ed il suo rilascio, anche non datato, mediante timbro apposto a margine o in calce a quell'atto le conferisce sia il carattere dell'anteriorità che il requisito della specialità, giacché tale collocazione rivela uno specifico collegamento tra la procura stessa ed il giudizio di legittimità" (Cass. n. 8798 del 2016). Il ricorso principale delle vittime. 5.Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2054, comma 2, c.c., l'esistenza di una motivazione meramente apparente e di un irriducibile contrasto logico all'interno della motivazione, nonché la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 2729 c.c. in ordine alla ricostruzione della dinamica dell'incidente, esitata con l'applicazione del criterio -residuale- del concorso di colpa pur in presenza di una accertata violazione dell'obbligo di dare la precedenza in capo alla conducente dell'autovettura, sanzionata dai carabinieri intervenuti subito dopo il sinistro per violazione dell'art. 141 C.d.S. Segnalano che nel proprio percorso motivazionale la corte d'appello aveva dapprima riportato i numerosi elementi e i rilievi obiettivi a sua disposizione: le deposizioni testimoniali, le ricostruzioni della dinamica dei fatti come emergenti dal verbale dei carabinieri, i rilievi obiettivi eseguiti dagli stessi sul luogo, subito dopo l'impatto, comprensivi della posizione di quiete assunta dai veicoli, della posizione dei danni sui mezzi e della verifica della corrispondenza di essi con le ferite sul corpo dell'infortunato, la mancanza di tracce di frenata, la contestazione della violazione di norme del codice della strada esclusivamente a carico della conducente della vettura, effettuata dai carabinieri sopraggiunti sul luogo dell'incidente per compiere i rilievi. Quindi, senza supportare il ragionamento con alcuna considerazione atta a giustificare tali conclusioni, il giudice d'appello concludeva che, nonostante questa vasta gamma di elementi probatori a disposizione, non fosse possibile stabilire il punto d'urto sulla strada, che non potesse escludersi una dinamica completamente diversa rispetto a quella accertata in primo grado, in cui l'urto fosse avvenuto sostanzialmente ad auto ferma, e che fosse stato il conducente della moto che, ad alta velocità, aveva cercato di evitare l'auto ormai ferma al centro strada (allo scopo di immettersi nell'area privata di parcheggio sul lato opposto della carreggiata). Dalla impossibilità di ricostruire la dinamica con assoluta certezza, la corte d'appello desumeva che: "si impone la presunzione di responsabilità sancita dall'art. 2054 c.c.". 6. Il primo motivo è fondato. In caso di scontro tra veicoli, l'applicazione della presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054, comma 2 c.c. è una regola sussidiaria, legittimamente applicabile per ripartire le responsabilità non solo nei casi in cui sia certo l'atto che ha causato il sinistro ma sia incerto il grado di colpa attribuibile ai diversi conducenti, ma anche quando non sia possibile accertare il comportamento specifico che ha causato il danno, con la conseguenza che, in tutti i casi in cui sia ignoto l'atto generatore del sinistro, causa presunta dell'evento devono ritenersi in eguale misura i comportamenti di entrambi i conducenti coinvolti nello scontro, anche se solo uno di essi abbia riportato danni (Cass. n. 15376 del 2022). La prova liberatoria per il superamento di detta presunzione può essere acquisita anche indirettamente tramite l'accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell'evento dannoso col comportamento dell'altro conducente (Cass. 13672 del 2019). Al contrario, l'accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell'altro, libera quest'ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall'art. 2054, comma 2 c.c. Nel caso in cui, come nella specie, sia stata accertata in capo ad uno dei due conducenti la precisa violazione di una o più regole di condotta (e' stata accertata, in capo alla conducente dell'autovettura, la violazione dell'obbligo di dare la precedenza ai veicoli provenienti dall'opposto senso di marcia, ed anche dell'obbligo di usare la massima prudenza), e l'accertamento di responsabilità si fondi, nella decisione di primo grado, su una valutazione ricostruttiva ancorata a precisi elementi istruttori entrati a far parte del materiale probatorio da valutare, l'affermazione della corte d'appello, secondo la quale non era certo che lo svolgimento dei fatti fosse stato in effetti quello ricostruito dal primo giudice, ed era astrattamente possibile che la dinamica dell'incidente fosse stata completamente diversa, esplicita un mero convincimento interiore che ipotizza, senza alcun riferimento ai fatti di causa, una alternativa ed ipotetica ricostruzione della dinamica di carattere meramente declamatorio, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza di primo grado né con le risultanze istruttorie acquisite agli atti. In presenza di una serie di elementi obiettivi entrati a far parte del giudizio, non è consentito applicare la presunzione di pari responsabilità se non a mezzo di una motivata ricostruzione della dinamica ancorata alle risultanze istruttorie, delle quali ben può essere fornita una diversa lettura e riconosciuta una diversa rilevanza all'interno della formazione del convincimento, ma dalle quali non si può completamente prescindere per formulare una diversa ricostruzione meramente ipotetica e, sulla base di quella, applicare la presunzione di corresponsabilità a carico dei due soggetti coinvolti nello scontro. La sentenza impugnata, la cui motivazione si pone al di sotto del minimo costituzionale richiesto dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. s.u. 8053/2014) per manifesta illogicità ed insanabile contraddittorietà delle argomentazioni addotte, va pertanto cassata sul punto. 7. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano l'omessa pronuncia sul secondo motivo di appello incidentale del ricorrente B.A., e l'assenza di motivazione sul punto, in relazione al mancato riconoscimento del danno patrimoniale conseguente all'impossibilità di continuare a svolgere lavoro autonomo occasionale, e all'erronea applicazione del divieto di cumulo delle retribuzioni tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Il ricorrente ricorda la sua abilità nei lavori manuali, edili in particolare, e ribadisce di averli sempre svolti in precedenza, sia per sé e per gli amici, sia per hobby che per integrare lo stipendio, nel proprio tempo libero, e che aveva continuato a farlo dopo essere entrato alle dipendenze della Sipra come guardia giurata, sebbene avesse ridotto l'attività negli anni immediatamente precedenti l'incidente, in conseguenza della nascita del figlio. Segnala che per questo motivo non risulterebbe nulla su queste entrate integrative nelle sue ultime dichiarazioni dei redditi. Sostiene che, essendo un lavoratore dipendente con un contratto di lavoro privato, avrebbe legittimamente potuto svolgere una attività autonoma integrativa, e comunque che si trattava di una capacità lavorativa della quale era titolare prima dell'incidente e che aveva perduta a causa di esso, alla cui perdita avrebbe dovuto essere attribuito un controvalore economico. 8. Il secondo motivo è infondato. Occorre premettere che, come risulta già dall'esposizione che precede, il motivo è formulato da tutti i ricorrenti ma esso concerne, in effetti, esclusivamente la posizione della vittima principale. La sentenza esamina, a pag. 10, la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica, connessa allo svolgimento di lavori edili, e ne conferma il rigetto, sebbene con motivazione non coincidente rispetto al primo giudice. Il tribunale aveva rigettato la domanda sul punto dicendo che i proventi di essa non fossero compatibili con lo svolgimento da parte della vittima di un lavoro subordinato stabile. La corte d'appello mostra di ritenere che, quand'anche si volesse riconoscere che il B. potesse svolgere nel tempo libero un lavoro autonomo occasionale, consentito dalla legge per importi non superiori ad Euro 5.000 annui, non risulta fornita una prova sufficiente - né alcuna evidenza fiscale - atta ad individuare una apprezzabile e quantificabile perdita economica. 9. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano l'erronea e falsa applicazione degli artt. 2043,2059,1223 e 1226 c.c. in quanto i danni non patrimoniali subiti dalla vittima principale non sarebbero stati completamente risarciti e lamentano l'inadeguata personalizzazione del danno in suo favore. Anche in relazione a questo motivo, come per il secondo, la denuncia concerne esclusivamente, in realtà, la sola posizione del danneggiato principale. B.A. evidenzia la particolarità della sua situazione personale, che lamenta non sia stata adeguatamente tenuta in conto: ricorda che prima dell'incidente era una persona sportiva, attiva, che trovava nell'attività fisica e nello sport la sua realizzazione, e svolgeva abitualmente una serie di attività che gli sono ora interamente precluse: a causa degli esiti permanente dell'incidente, tradottisi principalmente in una notevole zoppia ad ambe le gambe, che gli impedisce perfino di camminare, a soli 41 anni, senza l'uso di stampelle canadesi, non può più praticare sport, non può andare in moto, non può neppure giocare col figlio con la fisicità che richiederebbe un bambino in tenera età, ha dovuto smettere di fare tutti quei piccoli lavori di ristrutturazione che gli davano soddisfazione e gli procuravano un reddito aggiuntivo. Lamenta che già in primo grado non avesse fruito di una adeguata personalizzazione, e che non gli fosse stato risarcito il danno esistenziale. Riferisce che il tribunale, in primo grado, aveva liquidato il danno non patrimoniale applicando le tabelle in uso presso il Tribunale di Roma, che non prevedono una liquidazione autonoma del danno morale soggettivo, ma riconoscono a titolo di danno morale soggettivo un incremento pari ad una percentuale del danno biologico. Ribadita la domanda volta ad una più adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale in appello, il ricorrente lamenta che la domanda sia stata ingiustamente rigettata: la corte d'appello non ha liquidato nulla per danno esistenziale, non ha adeguatamente personalizzato l'importo liquidato per danno biologico, non gli ha riconosciuto il massimo come danno morale. 10.Il terzo motivo è inammissibile. Il ricorrente non evidenzia neppure efficacemente alcun errore di diritto nella sentenza impugnata. Il danno esistenziale, nei termini rappresentati dal ricorrente, non costituisce una categoria autonoma di danno non patrimoniale cui debba corrispondere una separata liquidazione qualora il risarcimento abbia avuto ad oggetto un danno biologico, del quale costituisce l'essenza, dinamico-relazionale, prevista dalla norma (Cass. 7513/2018 e successive conformi). Quanto al pregiudizio morale, benché non liquidato nella misura auspicata, di esso si è tenuto conto all'interno della liquidazione unitaria ma personalizzata del danno non patrimoniale (Cass. 25164/2020). Il danno non patrimoniale subito dal B. è stato liquidato infatti facendo applicazione della tabelle del Tribunale di Roma, e delle circostanze del caso concreto si è tenuto conto, dando il dovuto rilievo sia alla particolare sofferenza fisica causata dall'infortunio e dal suo lungo e doloroso decorso, sia alle limitazioni imposte alla vita personale del danneggiato, in quanto il giudice d'appello ha provveduto a personalizzare il danno, entro la "forbice" delineata dalle tabelle, ma con un aumento dei valori tabellari pari ben al 55 %. Ne' il ricorrente evidenzia, al di là del pur gravissimo danno subito, circostanze particolari, dedotte e trascurate, che, ove considerate, avrebbero portato ad una diversa quantificazione, anche superiore ai margini della forbice, per poter riconoscere un risarcimento effettivamente equivalente a tutto il danno subito (v. Cass. n. 23469 del 2018). 11. Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2059,1223 e 1226 e 2729 c.c. in ragione del mancato riconoscimento del danno non patrimoniale in favore di alcuni congiunti (la figlia convivente, incinta al momento dell'incidente, il nipote nascituro, i genitori) e della insufficiente quantificazione del medesimo danno non patrimoniale in favore dei soli familiari ai quali è stato riconosciuto, il figlio B.C. e la moglie. 12. Il quarto motivo va accolto, nei termini e nei limiti di cui alla seguente motivazione. 12.1. Va tenuto in considerazione, quanto ai criteri da adottare per il riconoscimento e per la quantificazione del danno non patrimoniale alle vittime riflesse, che nel caso di specie oggetto della quantificazione non è il danno da morte del prossimo congiunto, e quindi da perdita del rapporto parentale, ma il danno che subiscono i congiunti in conseguenza delle lesioni - in questo caso gravissime- subite dalla vittima principale, tali da recare dolore e pena ai parenti, e da incidere pesantemente sullo svolgimento della vita quotidiana della intera famiglia. E' affermazione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità che ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali, può spettare anche il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato da lesione del rapporto parentale, in relazione ad una particolare situazione affettiva della vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso. In tal caso, traducendosi il danno in un patema d'animo ed anche in uno sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto, esso non è accertabile con metodi scientifici e può essere accertato in base a indizi e presunzioni che, anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità (già Cass. n. 8546 del 2008). In tema di danni conseguenti a sinistro stradale, si è detto che il danno "iure proprio" subito dai congiunti della vittima non è limitato al solo totale sconvolgimento delle loro abitudini di vita, potendo anche consistere in un patimento d'animo o in una perdita vera e propria di salute. Tali pregiudizi possono essere dimostrati per presunzioni, fra le quali assume rilievo il rapporto di stretta parentela esistente fra la vittima ed i suoi familiari che fa ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che essi soffrano per le gravissime lesioni riportate dal loro prossimo congiunto (Cass. n. 11212 del 2019; Cass. n. 7748 del 2020). Si è anche puntualizzato, da ultimo, che non sussiste in effetti alcun "limite" normativo per il danno da lesione del rapporto parentale, nel senso che possa sussistere soltanto se gli effetti stabiliti dal danno biologico sul congiunto siano particolarmente elevati (Cass. n. 1752 del 2023). La questione è meramente di prova: il parente, secondo i principi generali - e dunque anche per via presuntiva - ha l'onere di dimostrare che è stato leso dalla condizione del congiunto, per cui ha subito un danno non patrimoniale parentale. L'esistenza stessa del rapporto di parentela può dunque far presumere la sofferenza del familiare, ferma restando la possibilità, per la controparte, di dedurre e dimostrare l'assenza di un legame affettivo, perché la sussistenza del predetto pregiudizio, in quanto solo presunto, può essere esclusa dalla prova contraria, a differenza del cd. "danno in re ipsa", che sorge per il solo verificarsi dei suoi presupposti senza che occorra alcuna allegazione o dimostrazione - danno che non trova cittadinanza nel nostro ordinamento, giusta l'insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. s.u. 26492 del 2008; Cass. n. 25541 del 2022). Vanno poi considerate distintamente le varie posizioni e valutare se sia stato individuato il criterio appropriato da seguire per quantificare il danno, se dovuto. 12.2. La posizione dei genitori della vittima principale. Alla stregua dei criteri sopra richiamati, ha errato la sentenza impugnata laddove ha negato, tout court, la risarcibilità del danno non patrimoniale in capo ai genitori del B., in quanto non conviventi, là dove da questa mera circostanza di fatto, comunissima nella vita delle persone adulte che formano propri nuclei familiari autonomi, e tuttavia non direttamente incidente sulla permanenza dei legami affettivi, ha tratto la conclusione che essi, in quanto non conviventi, non potessero ritenersi significativamente colpiti dai gravi danni alla persona e dalle sofferenze patiti dal figlio, in misura giuridicamente rilevante, invece di presumere, sulla base dello stretto legame parentale, l'esistenza di un danno non patrimoniale apprezzabile in termini di sofferenza per il dolore altrui, salvo prova contraria sulla inesistenza di un reale rapporto affettivo. La mancata convivenza, per i genitori, può al più incidere sulla componente dinamico relazionale, ma non certo, di per sé, eliminarne la sofferenza morale pura. 12.3. La posizione della figlia convivente. Ugualmente, e con ancor più censurabile superficialità e noncuranza, ha errato la corte d'appello laddove ha escluso che la figlia del B., diciannovenne all'epoca dei fatti e convivente con la famiglia di origine, possa aver patito alcun pregiudizio non patrimoniale solo "perché incinta all'epoca dei fatti". In primo luogo, la sentenza non fa corretta applicazione, anche in questo caso, dei principi sopra indicati, che indicano una presunzione di afflittività in favore dei prossimi congiunti, tanto più se, come in questo caso, conviventi. Le considerazioni della corte d'appello secondo le quali poi la ragazza, in quanto proiettata verso la sua futura esperienza di madre, non avrebbe sofferto più di tanto per il fatto dannoso, destinato invece necessariamente a proiettare la sua ombra sia sull'evento della nascita che sulla successiva organizzazione della vita familiare, cambiando il modo di vita, la distribuzione dei compiti, le attività della sua famiglia d'origine, e da offuscare la gioia e la condivisione familiare per il bambino in arrivo, appaiono totalmente inconsapevoli delle ripercussioni della mancanza del supporto di un genitore attivo (e probabilmente, della mancanza del supporto di entrambi i genitori, atteso che la madre sarà stata in gran parte assorbita dalla necessità di prestare assistenza al marito), sul quale la ragazza sapeva di poter contare proprio in ragione della convivenza, nel difficile momento della nascita, così giovane, del primo figlio. Esse risultano quindi totalmente prive di logica. Inoltre, con ulteriore contraddizione, la sentenza recupera incomprensibilmente, per negare il risarcimento alla figlia, la rilevanza della figura dei nonni, genitori della vittima principale, benché non conviventi, affermando che la loro esistenza rilevasse al fine di lenire la sofferenza, e quindi il danno, degli altri congiunti. 12.4. La posizione del nipote nascituro. Diversa è la posizione del nipote nascituro, in relazione al quale il motivo di ricorso deve essere rigettato. In relazione al nipote non ancora nato al momento dell'incidente non sussiste, in difetto dell'attualità del rapporto, una presunzione di afflittività conseguente alla necessaria riconfigurazione del rapporto stesso col nonno, fin dal suo sorgere, conseguente alle menomate condizioni fisiche di questi. L'esistenza di un pregiudizio subito dal nipote per i danni alla persona riportati dal nonno è un danno futuro soltanto eventuale, come tale non risarcibile (per una vicenda in parte assimilabile a quella in esame, v. Cass. n. 12987 del 2022, che ha escluso la risarcibilità dei danni invocati dalla nipote di un uomo deceduto in un sinistro stradale che, all'epoca della perdita del nonno, aveva otto mesi): quando il bambino, venuto alla luce, conoscerà il nonno, il loro rapporto si configurerà fin dall'inizio sulle possibilità fisiche che avrà questi al momento del loro incontro, e non è automatico né presumibile che da una limitata mobilità fisica del nonno il rapporto affettivo tra i due possa essere limitato o deteriorato. 12.5. la posizione della moglie e del figlio convivente. La corte d'appello ha rideterminato la liquidazione del danno non patrimoniale in favore della moglie (e anche del figlio convivente della vittima), effettuata dal tribunale sulla base delle tabelle del Tribunale di Roma, enunciando di fare applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano, e liquidando in favore della moglie e del figlio Claudio un importo complessivo di 30.000,00 Euro senza altra precisazione che consenta di ricostruire il ragionamento seguito per arrivare all'importo, e, quanto meno in motivazione, senza neppure precisare quanta parte dell'importo indicato spetti alla moglie e quanta al figlio (solo in dispositivo si indicano gli importi distintamente, in 15.000 Euro ciascuno). In tal modo, la liquidazione risulta effettuata, contrariamente alle premesse, in forma equitativa "pura", ammessa solo quando la particolarità delle circostanze la giustifichi e solo se supportata da idonea motivazione (Cass. n. 36297 del apprezzamento e non siano richiamati altro che in modo puramente nominale, gli specifici criteri utilizzati nella liquidazione, la sentenza incorre sia nel vizio di nullità per difetto di motivazione (indebitamente ridotta al disotto del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost.) sia nel vizio di violazione dell'art. 1226 c.c. Anche in riferimento alla loro posizione il quarto motivo va pertanto accolto. 12.6. Per rideterminare secondo i principi indicati la liquidazione del danno non patrimoniale spettante ai congiunti del soggetto macroleso, il giudice del rinvio dovrà far riferimento a tabelle che prevedano specificamente idonee modalità di quantificazione del danno, come le tabelle predisposte dal Tribunale di Roma, che fin dal 2019 contengono un quadro dedicato alla liquidazione dei danni cd. riflessi subiti dai congiunti della vittima primaria in caso di lesioni. Le tabelle del Tribunale di Milano, che nella loro più recente versione si sono adeguate alle indicazioni di questa Corte prevedendo una liquidazione "a punti " in riferimento alla liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale, non altrettanto hanno fatto, allo stato, in riferimento alla liquidazione del danno dei congiunti del macroleso "in quanto per ora non è stato raccolto un campione significativo di sentenze utile a costruire una tabella fondata sul monitoraggio", come si legge nella illustrazione delle tabelle dell'Osservatorio milanese, lasciando in questo caso al giudice "...valutare se ritiene di avvalersi della tabella sul danno da perdita del rapporto parentale corrispondente al tipo di rapporto parentale gravemente leso, opportunamente adattando e calibrando la liquidazione al caso concreto, per quanto dedotto e provato" (punto 17 delle "domande e risposte", all.2 delle tabelle milanesi ed. 2022). 13. Infine, con il quinto motivo del ricorso principale, si denuncia l'omessa pronuncia su un motivo di appello, e comunque la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c., 4 D.M. n. 55 del 2014, quanto alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, e la successiva violazione del D.M. n. 37 del 2018 in relazione alla liquidazione delle spese di appello. 14. Il quinto motivo del ricorso principale rimane assorbito dall'accoglimento del primo e del quarto motivo. Il ricorso incidentale della compagnia di assicurazioni. 15. L'UCI, con il primo motivo di ricorso incidentale, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2059 c.c. in ordine alla mancata applicazione, in relazione ai danni non patrimoniali subiti dal macroleso, dei criteri di liquidazione del danno di cui alle tabelle del Tribunale di Milano, anziché di quelle del Tribunale di Roma, segnalando che queste ultime porterebbero ad un risultato ben più oneroso per la compagnia di assicurazioni. La ricorrente incidentale sottolinea che già in appello aveva censurato la statuizione del giudice di primo grado con la quale si liquidava il danno mediante applicazione delle tabelle del Tribunale di Roma, rilevando che essa contrastasse con l'indicazione di questa Corte di legittimità nel senso della necessità di utilizzare le tabelle del Tribunale di Milano, per ragioni di uniformità di trattamento. Il motivo di appello è stato rigettato, avendo ritenuto la Corte d'appello che l'UCI evidenziasse un pregiudizio solamente teorico, senza evidenziare un interesse concreto all'applicazione delle Tabelle di Milano. Sostiene invece la ricorrente incidentale di aver compiutamente argomentato circa le ragioni che avrebbero reso più conforme ai suoi interessi l'utilizzazione dei parametri tabellari milanesi, che avrebbero condotto ad una liquidazione di importo inferiore, e quindi più favorevole per la compagnia di assicurazioni, obbligata al pagamento. Afferma di aver già segnalato in precedenza che le tabelle milanesi sono state rimodulate in maniera da comprendere nella liquidazione del danno biologico ogni componente del danno non patrimoniale, non esclusa la sofferenza soggettiva. Sottolinea quindi che se si fossero applicate le tabelle di Milano, edizione 2018, vigenti al momento della decisione, l'importo liquidato in favore del B. sarebbe stato significativamente inferiore, pari a 581.173,00 Euro invece che 828.520 Euro, eventualmente personalizzabile con un aumento fino al 25%. Quindi, segnala che la mancata applicazione del parametro tabellare indicato dalla Corte di cassazione come da privilegiare per ragioni di uniformità di trattamento avrebbe portato, nel caso di specie, ad un risultato economico ben differente e più favorevole alla compagnia di assicurazioni. Segnala poi la presenza di una incongruenza nella decisione, là dove la corte d'appello, da un lato, non ha accolto il suo motivo d'appello in relazione alla mancata applicazione delle tabelle milanesi al danno non patrimoniale subito dalla vittima principale, mantenendo ferma la liquidazione effettuata in primo grado sulla base delle tabelle romane, mentre, contraddittoriamente, per quanto riguarda la liquidazione del danno non patrimoniale in favore dei congiunti del macro leso, ha applicato proprio le tabelle milanesi. 16. Il motivo è complessivamente inammissibile. Non costituisce violazione di legge, censurabile in sede di legittimità, l'utilizzazione, per la liquidazione del danno non patrimoniale, di un sistema che produca in ipotesi un risultato economico più favorevole per il danneggiato e più sfavorevole per il danneggiante. L'interesse preso in considerazione nel privilegiare la liquidazione sulla base di un sistema tabellare è quello di evitare significative disparità di trattamento, a parità di conseguenze dannose, tra danneggiati che si trovino in situazioni analoghe, e non quello di garantire al danneggiante, o per esso alla compagnia di assicurazioni che delle conseguenze dannose è chiamata a rispondere, la soluzione più "economica". Il rilievo relativo all'incongruenza consistente nell'applicazione, come parametri di riferimento all'interno di uno stesso provvedimento, di due sistemi diversi di liquidazione tabellare (come in effetti teoricamente avvenuto nel caso di specie, in cui il danno non patrimoniale alla vittima principale è stato liquidato sulla base delle tabelle del Tribunale di Roma, mentre la liquidazione del danno alle vittime riflesse era stata effettuata sulla base di un quanto meno formale riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano) perde di interesse a fronte dell'accoglimento del primo e quarto motivo del ricorso principale, da cui consegue che la corte d'appello sarà chiamata a liquidare nuovamente quelle voci di danno, sulla base dei parametri indicati dalle tabelle del Tribunale di Roma. 17. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la compagnia di assicurazioni denuncia l'omessa pronuncia in ordine alla ammissibilità in appello della produzione documentale proveniente dall'INPS versata in atti da UCI e la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2056,1223,1226 c.c. in ordine al mancato computo in compensazione, in relazione alla liquidazione del danno patrimoniale riportato dal B., del trattamento pensionistico e delle erogazioni al medesimo riconosciute dall'INPS in conseguenza del sinistro. Segnala di aver dedotto uno specifico motivo d'appello sulla mancata compensazione tra l'importo da corrispondere al danneggiato a titolo di risarcimento del danno e il trattamento indennitario e pensionistico al medesimo riconosciuto dall'INPS, e di aver prodotto la relativa documentazione soltanto insieme alla comparsa conclusionale in primo grado in quanto non precedentemente in suo possesso. Il tribunale aveva esaminato nel merito l'eccezione, ritenendo non applicabile nel caso di specie il principio della compensatio lucri cum damno per mancanza della identità tra il fatto concreto che ha prodotto il danno e il vantaggio, sostenendo che quanto eventualmente percepito dal danneggiato a titolo di pensione di inabilità o di assegno, di equo indennizzo o qualsiasi altra erogazione connessa all'invalidità, non sarebbe compensabile con il risarcimento del danno perché fondata su un titolo diverso dall'altro. La ricorrente incidentale aveva chiesto in appello di introdurre in giudizio quella documentazione con l'acquisizione del fascicolo di causa ma la produzione era stata dichiarata inammissibile. Dichiara peraltro avere ricevuto, nel corso del giudizio di appello, altre due comunicazioni dell'INPS, prodotte e che riproduce, preannunzianti l'azione per il recupero, nei confronti della stessa compagnia di assicurazione, delle spese di assistenza sostenute dall'INPS in favore dell'assicurato in conseguenza dell'infortunio. Evidenzia che, rispetto a queste produzioni, la cui documentazione le era stata inviata solo nel corso del giudizio d'appello, non poteva ritenersi maturata alcuna preclusione processuale, per cui ribadisce che nel liquidare l'eventuale danno patrimoniale patito dal danneggiato si sarebbe dovuto tener conto di tutte le provvidenze accordate alla vittima dal sistema di protezione sociale. La ricorrente incidentale UCI sottolinea che le prestazioni erogate dall'INPS (diversamente da quelle erogate dall'INAIL) sono erogate esclusivamente in relazione al danno patrimoniale e devono essere defalcate, trattandosi di attribuzioni patrimoniali che trovano il loro titolo e l'origine causale nel medesimo evento dannoso, non rimanendo altrimenti spiegabile perché l'assicuratore sociale possa agire in rivalsa nei confronti del responsabile civile. Aggiunge che se il B. se non fosse incorso nel sinistro non avrebbe mai maturato il diritto a percepire quelle indennità pensionistiche dall'ente sociale, e avrebbe continuato a godere soltanto del proprio reddito da lavoro, la cui perdita totale gli è stata riconosciuta. Al B. a seguito dell'incidente è stato riconosciuto lo status di invalido civile, è divenuto beneficiario di un trattamento pensionistico sociale erogato dall'INPS e gli sono stati erogati, sulla base della comunicazione del 2017, complessivamente 239.000,00 Euro. La compagnia di assicurazioni sostiene che questi emolumenti incidono sulla misura del danno risarcibile elidendolo in parte, non potendo la vittima cumulare il risarcimento e l'indennizzo. La ricorrente incidentale sottolinea che sussistono entrambi i presupposti richiesti dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12567 del 2018 affinché si possa procedere alla compensatio, ovvero che il danneggiato abbia fruito di un vantaggio che sia casualmente giustificato in funzione di rimozione dell'effetto dannoso dell'illecito ed anche che esista un meccanismo teso da assicurare che il danneggiante rimanga esposto all'azione di recupero ad opera del terzo da cui il danneggiato ha ricevuto il beneficio collaterale: ove sussistano entrambi questi presupposti potrà aversi una detrazione della posta positiva dal risarcimento per evitare che il danneggiato, cumulando le due prestazioni, consegua un ingiustificato vantaggio. 18. Il motivo è fondato. Come già affermato da questa Corte, in tema di danno patrimoniale patito dalla vittima di un illecito, dall'ammontare del risarcimento a tale titolo liquidato dal giudice deve essere detratto il valore capitale dell'assegno di invalidità erogato dall'INPS, attese la funzione indennitaria assolta da tale emolumento e la possibilità per l'ente previdenziale di agire in surrogazione nei confronti del terzo responsabile o del suo assicuratore. Il principio è stato già affermato, in relazione all'assegno ordinario di invalidità corrisposto, ex art. 1 della l. n. 222 del 1984, dall'INPS alla vittima di un incidente stradale, da Cass. n. 4734 del 2019, nella cui motivazione si dà conto delle ragioni per estendere a questa ipotesi, non ricompresa originariamente tra quelle oggetto a suo tempo del giudizio, i principi in tema di compensatio dettati dalle Sezioni Unite del 2018, in particolare da Cass. S.U. n. 12566 del 2018. L'ipotesi era, come nella specie, quella della erogazione di una prestazione previdenziale da parte dell'INPS in conseguenza del sinistro. In quella sede si è precisato, con osservazione puntualmente riferibile anche al caso in esame, che non rileva se l'INPS sia o meno parte in causa nel giudizio odierno; ciò che conta e', invece, che esso abbia il diritto di agire in surroga nei confronti del danneggiante. L'ente previdenziale, infatti, se ha riconosciuto al B. il diritto ad un assegno di invalidità in conseguenza del medesimo fatto dannoso, ha comunque diritto ad agire in surroga nei confronti del terzo responsabile o del suo assicuratore (nella specie, la UCI). Tanto basta, dando continuità all'insegnamento delle Sezioni Unite, per riconoscere il diritto della compagnia di assicurazioni ad ottenere che dall'entità globale del danno risarcibile al B. venga detratta la somma capitalizzata corrispondente all'introito pensionistico a lui erogato dall'INPS. Che l'INPS, poi, abbia esercitato o meno la surroga non assume rilievo, perché il diritto si è comunque trasferito; ed è evidente che consentire al danneggiato di cumulare l'assegno di invalidità con l'intero risarcimento significa, di fatto, esporre l'assicuratore del responsabile civile all'obbligo di un doppio pagamento per la medesima parte di danno. Il motivo è pertanto accolto; al giudice di rinvio spetterà il compito di accertare, sulla base della documentazione prodotta, se la prestazione sia stata effettivamente riconosciuta ed erogata dall'INPS e in quale misura e in caso positivo di compiere la relativa operazione di calcolo, erogando al danneggiato il solo danno differenziale. Conclusivamente, il primo e il quarto motivo del ricorso principale sono accolti, il secondo e il terzo sono rigettati, il quinto rimane assorbito. Il primo motivo del ricorso incidentale è dichiarato inammissibile, il secondo è accolto. La sentenza è cassata in relazione e la causa è rinviata alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il quarto motivo del ricorso principale, rigetta il secondo e il terzo, dichiara assorbito il quinto. Dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale ed accoglie il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
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20-05-2023 11:14
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