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Sentenza

Condominio - Demanio marittimo - Costruzioni - Autorizzazioni della Capitaneria ...
Condominio - Demanio marittimo - Costruzioni - Autorizzazioni della Capitaneria di porto - Art. 55, Regio decreto 327/1942
Corte di Cassazione|Sezione 1 Civile Ordinanza 5 agosto 2024 n. 22103

Data udienza 23 aprile 2024
REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio - Presidente

Dott. SCOTTI Luigi Cesare - Consigliere

Dott. PARISE Clotilde - Consigliere

Dott. MARULLI Marco - Consigliere

Dott. D'ORAZIO Luigi - Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 30172/2019 r.g. proposto da:

St.Lo., Ra.Ma., Re.An., più Altri Omessi, che hanno ricevuto in donazione, rispettivamente, la nuda proprietà e l'usufrutto vitalizio dell'immobile già appartenuto a Ve.Lu.(attore in primo e secondo grado), Ni.An., Gr.Va., quale erede di La.Lu., Ca.Ba. e Ca.Gi., eredi di Ca.Al., Vi.Fr., Mu.Ch., più Altri Omessi, quali condomini, e il Condominio di Via alla S, in persona dell'amministratore pro tempore, Ca.Fa., giusta procura speciale alla lite in calce al ricorso, tutti rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al ricorso, dagli avvocati Lu.Co. e Ge.Fr., e Gi.Co., elettivamente domiciliati in Roma, via (...).

- ricorrenti -

contro

Agenzia del demanio, in persona del direttore pro tempore, e il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, con indicazione dell'indirizzo pec.

- contro ricorrenti - ricorrenti incidentali -

E

Avv. Pe.Ro., rappresentata e difesa dall'Avv. Fi., come da procura speciale del 19 marzo 2024, con indicazione dell'indirizzo pec ai fini delle comunicazioni

- ricorrente incidentale adesiva -

E

Bo.Gi., Ca.Na., Ca.Al., Ro.Mi., Mo.Gi., quali eredi di Mo.Se., Comune di S, in persona del legale rappresentante pro tempore

- intimati -

avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 580/2019, depositata in data 19 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/4/2024 dal Consigliere dott. Luigi D'Orazio;

RILEVATO CHE

1. Gli attori St.Lo., Ra.Ma., Re.An., Bo.Gi., Ni.An., Ca.Na., La.Lu., Ca.Al., Vi.Fr., Mu.Ch., più Altri Omessi, Pe.Ro., più Altri Omessi, quali condomini, e il Condominio di Via alla S, deducevano, nei confronti dell'Agenzia del demanio (ADD) e del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF), che il condominio era composto dai 2 corpi di fabbrica, che sorgevano sulla sommità di un'alta e ripida costa/scogliera rocciosa, con affaccio diretto sul mare, precisando che l'immobile era stato edificato in forza di regolare licenza edilizia in data 18 aprile 1961 e che, dopo il termine della costruzione, aveva conseguito l'abitabilità con decreto sindacale in data 10/7/64, n. 6/64.

Precisavano, poi, che avevano chiesto ed ottenuto, ai sensi dell'art. 55 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 (Approvazione del testo definitivo del Codice della navigazione), in ragione della "prossimità del demanio marittimo", al "confine meridionale del compendio privato", l'autorizzazione della Capitaneria di porto n. 6 del 1 agosto 1961, "ai fini della piena legittimità".

Pertanto, aggiungevano che, all'epoca della costruzione non vi era alcun dubbio, né da parte dell'autorità comunale, né da parte di quella marittima, in ordine al fatto che gli edifici costituenti il condominio "sorgessero su aree di proprietà privata, sia pure prossime al demanio marittimo sottostante".

I condomini ed il condominio, dunque, avevano goduto pacificamente e palesemente delle rispettive proprietà immobiliari per oltre quarant'anni.

Tuttavia, a seguito del "processo di informatizzazione della gestione dei beni demaniali marittimi", a partire da 2008, la Capitaneria di porto e poi l'Agenzia del demanio avevano iniziato ad affermare che i due corpi di fabbrica, costituenti il condominio, "insisterebbero parzialmente sul demanio marittimo".

Tanto che l'Agenzia del demanio aveva invitato il Comune di S a dare avvio alla procedura di riscossione coattiva delle somme che sarebbero state dovute per la parziale occupazione non titolata del demanio marittimo.

Pertanto, il condominio aveva proposto una formale istanza di delimitazione, ex art. 32 del D.P.R. n. 327 del 1942, corredata dei documenti a dimostrazione della proprietà privata delle aree di sedime e di tutte le componenti dei sovrastanti corpi di fabbrica, ad eccezione per i soli beni per i quali erano state chieste ed ottenute regolari concessioni demaniali.

2. A seguito dell'espletamento di una CTU, il Tribunale, dopo aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero delle infrastrutture e trasporti, rigettava la domanda degli attori, muovendo dalle risultanze di tale accertamento.

Pur aderendo a quanto risultante dal "rogito del notaio Ri. del 1924", e non condividendo, invece, le risultanze della mappa di impianto del 1943 allegata alla autorizzazione del 1 agosto 1961, n. 6 - con conseguente notevole riduzione "dell'estensione dell'area di preteso sconfinamento (ridotto a mq 253) rispetto alle originarie assunzioni della controparte" - il Tribunale aveva erroneamente ritenuto, per quel che ancora qui rileva: i) che la domanda di usucapione era stata formulata tardivamente solo in sede di comparsa conclusionale; ii) la "natura propriamente demaniale dell'area di sconfinamento", collocata a sud del confine della proprietà privata, sulla quale insistevano in parte i caseggiati degli appellanti "sulla sommità della scogliera".

La natura demaniale era affermata dal Tribunale in base alle "risultanze della mappa catastale", oltre che tenendo conto "dell'autorizzazione a suo tempo rilasciata dalla Capitaneria di porto ai sensi dell'art. 55 cod. nav" e delle concessioni demaniali rilasciate per occupazioni più a sud.

Inoltre, il Tribunale aveva ritenuto irrilevanti i principi giuridici invocati dagli attori, trattandosi di compendio di aree riconducibili "ai "tipi" indicati negli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav., non sottoposti alle mareggiate straordinarie ed inidonei ai pubblici usi del mare, anche se in via soltanto potenziale e non attuale".

Infine, il giudice di prime cure escludeva la possibilità di una sdemanializzazione tacita di tali aree che, però, in realtà, per gli attori non erano demaniali ab origine, pur se limitava il riconoscimento della proprietà privata a quelle comprese nei confini del rogito del notaio Ri. del 1924 "anziché all'intero sedime occupato dai corpi di fabbrica del condominio o dei condomini".

3. Proponevano appello i condomini ed il Condominio di Via alla S deducendo, per quel che ancora qui rileva: a) l'erronea valutazione sulla tempestività della domanda di usucapione, ritenuta tardiva perché contenuta solo nella comparsa conclusionale; b) l'erronea valutazione "della demanialità delle aree occupate stabilmente dai condomini degli edifici (...) Quali aree sono prive dei requisiti propri della demanialità".

4. La Corte d'Appello di Genova rigettava il gravame principale proposto dai convenuti MEF e ADD.

In particolare, rigettava il primo motivo di appello principale, assorbendo gli altri.

Pur confermando che l'individuazione del confine della proprietà condominiale doveva essere tratta dalla divisione del notaio Ri. del 30/10/24, tuttavia il giudice d'appello condivideva "la motivazione della sentenza gravata", in "ordine alla natura della demanialità del bene", trattandosi "pacificamente" di "demanio marittimo", tanto che "anche il costruttore ebbe necessità di ottenere, oltre alla licenza edilizia 18/4/1961, anche l'autorizzazione n. 6 del 1 agosto 1961 della Capitaneria di porto"; ciò ai fini "del passaggio dal demanio marittimo al patrimonio dello Stato", ai sensi dell'art. 35 cod. nav.

Precisava la Corte territoriale che, ai fini del passaggio di un bene dal demanio marittimo al patrimonio, non era sufficiente la sdemanializzazione in forma tacita, essendo necessaria, invece, ai sensi dell'art. 35 del D.P.R. n. 327 del 1942, "l'adozione di un espresso e formale provvedimento della competente autorità amministrativa, avente carattere costitutivo".

Aggiungeva il giudice d'appello che "nonostante lo stesso CTU precisi che, accertate le caratteristiche, altezza dal livello del mare ed impossibilità di essere raggiunta dalle mareggiate, è parimenti impossibile che "l'area possa essere utilizzata e/o sia utilizzabile per gli usi del mare"", tuttavia "il solo fatto di appartenere al demanio marittimo la rende area non soggetta ad usucapione in assenza di provvedimento ex art. 35 c.n.".

Infine, per la Corte doveva "escludersi la possibilità di accoglimento di eventuali domande di usucapione, anche implicite nella richiesta di accertamento della proprietà da parte degli appellanti contenuta nella citazione in primo grado".

5. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli attori St.Lo., Ra.Ma., Re.An., Bo.Gi., più Altri Omessi, che hanno ricevuto in donazione, rispettivamente, la nuda proprietà e l'usufrutto vitalizio dell'immobile già appartenuto a Ve.Lu.(attore in primo e secondo grado), Ni.An., Gr.Va., quale erede di La.Lu., Ca.Ba. e Ca.Gi., eredi di Ca.Al., Vi.Fr., Mu.Ch., Più Altri Omessi, Pe.Ro., più Altri Omessi, quali condomini, e il Condominio di Via alla S.

I ricorrenti hanno depositato memoria scritta.

6. Hanno resistito con controricorso l'ADD e il MEF, proponendo anche ricorso incidentale.

7. Ha proposto ricorso per cassazione incidentale adesivo Pe.Ro., depositando anche memoria scritta.

8. Sono rimasti intimati Ro.Mi., Ca.Al., quali eredi di Mo.Se., Bo.Gi. e Ca.Na.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo di impugnazione principale i ricorrenti deducono la "violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., degli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav., anche in relazione all'art. 55, cod. nav. Omesso esame di fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.".

In particolare, i ricorrenti censurano la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto che "pacificamente", nella specie, trattavasi di "demanio marittimo", tanto che "anche il costruttore ebbe necessità di ottenere (...) anche l'autorizzazione n. 6 del 1/8/61 della Capitaneria di porto", essendo preclusa la sdemanializzazione tacita.

In realtà, però, era evidente il carattere "non demaniale" dell'area di sconfinamento (trattandosi di "una scogliera molto alta e pressoché verticale"), non rientrante, dunque, in alcuna delle tipologie di beni che compongono il demanio marittimo, ai sensi dell'art. 822 c.c. e 28 cod. nav., "mai sommersa, non raggiunta dalle mareggiate ordinarie e pacificamente non idonea né in atto né in potenza ad assicurare i pubblici usi del mare", secondo quanto riconosciuto dalla CTU di primo grado.

Questo, che era uno dei temi centrali sui quali verteva l'appello, non sarebbe stato affrontato in alcun modo dalla Corte, "a causa di un errore di diritto nel quale essa è caduta".

Laddove la Corte territoriale ritiene che "pacificamente" l'area di sconfinamento sarebbe demanio marittimo, attesta il convincimento errato sulla qualificazione giuridica della stessa.

L'unico argomento speso in ordine a tale convincimento, consiste nella circostanza che il costruttore degli immobili avrebbe riconosciuto la demanialità, per aver richiesto, non solo il titolo edilizio del 18 aprile 1961, ma anche l'autorizzazione n. 6 del 1 agosto 1961, ai sensi dell'art. 55 cod. nav.

Al contrario, tale disposizione avrebbe solo l'effetto di consentire in concreto l'esercizio delle facoltà edificatorie connaturate al diritto di proprietà privata, non producendo alcun effetto di ordine dominicale.

Del tutto contraddittoriamente, il giudice d'appello, dopo aver evidenziato che lo stesso CTU aveva accertato le caratteristiche dell'area, costituite dal livello del mare, dall'impossibilità di essere raggiunta dalle mareggiate, dall'impossibilità che l'area potesse essere utilizzata e/o fosse utilizzabile per gli altri usi al mare, concludeva inaspettatamente nel senso che tale area era demaniale "per il solo fatto di appartenere al demanio marittimo", non rendendola soggetta ad usucapione.

In realtà, la Corte d'Appello non aveva considerato il fatto che "l'area di sconfinamento, per le sue caratteristiche (pacifiche, stante il recepimento della CTU sul punto) non possa essere qualificata demaniale e quindi non lo sia mai stata".

L'area, insomma, non aveva necessità alcuna del provvedimento di sdemanializzazione, in quanto "era da sempre non demaniale", quindi sin dal suo origine, come risultava dagli esiti della CTU, recepita, sul punto, da tutte le parti in giudizio.

2. Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano la "violazione dell'art. 112 c.p.c. Infrapetizione. Omesso esame, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., della parte di domanda assorbita dalla Corte d'Appello".

Il Tribunale aveva ritenuto la domanda di usucapione tardiva, in quanto presentata esclusivamente in sede di comparsa conclusionale, mentre la Corte d'Appello ha reputato assorbita la censura, con cui si rilevava che la domanda di usucapione era già contenuta nella citazione.

La Corte d'Appello, infatti, ha ritenuto - sulla base dell'erroneo presupposto dell'appartenenza dell'area di sconfinamento al demanio - di escludere la possibilità di accoglimento di "eventuali domande di usucapione anche implicite nella richiesta di accertamento della proprietà da parte degli appellanti contenuta nella sentenza di primo grado".

In realtà, una volta stabilita la natura non demaniale dell'area, i ricorrenti evidenziano che non solo la domanda di usucapione era contenuta nell'atto di citazione, e trattavasi di diritto autodeterminato, individuato in base alla sola indicazione del suo contenuto, ma era anche fondata, non essendo contestato che i caseggiati condominiali erano stati eretti all'inizio degli anni 60, come risultava dal certificato di abitabilità del 10 luglio 1964.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale adesivo Pe.Ro. deduce la "violazione e/o falsa applicazione degli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.: la scogliera per cui è causa non appartiene al demanio marittimo".

Tenendo conto di quanto accertato e constatato dal CTU, in ordine alla natura specifica dell'aria di sconfinamento, trattavasi di area non demaniale, non rientrando la "scogliera" nell'elencazione normativa cui agli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav.

Nonostante tali dati normativi, fattuali e giurisprudenziali, la sentenza d'appello aveva concluso per la natura demaniale che "pacificamente" avrebbe contraddistinto tale area.

Tale "apodittica conclusione" violerebbe le norme sopra indicate.

Pertanto la soluzione offerta dalla Corte territoriale la questione di diritto si risolverebbe "in un'erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla norma di legge", non potendosi peraltro operare il sillogismo per cui un bene è demaniale non per legge, "ma per altre ragioni, nella specie il comportamento tenuto dal privato", che aveva richiesto l'autorizzazione n. 6 del 1 agosto 1961 ex art. 55 cod. nav.

4. Con il secondo motivo di ricorso incidentale adesivo si deduce la "nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.: omessa pronuncia sul secondo motivo di appello in cui si chiedeva di dichiarare tempestiva la domanda di usucapione per possesso ultra ventennale della scogliera".

Una volta stabilito che l'area di sconfinamento aveva natura non demaniale, ma privata, la Corte d'Appello avrebbe dovuto accertare l'intervenuta usucapione, mentre, nella specie, si era limitata ad affermare "di non doversi pronunciare sulla domanda di usucapione e sul secondo motivo d'appello in quanto - a suo errato giudizio - la natura demaniale marittima rendeva in radice non usucapibili le aree", trincerandosi dunque dietro la affermazione che non era possibile accogliere "eventuali domande di usucapione, anche implicite".

Sembrerebbe trattarsi, allora, di un caso di assorbimento improprio, il quale ricorre quando la domanda viene rigettata in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre, essendo sufficiente in tal caso limitarsi a censurare o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento.

Nel caso in esame, la ricorrente evidenzia che la statuizione di assorbimento "omette completamente la pronuncia sullo specifico motivo di appello", afferente alla tempestività della domanda di usucapione ed alla natura autodeterminata della stessa.

5. Anzitutto, si rileva la tempestività del ricorso incidentale adesivo proposto dalla condomina Avv. Pe.Ro., in quanto il ricorso è stato spedito per la notifica il 15 novembre 2019, mentre la sentenza della Corte d'Appello è stata depositata il 19 aprile 2019, con scadenza del termine semestrale oltre la data della notifica del ricorso incidentale adesivo, tenuto conto del termine di sospensione feriale di 31 giorni.

5.1. Va, infatti, chiarito che per questa Corte le regole sull'impugnazione tardiva, sia ai sensi dell'art. 334 c.p.c., che in base al combinato disposto di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c., si applicano esclusivamente a quella incidentale in senso stretto e, cioè, proveniente dalla parte contro cui è stata proposta l'impugnazione, mentre per il ricorso di una parte che abbia contenuto "adesivo" a quello principale si deve osservare la disciplina dell'art. 325 c.p.c., cui è altrettanto soggetto qualsiasi ricorso successivo al primo, che abbia valenza d'impugnazione incidentale qualora investa un capo della sentenza non impugnato o lo investa per motivi diversi da quelli fatti valere con il ricorso principale - nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto inammissibile l'impugnazione incidentale tardiva proposta contro il ricorrente principale, ritenendo l'interesse all'impugnazione sorto già in conseguenza dell'emanazione della sentenza di appello e non per effetto del ricorso principale - (Cass., sez. 3, 24 agosto 2020, n. 17614; Cass., sez. un., 29 ottobre 2020, n. 23903; Cass., sez. 5, 7 ottobre 2015, n. 20040; Cass., sez. 3, 10 marzo 2008, n. 6284). Il ricorso incidentale "adesivo", a differenza del ricorso incidentale in senso stretto, va dunque proposto, a pena di inammissibilità, nel termine ordinario di impugnazione (Cass., sez. 2, 22 dicembre 2021, n. 41254).

6. Il primo motivo di ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale adesivo, che vanno esaminati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati, nei termini di cui motivazione.

6.1. Invero, nella decisione della Corte d'Appello si ravvisa una falsa applicazione di legge.

Deve muoversi dalla considerazione che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l'interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l'applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata.

Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell'attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata.

Il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell'assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista - pur rettamente individuata e interpretata - non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione.

Non rientra nell'ambito applicativo dell'art. 360, comma 1, n. 3, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass., sez. 1, 14 gennaio 2019, n. 640).

Pertanto, si è chiarito (Cass., sez. 3, 31 maggio 2018, n. 13747) che è consentita la censura per violazione di legge, quando il giudice di merito "dopo aver ricostruito la quaestio facti secondo le allegazioni e le prove offerte dalle parti", individua i termini della fattispecie concreta e, quindi, riconduce quest'ultima ad una fattispecie giuridica astratta piuttosto che ad un'altra a cui sarebbe in realtà riconducibile oppure si rifiuta di ricondurla ad una certa fattispecie giuridica astratta cui sarebbe riconducibile o a qualunque fattispecie giuridica astratta, mentre ve ne sarebbe una cui potrebbe essere ricondotta.

La valutazione così effettuata della relativa motivazione "non inerente per lo più all'attività di ricostruzione e, dunque, di apprezzamento dei fatti storici, bensì all'attività di qualificazione in iure di essi e, dunque, ad un giudizio normativo, è controllabile e deve essere controllata dalla Corte di cassazione nell'ambito del paradigma del n. 3 dell'art. 360 c.p.c.".

Con la precisazione che fa parte del sindacato di legittimità secondo tale paradigma, cui il legislatore fa riferimento con la nozione di "falsa applicazione di norme di diritto", quello in cui si deve controllare se la fattispecie concreta - "assunta così come ricostruita dal giudice di merito e, dunque, senza che si debba procedere ad una valutazione diretta a verificarne l'esattezza e meno che mai ad una diversa valutazione e ricostruzione o apprezzamento ricostruttivo" - è stata ricondotta a ragione o a torto alla fattispecie giuridica astratta individuata dal giudice di merito come idonea a dettarne la disciplina oppure al contrario doveva essere ricondotta ad altra fattispecie giuridica oppure ancora era irriconducibile ad una fattispecie giuridica astratta, sì da non rilevare in iure, oppure ancora "non è stata erroneamente ricondotta ad una certa fattispecie giuridica cui invece doveva esserlo, essendosi il giudice di merito rifiutato expressis verbis di farlo (c.d. vizio di sussunzione o di rifiuto di sussunzione)".

Insomma, vi è violazione di cui all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., non solo nel caso in cui vi sia violazione di legge, ossia l'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello di falsa applicazione della legge, "consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione" (Cass., sez. 5, 25 settembre 2019, n. 23851; anche Cass., 26 settembre 2005, n. 18782).

Commette, dunque, falsa applicazione di legge il giudice che ricollega ad una certa normativa effetti inappropriati, traendo dalla norma correttamente individuata conseguenze diverse da quelle consentite (Cass., 29 agosto 2019, n. 21772), oppure traendo dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass., n. 13747 del 2018, cit.).

7. Nella specie, i ricorrenti non criticano la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, il quale ha riportato in modo corretto le valutazioni del CTU sulla natura giuridica dell'area di sconfinamento, ma impostano la loro censura di legittimità ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., esclusivamente nell'avere tratto dagli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav., conseguenze giuridiche che ne hanno contraddetto la pur corretta interpretazione.

Non si è in presenza, allora, della allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione, seppur nei limiti di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. come modificato dal decreto-legge n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze pronunciate a decorrere dall'11 settembre 2012 (Cass., sez. 1, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., sez. L, 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., sez. 5, 30 dicembre 2015, n. 26110).

Nel caso in esame, si è in presenza della condotta del giudice di merito che è censurabile in sede di legittimità, perché sono state tratte dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicono la pur corretta sua interpretazione (Cass., sez. 3, 30 aprile 2018, n. 10320).

8. Deve, dunque, muoversi, dai fatti esaminati dal giudice di merito che, sia in primo grado che in appello, ha descritto compiutamente l'area di sconfinamento, anche a seguito dell'espletamento della CTU.

La Corte territoriale ha affermato sul punto che "nonostante lo stesso CTU precisi che, accertate le caratteristiche, altezza dal livello del mare ed impossibilità di essere raggiunta dalle mareggiate, è parimenti impossibile che "l'area possa essere utilizzata e/o sia utilizzabile per gli usi del mare" - quindi constatando la sussistenza dei requisiti della demanialità marittima - subito dopo aggiunge, in netta contraddizione, che "il solo fatto di appartenere al demanio marittimo la rende area non soggetta ad usucapione in assenza di provvedimento ex art. 35 cod. nav.".

I ricorrenti, in ossequio al principio dell'autosufficienza, hanno riportato lo stralcio della CTU in cui si descrivono le caratteristiche specifiche dell'area di sconfinamento ("i due edifici risultano costruiti direttamente sulla roccia della scarpata - ad un'altezza di mt. 7 circa dal livello del mare, il civico 1 A, e ad un'altezza di metri 20 circa dal livello del mare il civico 1").

Inoltre, dalla CTU emerge che tale roccia "prosegue a valle dei caseggiati stessi con un fronte verticale perpendicolare al sottostante arenile", con la precisazione che "l'area in oggetto, che risulta a circa 7 m dal livello del mare, è posta in posizione orografica tale da non poter essere raggiunta dalle mareggiate ordinarie" e che "il fatto che l'area in oggetto di causa sia collocata alla sommità ed in prossimità di una scarpata rocciosa a picco sul mare (...) fa escludere l'ipotesi, essendo impossibile anche al solo stato potenziale, che l'area su cui i due edifici e relative pertinenze sono stati costruiti possa essere stata in antichità sommersa, ovvero che la medesima area possa essere utilizzata e/o sia utilizzabile per gli usi del mare".

Si è sottolineato che "la scogliera ove sono stati costruiti i suddetti caseggiati di causa, data la sua natura impervia e l'estrema acclività del suolo non è infatti suscettibile di alcun utilizzo diretto o indiretto, anche solo allo stato potenziale, per gli usi del mare e inerenti alla navigazione, come l'accesso, l'approdo, la tirata in secco di natanti, l'attività di balneazione e/o di pesca da terra, data la sua inaccessibilità dal basso e la sua pericolosità e impraticabilità dall'alto".

Pertanto, i ricorrenti non hanno in alcun modo censurato la ricostruzione fattuale compiuta dal primo giudice e dalla Corte d'Appello, in relazione alla CTU espletata, avendo fondato la censura di violazione di legge sui fatti di causa, così come accertati dal giudice di merito.

9. Sono state, quindi, correttamente individuate le norme applicabili, e quindi gli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav.

L'art. 822 c.c., in particolare, stabilisce che "appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico, il lido del mare, la spiaggia, le rade i porti (...)", Come pure l'art. 28 cod. nav. prevede che "fanno parte del demanio marittimo: a) il lido, spiagge, i porti, le rade (...)".

10. Orbene, per giurisprudenza di legittimità consolidata, costituiscono lido e spiaggia e come tali sono comprese nel demanio marittimo, ai sensi degli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav., la striscia di terreno immediatamente a contatto con il mare, e comunque coinvolta dallo spostamento delle sue acque (tenuto conto anche delle maree), nonché quell'ulteriore porzione, fra detta striscia e l'entroterra, che venga concretamente interessata dalle esigenze di pubblico uso del mare (Cass., 2 giugno 1978, n. 2756).

Inoltre, per stabilire se un'area rivierasca debba o meno essere considerata appartenente al demanio marittimo, mentre risulta indifferente la natura geografica del terreno, sono decisive le seguenti circostanze:1) che l'area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che, sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile per uso marittimo; 3) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione (accesso, approdo, tirata in secco di natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra, operazioni di balneazione) anche solo allo stato potenziale (Cass., 23 aprile 1981, n. 2417; anche Cass., sez. 3, 28 maggio 2004, n. 10304; di recente Cass., 24 agosto 2023, n. 25223 e Cass., 12 luglio 2018, n. 18511).

10.1. In un caso simile a quello qui trattato (Cass., sez. 1, 30 luglio 2009, n. 17737) il giudice di secondo grado aveva accolto l'appello dell'attore, che aveva proposto opposizione all'ingiunzione di pagamento notificatagli dall'ufficio del registro, a titolo di corrispettivo dell'occupazione abusiva di una porzione di suolo demaniale. Il Tribunale (quale giudice di appello contro la sentenza del pretore) aveva valorizzato "la descrizione delle caratteristiche naturali dell'area in questione, per escludere che il fabbricato su di esso insistente e realizzato su un bancone roccioso che sovrastava l'arenile rientrasse nel lido o nella spiaggia demaniali".

Avverso tale decisione avevano proposto ricorso per cassazione il MEF e l'ADD, invocando la violazione dell'art. 322 c.c., e degli articoli 28 e 35 cod. nav. che però è stato rigettato.

Si è precisato, sul punto, che per lido del mare si intende quella porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare, da cui resta normalmente coperta per le ordinate mareggiate: sicché riesca impossibile ogni altro uso che non sia quello marittimo.

La spiaggia è, dunque, costituita non solo da quei tratti di terra prossimi al mare che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie, ma comprende anche l'arenile, cioè quel tratto di terraferma che risulti relitto dal normale ritirarsi delle acque, restando idoneo ai pubblici usi del mare, anche se in via solo potenziale (Cass., sez. 1, 1 aprile 2015, n. 6619; Cass., sez. 2, 3 maggio 2018, n. 10489; Cass., sez. 2, 22 ottobre 2021, n. 29592).

10.2. Peraltro, per questa Corte qualora venga in discussione l'appartenenza di un bene, nella sua attuale consistenza, al demanio marittimo, il giudice del merito ha il potere-dovere di accertare i caratteri obiettivi con i quali il bene si presenta al momento della decisione, per effetto dei quali esso rientra nella categoria prevista dalla legge, mentre i titoli esibiti dalle parti possono costituire soltanto utili e concreti elementi di giudizio, al fine di stabilire non solo la originaria consistenza dei beni stessi, ma anche se eventualmente possano riscontrarsi in essi gli estremi di una sdemanializzazione tacita, ammessa per il codice civile del 1865 (art. 429). Ipotesi, peraltro, quella della sdemanializzazione neppure configurabile nella specie, non avendo gli immobili in questione, in forza degli stessi accertamenti in fatto effettuati dal giudice di appello, e riportati in sentenza, natura demaniale ab origine.

11. Nel caso in esame, peraltro, la Corte d'Appello, pur avendo valutato adeguatamente gli elementi istruttori, condividendo le valutazioni del CTU, reputando che, effettivamente le caratteristiche dell'area di sconfinamento erano del tutto estranee alla nozione di demanialità marittima ("altezza dal livello del mare ed impossibilità di essere raggiunta dalle mareggiate, è parimenti impossibile che l'area possa essere utilizzata e/o sia utilizzabile per gli usi del mare"), ha, poi, contraddittoriamente, ed in ciò incorrendo nella falsa applicazione di legge, e segnatamente degli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav., reputato tale area come ricompresa nel demanio marittimo.

La necessità di un provvedimento di classificazione ex art. 35 cod. nav., pure invocato dalla Corte d'Appello ("il solo fatto di appartenere al demanio marittimo la rende area non soggetta ad usucapione in assenza di provvedimento ex art. 35 cod. nav."), si scontra con la circostanza che, in realtà, prima delle formali contestazioni dell'Agenzia delle dogane e del MEF, avvenute solo nel 2008, l'area di sconfinamento non aveva i caratteri necessari per essere inquadrata all'interno del demanio marittimo.

Ciò con riferimento alla conformazione dell'area già negli anni 60, come descritta compiutamente dal CTU con riscontro positivo da parte del Tribunale e della Corte d'Appello.

La falsa applicazione di norme si rinviene, dunque, nel fatto che la Corte d'Appello, pur avendo correttamente individuato le norme applicabili, e segnatamente gli articoli 822 c.c. e 28 cod. nav., e pur avendo effettuato una altrettanto corretta ricostruzione degli elementi istruttori utili alla descrizione dell'area, ha però erroneamente ritenuto che fosse necessaria una sdemanializzazione ex art. 35 cod. nav., laddove l'area di sconfinamento era priva ab origine dei caratteri propri dell'area demaniale.

12. Le censure in esame vanno, pertanto, accolte.

13. Sono, invece, inammissibili il secondo motivo di ricorso principale ed il secondo motivo di ricorso incidentale adesivo, non essendovi stata una omessa pronuncia da parte della Corte d'Appello, che ha escluso "la possibilità di accoglimento di eventuali domande di usucapione", ritenendo tale domanda assorbita dalla ritenuta demanialità dell'area.

Invero, nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell'accoglimento di una questione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l'accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l'esame delle ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio, salva l'eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute superate (Cass. 19442/2022; Cass., 05/11/2014, n. 23558; Cass., 01/03/2007, n. 4804).

14. Deve essere accolto il motivo di ricorso incidentale articolato dalla Agenzia delle dogane e dal MEF, in quanto erroneamente il giudice di appello ha dato atto che ricorrevano i presupposti per il "raddoppio" del contributo unificato con riferimento all'appello incidentale proposto dalla ADD e dal MEF.

Questa Corte, ha invero affermato - ed il principio va ribadito in questa sede - che il provvedimento con cui il giudice dell'impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l'abbia proposta, l'obbligo di versare - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1-bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass. 5955/2014; Cass. 1778/2016).

15. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d'Appello di Genova, in diversa composizione, che dovrà attenersi ai principi di diritto suesposti e che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso principale e il primo motivo di ricorso incidentale adesivo; dichiara inammissibile il secondo motivo di ricorso principale ed il secondo motivo di ricorso incidentale adesivo; accoglie il ricorso incidentale proposto da MEF e Agenzia del demanio; cassa la sentenza impugnata, in ordine ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d'Appello di Genova, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2024.
Avv. Antonino Sugamele

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