Licenziato il dipendente di banca che senza necessità “fruga” nei conti dei clienti
Il potere di disporre di strumenti informatici volti al compimento delle operazioni finanziarie non è sinonimo di accesso indiscriminato
I Supremi giudici hanno precisato che il licenziamento per giusta causa può fondarsi su violazioni del “minimo etico” e su condotte che ledano la fiducia del datore di lavoro, anche in assenza della previa affissione del codice disciplinare, quando si tratta di violazione di norme di legge o di doveri fondamentali di lealtà e riservatezza. E’ evidente, peraltro, che il potere di disporre di strumenti informatici volti al compimento delle operazioni finanziarie del dipendente di un istituto bancario non è di certo sinonimo di accesso indiscriminato a banche dati al di fuori della stretta necessità di compiere tali operazioni nell’interesse dell’istituto e dei clienti. Quindi l’accesso, privo di causa, deve essere valutato dal giudice di merito, in relazione al rapporto fiduciario tra datore e prestatore di lavoro, che concede l’utilizzo di tali strumenti ai propri dipendenti affinché operino in maniera lecita durante la prestazione lavorativa, senza avvalersi delle potenzialità di conoscenza al di fuori delle strette esigenze lavorative. Dunque, il fatto, nella sua materialità (il cui accertamento rientra ovviamente nel giudizio di merito) non può essere considerato lieve, allorché si concreti in una violazione degli obblighi di protezione dei dati personali previsti dal Dlgs 196/2003 soprattutto da parte di coloro che operano all’interno dell’istituto. Ne consegue che la decisione della Corte d’appello si pone in contrasto con i principi di diritto appena richiamati con l’accoglimento del motivo della banca.
05-02-2025 22:57
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