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Sentenza

Ricorsi e IA: l’automazione può comportare una condanna per abuso del processo...
Ricorsi e IA: l’automazione può comportare una condanna per abuso del processo
Sentenza 1034/2025 del Tribunale di Latina
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI LATINA
Sezione Lavoro
in persona del giudice del lavoro Valentina Avarello ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al numero 2479 nel ruolo generale dell’anno 2024 promossa da
rappresentato e difeso dall’Avv.to
CONTRO
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La presente sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 429 c.p.c. e depositata in via telematica,
viene redatta senza la concisa esposizione dello svolgimento del processo e con una
motivazione limitata alla succinta enunciazione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni
giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi, così come previsto
dagli artt. 132 n. 4) c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. nonché sulla scorta del criterio della “ragione
più liquida”, per cui se in un processo sussiste una ragione sufficiente per decidere la lite, la
sentenza può fondarsi su di essa anche quando il motivo della decisione si pone, da un punto di
vista logico, a valle di altre ragioni che non sono affrontate e decise.
Il principio – che trova fondamento costituzionale negli artt. 24 e 111 Cost. – consente di
prescindere dall’osservanza dell’ordine logico delle questioni da esaminare di cui all’art. 276
c.p.c. così da decidere la causa nel modo più semplice e rapido ove si prospetti una questione
assorbente, quantunque logicamente subordinata, senza che sia necessario passare previamente
in rassegna tutte le altre, anche se di carattere preliminare (v. Cass. n. 27953/2018; Cass. n.
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2909/2017; Cass. 2853/2017; Cass. sez. VI-L ord. 28/05/2014, n. 12002, Cass. sez. un.
9936/14; Cass. Sez. Un. N. 26242.3/2014).
2. La domanda attorea – avente ad oggetto l’accertamento negativo del credito contributivo
portato dall’avviso di addebito n. il cui pagamento è stato ingiunto
con intimazione di pagamento n. per l’importo di € 8.493,50 – è
infondata e deve essere rigettata.
3. Con memoria di costituzione tempestivamente depositata l’ ha rappresentato che il
ricorrente ha presentato medesima domanda di accertamento negativo del credito contributivo
portato dall’AVA n. nel procedimento di cui R.G. 2923/2024
pendente dinanzi al Tribunale e ne ha chiesto la riunione in ragione della litispendenza/ne bis in
idem.
Inoltre, nel merito, ha dedotto e documentato la notifica dell’AVA impugnato.
4. In sede di prima udienza la difesa attorea ha ritenuto di non effettuare alcun rilievo e di non
prendere posizione in relazione a quanto riferito dall’ .
In particolare la difesa attorea ha depositato note di trattazione scritta per la prima udienza
(fissata al 17.6.2025) in data 2.8.2024 (il giorno dopo l’emissione del decreto di fissazione
d’udienza), prima pertanto della notifica del ricorso e della costituzione dell’ ,
scegliendo, evidentemente, con il proprio contegno difensivo, di non prendere posizione in
relazione alle difese ed alla documentazione prodotta dall’ .
Al fine di chiarire tale contegno processuale e comprendere altresì le ragioni della duplicazione
dei giudizi, all’esito della prima udienza del 17.6.2025, è stata disposta la comparizione
personale della parte ricorrente e del difensore con rinvio all’udienza del 8.7.2025.
All’udienza del 8.7.2025 nessuno è comparso per la parte ricorrente e la causa è stata rinviata
all’udienza del 23.9.2025, disponendo la comparizione personale dell’avv. Bianchini,
convocata personalmente in numerosi altri giudizi e mai comparsa davanti al Tribunale.
All’odierna udienza era presente, in sostituzione dell’avv. Bianchini, l’avv. Rampini, il quale
ha rappresentato di non aver nulla da riferire, non essendo stato notiziato dalla collega.
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5. Alla luce della documentazione in atti, in alcun modo contestata dalla parte ricorrente, preso
atto della regolarità della notifica dell’AVA impugnato in data 1.9.2022, il credito contributivo
deve essere dichiarato incontrovertibile.
La prescrizione successiva alla notifica risulta poi tempestivamente interrotta dalla intimazione
di pagamento impugnata con il presente giudizio.
6. Il ricorso risulta pertanto palesemente infondato.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo in
relazione ai parametri indicati dal D.M. n. 55 del 2014 in considerazione del valore della causa
(scaglione € 5.200 – 26.000) e della attività processuale svolta.
8. Inoltre ritiene il Tribunale sussistano i presupposti della responsabilità aggravata ex art. 96
comma 3 c.p.c.
Il ricorso giudiziario – così come tutti gli altri centinaia di giudizi patrocinati dal medesimo
difensore, tutti redatti a stampone - risulta evidentemente redatto con strumenti di intelligenza
artificiale; tanto è evidente non solo dalla gestione del procedimento (deposito di note ex art.
127 ter c.p.c. il giorno successivo al deposito del decreto di fissazione di udienza) ma
soprattutto dalla scarsa qualità degli scritti difensivi e dalla totale mancanza di pertinenza o
rilevanza degli argomenti utilizzati; l’atto è infatti composto da un coacervo di citazioni
normative e giurisprudenziali astratte, prive di ordine logico ed in gran parte inconferenti
rispetto al thema decidendum ed, in ogni caso, tutte manifestamente infondate.
Il difensore inoltre, più volte invitato a presentarsi in udienza al fine di rendere chiarimenti, ha
ritenuto di non presenziare.
Alcuna giustificazione è inoltre stata presentata in relazione alla duplicazione dei giudizi. Si
rileva sul punto che il procedimento R.G. 2923/2024 risulta definito con declaratoria di
inammissibilità in data 15.7.2025.
È evidente pertanto che l’azione risulta introdotta in malafede ovvero con grave negligenza,
tale da giustificare la condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. alla somma di € 1.000,00 da
corrispondere alla controparte oltre ad € 1.000 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
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Il Tribunale di Latina, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da
nei confronti di (R.G. 2479/2024), ogni contraria domanda, eccezione e
difesa respinte, così provvede:
- rigetta il ricorso;
- condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite nei confronti dell’ che si
liquidano in € 5.391,00 oltre accessori di legge;
- condanna il ricorrente ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c. al pagamento di € 1.000 in favore
dell’ ed € 1.000 in favore della cassa delle ammende
Così deciso in Latina, 23.09.2025
Il Giudice del Lavoro
dr.ssa Valentina Avarello

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella redazione degli atti difensivi, se non accompagnato da un controllo umano effettivo, può trasformarsi in abuso del processo e giustificare una condanna per responsabilità aggravata. Con la sentenza 1034/2025, il Tribunale di Latina introduce questo principio destinato a segnare un punto di svolta. 
Il giudice valorizza il ruolo della forma come espressione sostanziale della difesa, sottolineando che l’atto deve presentare coerenza logica, pertinenza e partecipazione effettiva. L’uso di modelli standardizzati e ripetitivi, se privo di adattamento al caso concreto, rischia di diventare un indice di abuso. Per il Tribunale, la libertà di difesa non è assoluta e va esercitata in modo consapevole, evitando automatismi che svuotano il processo di contenuto. Il controllo sulla qualità redazionale diventa così elemento rilevante nella valutazione della correttezza dell’azione giudiziaria.

Tutto inizia con un ricorso che, a prima vista, sembra uno dei tanti: l’impugnazione di un avviso di addebito contributivo, con la richiesta di accertarne l’infondatezza. Ma qualcosa sembra non tornare. L’atto appare infarcito di richiami normativi generici, estranei alla questione concreta. Il giudice osserva, interroga, attende chiarimenti. A quel punto, agli occhi del giudice, il dubbio si fa certezza, non si tratta di errori, ma di un uso distorto del processo costruito su automatismi difensivi e inconferenti richiami giurisprudenziali: c’è di mezzo l’IA.

A ben vedere la portata della decisione va ben oltre il caso concreto. Perché a essere sanzionata non è soltanto un’azione infondata, ma una strategia difensiva fondata sull’automatismo e sulla riproduzione meccanica di atti. Il giudice non si limita a stabilire chi ha ragione e chi ha torto, ma si interroga sul modo stesso in cui quella ragione è stata invocata. E qui risiede l’elemento innovativo della decisione: la forma diventa parte integrante della sostanza processuale. L’atto difensivo non può più essere solo un contenitore di norme e massime, ma deve rivelare una scelta argomentativa autentica, calata nella specificità del caso sottoposto all’attenzione del giudice.

La sentenza apre così un varco che intercetta una trasformazione già in atto nel mondo professionale: la crescente diffusione di strumenti digitali, inclusi quelli basati sull’intelligenza artificiale, nella redazione degli atti processuali. Ma non tutto ciò che è possibile è anche ammissibile in giudizio. Quando la tecnologia si limita a replicare modelli generici, senza un reale intervento umano che filtri, adatti e colleghi il testo alla controversia concreta, il risultato rischia di diventare non solo inefficace, ma anche dannoso. E non per un vizio tecnico, ma per una mancanza sostanziale: quella del senso compiuto.

Tuttavia il giudice non vieta l’uso dell’automazione e delle nuove tecnologie ma ne individua i confini. In altre parole, non è in discussione lo strumento, ma l’uso che se ne può fare. Il difensore che si affida a un modello generativo ha l’onere di verificare che l’atto parli davvero del caso che vuole sostenere in giudizio. Che sia coerente, pertinente, motivato. Che risponda, cioè, alla logica del processo: quella di rappresentare una pretesa o una difesa in modo razionale, dialogico, responsabile. L’intelligenza artificiale può di certo aiutare, ma non può sostituire l’intelligenza argomentativa che è, e resta umana, del professionista. E proprio su questo campo si gioca la novità della pronuncia.

La qualità dell’atto viene letta non solo in funzione del contenuto, ma anche della sua origine e del suo concreto impatto processuale. Non basta richiamare norme e sentenze: serve un ragionamento che tenga insieme il tutto, le fonti e il fatto, l’obiettivo e il percorso. Quando questo manca, il rischio è che l’atto diventi solo una sovrastruttura, un simulacro di difesa. E quando ciò accade in modo sistematico, in più giudizi, con le stesse modalità, allora la forma rivela l’intenzione: non tanto ottenere giustizia, quanto moltiplicare i procedimenti nella speranza di ottenere una pronuncia favorevole.

La responsabilità aggravata, in questo contesto, non è più solo una sanzione per l’infondatezza della domanda, ma uno strumento di presidio dell’etica processuale. Serve a dire che il processo è una risorsa pubblica e come tale va usata con misura. Che la difesa non è un diritto assoluto, ma una funzione che richiede cura, presenza, rispetto. E che affidarsi in modo meccanico a strumenti che replicano senza comprendere può portare ad atti irragionevoli. Non per l’errore in sé, ma per il modo in cui quell’errore si inserisce in una catena di automatismi che svuota di significato il rito stesso.

È su questo crinale che si innesta la vera novità della decisione. Non nella norma applicata, ma nella chiave interpretativa adottata. Un approccio che responsabilizza i professionisti, chiamandoli a una riflessione più profonda sull’uso degli strumenti oggi a disposizione.
Avv. Antonino Sugamele

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