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Sentenza

Fallimento: la scientia decoctonis della banca deve essere provata dal curatore....
Fallimento: la scientia decoctonis della banca deve essere provata dal curatore.
Conoscenza effettiva o potenziale dello stato d'insolvenza? 
Come evidenziato dalla dottrina (Redazione ACLAW, La prova della scientia decoctionis nell'azione revocatoria fallimentare contro i c.d. “operatori qualificati”) e dalla giurisprudenza, nell'affermare la prevalenza della prima tesi, sussistono molti contrasti e problemi esegetici. Dato che la prova concreta dovrebbe essere data tramite dichiarazioni confessorie, molto rare, può essere desunta, anche indirettamente, da presunzioni e da semplici indizi tramite «la comune prudenza ed avvedutezza o la normale ed ordinaria diligenza» (Meloncelli, La natura semantica dell'insolvenza nota a Cass. Civ. 1719/01, Cass. 11369/98, 586/85 e conformi), sì da formare l'oggetto dell'effettiva valutazione da parte del giudice ai sensi del combinato disposto degli artt. 2727 e 2729 cc. La Cass. Civ. n. 4277/98, nel fornire la definizione di scientia decoctionis, sancisce che l'avvenuta pubblicazione di una pluralità di protesti a carico del fallito esonera il curatore dal produrre ulteriori prove dello stato d'insolvenza, salvo la necessità del giudice di valutarne, caso per caso, la rilevanza probatoria (Cass., n. 14787/12). La sentenza annotata riporta anche un'ampia casistica, cui si rinvia in toto, comprendente la pubblicazione di bilanci in perdita o di notizie sulla stampa relative alle vicende dell'impresa fallita (scioperi, cassa integrazione etc.) e similia da cui presumerla (CDA TO 19/03/95 e MI del 26/07/85).
Qualifica professionale dell'operatore ed onere di allegazione da parte del curatore. Si deve parametrare tale diligenza alla natura ed alla qualifica di operatore professionale, ma dalla stessa non si può desumere con certezza tale elemento oggettivo. Infatti non è possibile affermare che il creditore, in quanto banca, abbia una concreta conoscenza dell'insolvenza del fallito viste le attività svolte, le sue conoscenze tecniche specifiche, avendo la possibilità di accedere alla Centrale Rischi e di monitorare i conti, sì da sapere, prima e meglio degli altri creditori, la sua situazione patrimoniale e rilevare vicende aziendali, pur se poco significative, sintomatiche delle sue difficoltà economiche. Se si accettasse ciò «si rischierebbe di escludere (ed illegittimamente) ogni necessità di allegazione da parte del curatore degli elementi sintomatici della concreta conoscenza della crisi dell'imprenditore o addirittura di dar luogo ad una vera e propria inversione dell'onere della prova» (Cass. Civ. 4765/98, 18196/12, ord. 25952/13). Ergo, come sopra detto, non è valido il sillogismo per desumere tutto ciò dal mero andamento anomalo dei conti se non sono prodotti anche i bilanci e non sono dettagliatamente riportate tutte le operazioni compiute nei sei mesi prima del fallimento. Nella fattispecie non si è assolto a questo onere e le rimesse erano di poco antecedenti al fallimento, perciò manca detta conoscenza effettiva e l'azione è stata rigettata. Si noti come questa sia una delle poche sentenze in cui sono conteggiate analiticamente ex DM 55/14 le spettanze liquidate al legale della convenuta (parte vincitrice).
Avv. Antonino Sugamele

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