Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Civilista Trapani

Sentenza

Mediazione e condizione di procedibilità. Quando può dirsi assolta la condizione...
Mediazione e condizione di procedibilità. Quando può dirsi assolta la condizione di procedibilità?
Tribunale di Chieti, sez. Civile, sentenza non definitiva
Giudice Ria

Motivi della decisione

Viene al vaglio dello scrivente la questione, pregiudiziale rispetto ad ogni altra, relativa alla pretesa (da parte dell'istituto opposto) improcedibilità dell'opposizione per omesso esperimento del tentativo di mediazione obbligatorio da parte dei garanti, persone fisiche (unica questione tempestivamente eccepita dalla parte e rilevata dallo scrivente in sede di prima udienza) nonché per mancata comparizione personale di tutte le parti opponenti dinanzi al mediatore (questione in verità non eccepita dalla parte e non rilevata entro quel rigoroso termine preclusivo, ma solo nell'ambito delle conclusionali ex art. 190 cpc); nonostante il precedente assegnatario, adottati i provvedimenti sulle istanze c.d. cautelari, avesse appunto disposto per la presentazione dell'istanza di mediazione. Nella valutazione di fondatezza della proposta eccezione, occorre, a parere dello scrivente distinguere i profili inerenti da un lato l'interesse concreto allo svolgimento della procedura di mediazione nella specifica ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo e dall'altro il maturarsi della condizione di procedibilità, che consente ed anzi impone al giudice di procedere nella
Trattazione del procedimento. In relazione al primo profilo, non può esserci dubbio, a parere dello scrivente, in ordine alla affermazione che l'interesse concreto alla presentazione della istanza di mediazione debba essere individuato in capo alla parte opponente, quale parte appunto "interessata" ad evitare il prospettabile "passaggio in giudicato" dell'opposto decreto nell'ipotesi, in ogni caso, di mancato avveramento della condizione. L'art. 5, 4 co. D. Lgs 28/2010 prescrive che i commi 1 bis e 2, e cioè quelli che prevedono la mediazione obbligatoria prima del giudizio, ovvero la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano " nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione" (lett. a). Ad avviso anche di questo giudicante (si veda sul punto tra le tante Trib. Firenze III^ 30.10.2004 che di seguito si riporta) con tale disposizione si è inteso escludere sia che la proposizione del ricorso monitorio o della opposizione in materia rientrante tra quelle per le quali è prevista la necessaria mediazione ante causam, siano condizionate da tale incombente, sia che in tali procedimenti e nel susseguente giudizio di opposizione sino a quando siano stati adottati i provvedimenti, ritenuti evidentemente urgenti ed incompatibili con i tempi della mediazione, di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., possa essere disposta la mediazione delegata dal giudice. La ratio di tale disciplina è evidente. Si è cioè ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell'opposizione, il cui termine di proponibilità è contingentato dall'art. 641 c.p.c.. Alla luce di tale disposizione ne segue che, in caso di pretesa azionata in via monitoria, l'esperimento della mediazione è possibile solo quando è proposta opposizione, e comunque dopo l'adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelare, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso. Ciò posto, fermo restando che ai sensi dell'art. 5, co. II, citato, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam, comporta la "improcedibilità della domanda giudiziale", è assai discusso in dottrina e giurisprudenza chi abbia l'onere di promuovere la mediazione, e quindi abbia interesse ad evitare la declaratoria di improcedibilità, in caso di mediazione nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo. E' evidente infatti che, in una causa ordinaria, l'interesse a promuovere la mediazione sarà sempre dell'attore, in quanto parte che mira ad ottenere sentenza di merito sulla
domanda proposta. Il convenuto potrà infatti avere interesse ad eseguire la mediazione solo laddove abbia proposto domanda riconvenzionale, ovvero comunque confidi nella probabile emissione di una pronuncia di merito favorevole,
come tale idonea al giudicato sostanziale ai sensi dell'art. 2909 c.c. Negli altri casi, l'eventuale declaratoria di improcedibilità non pregiudica direttamente il convenuto, che anzi vede allontanarsi il rischio di una pronuncia di merito sfavorevole. Controversa è invece la questione, ove la mediazione omessa attenga ad un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Secondo un primo indiR. che, valorizza la consolidata giurisprudenza circa l'oggetto del giudizio di opposizione, la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria.
Viene infatti richiamato in proposito il principio, peraltro condivisibile, secondo cui il processo di esecuzione verte sul rapporto dedotto in giudizio dal creditore e non esclusivamente sulla legittimità del D.I., e che l'onere probatorio e le relative facoltà processuali vanno valutate non avendo riguardo alla qualità formale di attore e convenuto in opposizione, bensì con riferimento alla rilevanza sostanziale della rispettiva posizione processuale (per cui il ricorrente in monitorio, formalmente convenuto in opposizione, è da considerarsi attore in senso sostanziale, mentre l'opponente è convenuto sostanziale). Ne segue che il convenuto opposto, titolare delle pretesa creditoria azionata ed oggetto del giudizio di opposizione, sarebbe l'unico soggetto che, al di fuori dei casi di domanda riconvenzionale, propone la "domanda giudiziale" e che pertanto dovrebbe subire gli effetti della declaratoria di improcedibilità. Tale soggetto, pertanto, concludono i fautori di tale tesi, avrà l'onere di promuovere la mediazione, subendo, in alternativa , gli effetti deteriori della relativa omissione. Diversamente argomentando, si osserva, "vi sarebbe un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l'ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore" (Trib. Varese sentenza 18.5.2012, est. Buffone, reperibile su siti internet specializzati). Secondo invece un diverso orientamento, che muove della ritenuta scarsa chiarezza obbiettiva delle disposizioni letterali utilizzate e che valorizza la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, è stata sostenuta, in caso di omessa mediazione, la improcedibilità della opposizione, con conseguente passaggio in giudicato del D.l. opposto (Trib. Prato, sent. 18.7.2011, est. IANNONE; Trib. Rimini sent. 5.8.14 est. BERNARDI in sito MONDO ADR, Trib. Siena 25.6.2012, est. Caramellino). Ad avviso di questo Giudice, pur consapevole della obbiettiva controvertibilità della questione, la tesi corretta è la seconda. Essa, infatti, è l'unica che si armoN. con i principi generali in materia di effetti della inattività delle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e che valorizza la stessa ratio deflattiva del procedimento di mediazione. Va premesso che la mancata attivazione della mediazione disposta dal giudice, al di là della terminologia utilizzata dal Legislatore e dalla sanzione prevista (improcedibilità della domanda giudiziale, anche in appello), altro non è che una forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse omesso di dare
esecuzione all'ordine del giudice. E' noto che secondo la legge processuale l'inattività delle parti rispetto a specifici adempimenti comporta, di regola, l'estinzione del processo (si pensi all'inosservanza all'ordine giudiziale di integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorte necessario, alla mancata rinnovazione della citazione, alla omessa riassunzione del processo, alla mancata comparizione delle parti a due udienze consecutive - artt 102, 181, 307 e 309 c.p.c.). L'estinzione non produce peraltro particolari effetti sotto il profilo sostanziale, salvo che nelle more della pendenza del giudizio estinto non sia maturata qualche decadenza o prescrizione di natura sostanziale. Recita, infatti, l'art. 310, I co. c.p.c. che "l'estinzione del processo non estingue l'azione". In buona sostanza, la parte, che vede "cadere" il processo a seguito di declaratoria di estinzione, ben potrà avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la medesima domanda di merito.
Tale regola, però, non vale in caso di estinzione riguardante il giudizio di opposizione a D.I.. E' infatti previsto che, in tal caso, "il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva" giusto il disposto di cui all'art. 653, I co. c.p.c.. Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, concorde la dottrina, tale disposizione va intesa nel senso che l'estinzione dei giudizio di opposizione produce gli stessi effetti dell'estinzione dei giudizio di impugnazione: il decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo ed acquista l'incontrovertibilità tipica dei giudicato. (CASS. N. 4294/2004; n. 849/00). Non sarà pertanto possibile riproporre l'opposizione e resteranno coperti da giudicato implicito tutte le questioni costituenti antecedente logico necessario della decisione monitoria (cfr sul punto, tra le altre, Cass. 15178/00).
Evidente è l'analogia di ratio e di disciplina tra l'estinzione dell'opposizione a D.l. e quella dei processo di appello (art. 338 c.p.c. secondo cui 'l'estinzione dei giudizio di appello... fa passare in giudicato Ia sentenza impugnata..."). Si pensi, ancora, alla sanzione processuale prevista in caso di tardiva costituzione in giudizio dell'opponente. Sul punto è consolidata la giurisprudenza di legittimità nel senso di ritenere che in tal caso l'opposizione è improcedibile (tra le tante, CASS. N. 15727/06; nello stesso senso Cass. n. 25621/08), con passaggio in giudicato dei D. I. (così come si evince dal combinato disposto di cui agli artt. 647 e 656 c.p.c.). Trattasi di disposizione che trova il suo corrispondente in fase di appello nell'art. 348, I co. c.p.c., il quale espressamente prevede la sanzione dell'improcedibilità dell'appello, se l'appellante non si costituisce nei termini. E' pacifico che anche in tal caso la sentenza di primo grado passa in giudicato. Ancora, si pensi all'inammissibilità dell'opposizione, perché proposta dopo il termine di cui all'art. 641 c.p.c., ed alla analogia di trattamento rispetto al mancato rispetto in fase di impugnazione dei termini perentori di
cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.. Tale disciplina risponde all'elementare esigenza di porre a carico della parte opponente/appellante, che si
avvale dei rimedi previsti per evitare il consolidarsi di provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e per ottenerne la revoca/riforma, l'onere di proporre e coltivare ritualmente il processo di opposizione/ di gravame, ponendo in essere ritualmente tutti gli atti di impulso necessari.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che la interpretazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. N. 28/10 e s.m.i. in materia di conseguenze dell'omessa mediazione non possa prescindere dalla particolare natura dei giudizi cui essa si riferisce, e segnatamente dalle peculiarità del giudizio di opposizione a D.I., che presenta i suddetti aspetti di analogia con i giudizi impugnatori. Al fine di non optare per una interpretazione dell'art. 5, II co. D. Lgs citato, incoerente e dissonante con le suddette peculiarità, deve pertanto ritenersi che nell'opposizione a D.I., così come per i procedimenti di appello, la locuzione "improcedibilità della domanda giudiziale" debba interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell'opposizione (o dell'impugnazione in caso di appello) e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo. Invero, la tesi per prima indicata appare fondata essenzialmente, al di là delle suggestioni relative allo scollamento tra qualità formale e sostanziale delle parti, peraltro costituente anch'esso caratteristica di tale tipo di procedimento, su una mera interpretazione letterale della disciplina, secondo cui "l'improcedibilità della domanda giudiziale" sarebbe senz'altro da individuare, anche ai sensi dell'art. 39 ultimo comma c.p.c., nell'originario ricorso monitorio. Peraltro, così argomentando, si verrebbe a configurare, come è stato evidenziato in dottrina, una singolare "improcedibilità postuma" che dovrebbe colpire un provvedimento giudiziario condannatorio idoneo al
giudicato sostanziale, già definitivamente emesso, ancorché sub judice. Si tratterebbe, in sostanza, di sanzione processuale che non consta abbia uguali nell'ordinamento processuale.
Il tutto senza considerare l'inopportunità di porre nel nulla una pretesa che è già stata scrutinata positivamente dall'autorità giudiziaria, sia pure non nel contraddittorio delle parti, con provvedimento idoneo al giudicato sostanziale. Si aggiunga che in tal caso, ove la domanda sia una pretesa creditoria di condanna, dovrebbe allora ritenersi, con riferimento al giudizio di appello, che la inosservanza della mediazione disposta dal giudice dovrebbe comportare, ove la sentenza di primo grado abbia interamente accolto la domanda ed il gravame sia stato proposto dal debitore condannato che non abbia avanzato alcuna riconvenzionale, l'integrale travolgimento non solo del giudizio di appello, ma anche di quello di primo grado e della sentenza impugnata. Fare riferimento alla domanda sostanziale, ed alla nozione di attore in senso sostanziale, porterebbe cioè all'inevitabile conseguenza, sempreché nelle more non siano maturate decadenze o prescrizioni, che il processo potrebbe ricominciare da zero (nuovo ricorso monitorio, conseguente opposizione ecc.). Dove sia la ratio deflattiva dell'istituto della mediazione delegata, così interpretata, resta incomprensibile. In realtà in caso di omessa mediazione nell'opposizione a D.l. non si avrebbe alcun deflazionamento effettivo, bensì il raddoppio dei processi e degli adempimenti. Il creditore che non ottiene soddisfazione dal processo "improcedibile" non esiterà, nella maggior parte dei casi, a riproporre in via giudiziale la medesima domanda.
Si aggiunga che la soluzione interpretativa proposta esalta la portata e l'efficacia deflattiva dell'istituto, essendo evidente che il formarsi del giudicato rende non più ulteriormente discutibile il rapporto controverso, con conseguente rigetto in rito dell'eventuale riproposizione della medesima domanda (o di altre con questa incompatibili).
Le questioni poste a base dell'opposizione a DI, come nel caso dell'appello, una volta dichiarate "improcedibili", non potrebbero essere più utilmente riproposte. Né d'altra parte può ritenersi, così come sostenuto nella citata pronuncia dal Tribunale di Varese, che tale soluzione circa l'opposizione a D.I., creerebbe "un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l'ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore". Invero, non può ravvisarsi alcuna disparità irragionevole nella circostanza che la scelta tra i diversi strumenti processuali attivabili dall'attore sostanziale possa comportare oneri e costi diversi per la parte convenuta. D'altra parte non è seriamente contestabile la piena legittimità e compatibilità del rito monitorio e della disciplina codicistica dell'opposizione con i principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost. e ciò anche se è indubbio che la scelta tra le diverse opzioni possibili di esercizio del diritto di azione, e segnatamente quella del rito monitorio, pone a carico della parte ingiunta oneri diversi ed ulteriori (si pensi solo al termine più breve per proporre l'opposizione, rispetto a quello di cui all'art. 163 bis c.p.c., e di costituzione in giudizio, ovvero ai costi di iscrizione a ruolo e di notifica della causa di opposizione) rispetto a quelli che la stessa deve assolvere, ove evocata in giudizio in via ordinaria. Ciò che è certo è che i costi della promozione della mediazione, che consistono in sostanza nella mera redazione ed invio della richiesta all'organismo di mediazione con pagamento delle spese di segreteria per poche decine di euro, per la loro obbiettiva modestia, non possono certo considerarsi di per sé tali da far valutare irragionevole la scelta legislativa in questione. D'altra parte va richiamato il combinato disposto di cui agli artt. 5 comma 2 bis e 17, comma 5 ter D. Lgs. N. 28/10, così come introdotti dal DL 69/13 cony. L. 98/13, da cui si evince, da un lato, che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale "si considera avverata se il primo incontro avanti al mediatore si conclude senza l'accordo" e, dall'altro, che "nel caso di mancato accordo all'esito del primo
incontro, nessun compenso è dovuto per l'organismo di mediazione". Non sembra pertanto che porre l'onere dell'avvio della mediazione a carico del debitore opponente comporti
alcun sacrificio economicamente apprezzabile. Si aggiunga che tale opzione interpretativa, che pone a carico della parte opponente l'onere della proposizione della mediazione, dovrà applicarsi, ovviamente, non solo nei giudizi ex art. 645 c.p.c., ma ogni qualvolta il processo abbia già prodotto un provvedimento idoneo al giudicato ex art. 2909
c.c.. (es. ordinanze ex art. 186 bis e ter C.P.C. ecc.). Anche in tal caso la omessa mediazione comporterà la intangibilità del provvedimento adottato, con le inevitabili conseguenze circa gli antecedenti logici della decisione e l'oggetto del giudicato. In tutti gli altri casi, ovviamente, non può che prendersi atto della scelta legislativa circa la sanzione processuale applicata, di mero rito, e della conseguente possibilità di riproposizione della domanda senza limiti, salva l'eventuale maturazione di decadenze o prescrizioni (Tribunale Firenze, sez. III, 30/10/2014 cit.). L'individuazione della parte interessata alla instaurazione del procedimento di mediazione e quindi onerata dell'attivazione della procedura, secondo una valutazione ex ante, non va tuttavia confuso con la verifica "a valle" che deve essere poi che deve essere compiuta dal giudice, essendo la condizione di procedibilità costituita, ex art. 5, 2 co. bis cit, dalla conclusione del primo incontro "senza l'accordo". A norma infatti dell'art. 5 2 bis "quando l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo". L'esito negativo dell'incontro allora, nel senso tra l'altro su cui oltre, costituisce la condizione di procedibilità che il giudice è chiamato a verificare essersi consumata; onde l'accertamento sull'iniziativa originante quell'incontro, laddove poi allo stesso si sia in concreto pervenuti, resta in verità del tutto irrilevante. E così, se certamente è interesse specifico dell'opponente, per le ragioni già esposte, di introdurre esso stesso la procedura di mediazione (ad evitare che altri non provvedano e che pertanto non si addivenga all'incontro davanti al mediatore), alcun dubbio può esservi in ordine alla affermazione che la declaratoria di improcedibilità resti radicalmente preclusa al giudice ove in ipotesi all'incontro con esito negativo, integrante la condizione de qua, si sia pervenuti per iniziativa non dell'opponente (che pure vi ha l'interesse specifico ed immediato) ma per iniziativa dell'opposto. Di fronte cioè all'avverarsi della condizione (esito negativo dell'incontro) ex art. 5, 2° co- bis, resta del tutto irrilevante lo scendere a verificare su iniziativa di quale delle parti si sia addivenuti alla maturazione di quella fase. Tanto ciò è vero, che per prassi ormai invalsa in diversi uffici giudiziari (si veda tra gli altri Tribunale Pavia III^ 9.3.2015), il giudice manda alla "parte più diligente" per l'attivazione del procedimento di mediazione, restando appunto indifferente l'aspetto relativo alla parte che poi a tanto provveda; ciò a fronte di quel chiaro disposto normativo (art. 5 secondo comma bis cit.), che, ai fini della procedibilità della domanda, connette ogni effetto solo all'esito negativo dell'incontro e dell'ulteriore norma (art. 8) che impone poi al mediatore di convenire davanti a sé l'altra parte. Così ricostruito sommariamente il sistema, appare evidente come della richiesta di attivazione del procedimento di mediazione, presentata da una sola delle parti (peraltro nello specifico dal condebitore in solido) possano senz'altro giovarsi, in relazione al capo di domanda che le individua come tali, anche le parti non controparti della stessa (controparte che come detto senz'altro potrebbe giovarsene), al fine di consumare quella condizione di procedibilità costituita dall'esito negativo del procedimento.
D'altra parte a norma dell'4 1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all'articolo 2 e' presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di piu' domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo
territorialmente competente presso il quale e' stata presentata la prima domanda. Questa ipotesi è stata proprio introdotta per scongiurare il rischio di procedimenti di mediazione paralleli, pur in presenza della stesa lite, e per offrire una chiave regolatrice della competenza e ciò conferma che, presentata l'istanza da parte di una delle parti, l'iniziativa di questa estende i suoi effetti a tutte le parti già presenti nel procedimento con specifico riguardo alla domanda in relazione alla quale rivestono il ruolo di parti interessate e non solo controinteressate; assunto che spiega anche l'obbligo la
convocazione di tutte dinanzi al mediatore ex art. 8 cit.. Come più volte accennato poi, è l'esito negativo dell'incontro a costituire condizione di procedibilità e, a giudizio dello scrivente, tale esito negativo non può che essere costituito, oltre che da un mancato accordo su una proposta tra parti comnparse, anche dal c.d. verbale negativo per mancata comparizione di una o di
entrambe le prti, ivi inclusa la parte c.d. litigante. Ai sensi dell'art. 5 comma 1 d.Ig. n. 28 del 2010, in caso di mediazione obbligatoria, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La condizione che rende procedibile la domanda si realizza, quindi, quando il procedimento di mediazione è stato esperito. Ai sensi dell'art. 11 comma 4 d.Ig. n. 28 del 2010, poi: «nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione». Infine, ai sensi dell'art. 8 comma 5 d.Ig. n. 28 del 2010: «dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'art. 116 comma 2c. p. c. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo
corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.». A ben vedere, come evidenziato dagli interpreti più sensibili alla riaffermazione forte del diritto ad adire l'AG, l'articolato normativo sin qui richiamato, anche nelle modifiche subite a seguito dell'intervento del 2013, non vieta affatto (ma neppure espressamente abilita) l'ipotesi della mancata partecipazione di entrambi i litiganti al procedimento di mediazione e ciò significa che anche il c.d. verbale negativo (per mancata comparizione delle parti) integra la condizione di procedibilità de qua. Come anticipato infatti, la legge espressamente prevede quali conseguenze discendano dall'inottemperanza anche del litigante all'«obbligo di cooperazione» con i mediatori: valutazione, in sede processuale, del comportamento ex art. 116 comma 2 c.p.c. e condanna al pagamento di quella somma. In secondo luogo, «esperire il tentativo di mediazione significa semplicemente e solo presentare la domanda di mediazione» e di ciò ve ne è conferma nell'art. 5 d.lg. n. 28 del 2010 in cui si prevede che «il giudice assegna un termine per «la presentazione della domanda di mediazione» (quando questa non è stata esperita), non per la comparizione davanti al mediatore. La Corte costituzionale infine ha ripetutamente affermato che le norme ordinarie che
prevedono una giurisdizione cd. Condizionata sono di stretta interpretazione (v. ex multis, C. cost., sentenza n. 403 del 2007); sono, cioè, norme eccezionali che, in quanto di deroga al principio del libero accesso al giudice, non possono essere interpretate in senso estensivo e non possono beneficiare del procedimento analogico. Ciò vuoi dire che, nel silenzio legislativo, la previsione che preclude l'accesso diretto al giudice va interpretata nel suo significato minore, quello, cioè, che utilmente (e sufficientemente) realizza il
fine preso di mira dalla norma. La sufficienza del verbale negativo, quale condizione di procedibilità, è anche l'interpretazione della normativa più conforme al diritto comunitario. Quanto alla direttiva comunitaria 2008/52/CE, il considerando n. 13 prevede che la mediazione sia «un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono orgaN.rlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento». Quanto alla raccomandazione 98/257/CE, il capo V prevede espressamente il «principio di libertà», quale condicio sine qua non del tentativo stragiudiziale. Un sintetico articolato normativo che costruisce, però, una chiara direttrice ermeneutica: nel dubbio, le norme interne vanno interpretate nel senso
in cui maggiormente garantiscono libertà di scelta in capo al litigante. Se pertanto anche il verbale negativo (pure per assenza del litigante) costituisce condizione di procedibilità, se cioè, salvo le conseguenze sanzionatorie di cui all'art. 8, 5 comma (ed a parte le questioni relative al compenso del mediatore che qui non vengono in rilievo), ogni parte resta libera di comparire o meno davanti al mediatore, davvero resta incomprensibile l'eccezione di improcedibilità sollevata dall'opposta, attraverso un non sempre lucida valorizzazione di termini utilizzati in altre disposizioni ed il disconoscimento invece di quel chiaro disposto (art. 8, 5 comma), sul presupposto che le parti non sono comparse personalmente davanti al mediatore;
tanto in un incontro nell'ambito del quale peraltro alcune delle stesse, tramite il procuratore già costituito in giudizio ed ivi comparso, addirittura formulavano un'offerta rifiutata invece dal procuratore dell'istituto. Per tutti i motivi sin qui esposti, va pertanto rigettata l'eccezione di improcedibilità sollevata dall'istituto opposto. Spese, sul presupposto della totale soccombenza dell'istituto sul punto, al definitivo. Si dispone in dispositivo per la prosecuzione del giudizio.

P.Q.M.

rigetta l'eccezione di improcedibilità; spese al definitivo; fissa per il prosieguo l'udienza del 28.10.2015.
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza