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Sentenza

Codice deontologico Magistrati.DECRETO LEGISLATIVO 23 febbraio 2006, n.109...
Codice deontologico Magistrati.DECRETO LEGISLATIVO 23 febbraio 2006, n.109
Codice deontologico Magistrati

DECRETO LEGISLATIVO 23 febbraio 2006, n.109
Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e
della procedura per la loro applicabilita', nonche' modifica della disciplina
in tema di incompatibilita', dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei
magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio
2005, n. 150.
Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 67 del 21-3-2006
Capo I
Della responsabilita' disciplinare dei magistratiSezione IDegli illeciti disciplinari
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;
Vista la legge 25 luglio 2005, n. 150, recante delega al Governo
per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto
30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della
giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio
di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza
della giustizia amministrativa, nonche' per l'emanazione di un testo
unico;
Visti, in particolare, gli articoli 1, comma 1, lettera f), e 2,
commi 6 e 7, della citata legge n. 150 del 2005 che prevedono la
individuazione delle fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei
magistrati e delle relative sanzioni, la modifica della procedura per
l'applicazione delle medesime, nonche' la modifica della disciplina
in tema di incompatibilita', dispensa dal servizio e trasferimento di
ufficio dei magistrati;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri,
adottata nella riunione del 28 ottobre 2005;
Aquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei
deputati, espressi in data 20 dicembre 2005 ed in data 22 dicembre
2005, e del Senato della Repubblica, espressi in data 7 dicembre 2005
ed in data 30 novembre 2005, a norma dell'articolo 1, comma 4, della
citata legge n. 150 del 2005;
Ritenuto di conformarsi alla condizione formulata dalla Commissione
giustizia del Senato della Repubblica in ordine alla soppressione
dell'articolo 2, con cio' dovendosi ritenere contestualmente
assorbita anche la condizione formulata dalla Commissione giustizia
della Camera dei deputati in ordine al medesimo articolo;
Esaminate le osservazioni formulate dalla Commissione giustizia del
Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 19 gennaio 2006;
Sulla proposta del Ministro della giustizia, di concerto con i
Ministri dell'economia e delle finanze e per la funzione pubblica;
E m a n a
il seguente decreto legislativo:
Art. 1.
Doveri del magistrato
1. Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con
imparzialita', correttezza, diligenza, laboriosita', riserbo e
equilibrio e rispetta la dignita' della persona nell'esercizio delle
funzioni.
2. Il magistrato, anche fuori dall'esercizio delle proprie
funzioni, non deve tenere comportamenti, ancorche' legittimi, che
compromettano la credibilita' personale, il prestigio e il decoro del
magistrato o il prestigio dell'istituzione giudiziaria.
3. Le violazioni dei doveri di cui ai commi 1 e 2 costituiscono
illecito disciplinare perseguibile nelle ipotesi previste agli
articoli 2, 3 e 4.
Art. 2.
Illeciti disciplinari nell'esercizio delle funzioni
1. Costituiscono illeciti disciplinari nell'esercizio delle
funzioni:
a) fatto salvo quanto previsto dalle lettere b) e c), i
comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1, arrecano
ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti;
b) l'omissione della comunicazione, al Consiglio superiore della
magistratura, della sussistenza di una delle situazioni di
incompatibilita' di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento
giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e
successive modificazioni, come modificati dall'articolo 29 del
presente decreto;
c) la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei
casi previsti dalla legge;
d) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei
confronti delle parti, dei loro difensori, dei testimoni o di
chiunque abbia rapporti con il magistrato nell'ambito dell'ufficio
giudiziario, ovvero nei confronti di altri magistrati o di
collaboratori;
e) l'ingiustificata interferenza nell'attivita' giudiziaria di
altro magistrato;
f) l'omessa comunicazione al capo dell'ufficio, da parte del
magistrato destinatario, delle avvenute interferenze;
g) la grave violazione di legge determinata da ignoranza o
negligenza inescusabile;
h) il travisamento dei fatti determinato da negligenza
inescusabile;
i) il perseguimento di fini estranei ai suoi doveri ed alla
funzione giudiziaria;
l) l'emissione di provvedimenti privi di motivazione, ovvero la
cui motivazione consiste nella sola affermazione della sussistenza
dei presupposti di legge senza indicazione degli elementi di fatto
dai quali tale sussistenza risulti, quando la motivazione e'
richiesta dalla legge;
m) l'adozione di provvedimenti adottati nei casi non consentiti
dalla legge, per negligenza grave e inescusabile, che abbiano leso
diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali;
n) la reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o
delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi
competenti;
o) l'indebito affidamento ad altri di attivita' rientranti nei
propri compiti;
p) l'inosservanza dell'obbligo di risiedere nel comune in cui ha
sede l'ufficio in assenza dell'autorizzazione prevista dalla
normativa vigente se ne e' derivato concreto pregiudizio
all'adempimento dei doveri di diligenza e laboriosita';
q) il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento
degli atti relativi all'esercizio delle funzioni; si presume non
grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non
eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento
dell'atto;
r) il sottrarsi in modo abituale e ingiustificato all'attivita'
di servizio;
s) per il dirigente dell'ufficio o il presidente di una sezione o
il presidente di un collegio, l'omettere di assegnarsi affari e di
redigere i relativi provvedimenti;
t) l'inosservanza dell'obbligo di rendersi reperibile per
esigenze di ufficio quando esso sia imposto dalla legge o da
disposizione legittima dell'organo competente;
u) la divulgazione, anche dipendente da negligenza, di atti del
procedimento coperti dal segreto o di cui sia previsto il divieto di
pubblicazione, nonche' la violazione del dovere di riservatezza sugli
affari in corso di trattazione, o sugli affari definiti, quando e'
idonea a ledere indebitamente diritti altrui;
v) pubbliche dichiarazioni o interviste che, sotto qualsiasi
profilo, riguardino i soggetti a qualsivoglia titolo coinvolti negli
affari in corso di trattazione, ovvero trattati e non definiti con
provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria;
z) il tenere rapporti in relazione all'attivita' del proprio
ufficio con gli organi di informazione al di fuori delle modalita'
previste dal decreto legislativo emanato in attuazione della delega
di cui agli articoli 1, comma 1, lettera d) e 2, comma 4, della legge
25 luglio 2005, n. 150;
aa) il sollecitare la pubblicita' di notizie attinenti alla
propria attivita' di ufficio ovvero il costituire e l'utilizzare
canali informativi personali riservati o privilegiati;
bb) il rilasciare dichiarazioni ed interviste in violazione dei
criteri di equilibrio e di misura;
cc) l'adozione intenzionale di provvedimenti affetti da palese
incompatibilita' tra la parte dispositiva e la motivazione, tali da
manifestare una precostituita e inequivocabile contraddizione sul
piano logico, contenutistico o argomentativo;
dd) l'omissione, da parte del dirigente l'ufficio o del
presidente di una sezione o di un collegio, della comunicazione agli
organi competenti di fatti a lui noti che possono costituire illeciti
disciplinari compiuti da magistrati dell'ufficio, della sezione o del
collegio;
ee) l'omissione, da parte del dirigente l'ufficio ovvero da parte
del magistrato cui compete il potere di sorveglianza, della
comunicazione al Consiglio superiore della magistratura della
sussistenza di una delle situazioni di incompatibilita' previste
dagli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come da ultimo modificati
dall'articolo 29 del presente decreto, ovvero delle situazioni che
possono dare luogo all'adozione dei provvedimenti di cui agli
articoli 2 e 3 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511,
come modificati dagli articoli 26, comma 1 e 27 del presente decreto;
ff) l'adozione di provvedimenti al di fuori di ogni previsione
processuale ovvero sulla base di un errore macroscopico o di grave e
inescusabile negligenza ovvero di atti e provvedimenti che
costituiscono esercizio di una potesta' riservata dalla legge ad
organi legislativi o amministrativi ovvero ad altri organi
costituzionali;
gg) l'emissione di un provvedimento restrittivo della liberta'
personale fuori dei casi consentiti dalla legge, determinata da
negligenza grave ed inescusabile.
2. Fermo quanto previsto dal comma 1, lettere g), h), i), l), m),
n), o), p), cc) ed ff), l'attivita' di interpretazione di norme di
diritto in conformita' all'articolo 12 delle disposizioni sulla legge
in generale non da' mai luogo a responsabilita' disciplinare.
Art. 3.
Illeciti disciplinari fuori dell'esercizio delle funzioni
1. Costituiscono illeciti disciplinari al di fuori dell'esercizio
delle funzioni:
a) l'uso della qualita' di magistrato al fine di conseguire
vantaggi ingiusti per se' o per altri;
b) il frequentare persona sottoposta a procedimento penale o di
prevenzione comunque trattato dal magistrato, o persona che a questi
consta essere stata dichiarata delinquente abituale, professionale o
per tendenza o aver subito condanna per delitti non colposi alla pena
della reclusione superiore a tre anni o essere sottoposto ad una
misura di prevenzione, salvo che sia intervenuta la riabilitazione,
ovvero l'intrattenere rapporti consapevoli di affari con una di tali
persone;
c) l'assunzione di incarichi extragiudiziari senza la prescritta
autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura;
d) lo svolgimento di attivita' incompatibili con la funzione
giudiziaria di cui all'articolo 16, comma 1, del regio decreto 30
gennaio 1941, n. 12, e succesive modificazioni, o di attivita' tali
da recare concreto pregiudizio all'assolvimento dei doveri
disciplinati dall'articolo 1;
e) l'ottenere, direttamente o indirettamente, prestiti o
agevolazioni da soggetti che il magistrato sa essere parti o indagati
in procedimenti penali o civili pendenti presso l'ufficio giudiziario
di appartenenza o presso altro ufficio che si trovi nel distretto di
Corte d'appello nel quale esercita le funzioni giudiziarie, ovvero
dai difensori di costoro, nonche' ottenere, direttamente o
indirettamente, prestititi o agevolazioni, a condizioni di
eccezionale favore, da parti offese o testimoni o comunque da
soggetti coinvolti in detti procedimenti;
f) la pubblica manifestazione di consenso o dissenso in ordine a
un procedimento in corso quando, per la posizione del magistrato o
per le modalita' con cui il giudizio e' espresso, sia idonea a
condizionare la liberta' di decisione nel procedimento medesimo;
g) la partecipazione ad associazioni segrete o i cui vincoli sono
oggettivamente incompatibili con l'esercizio delle funzioni
giudiziarie;
h) l'iscrizione o la partecipazione a partiti politici ovvero il
coinvolgimento nelle attivita' di centri politici o operativi nel
settore finanziario che possono condizionare l'esercizio delle
funzioni o comunque compromettere l'immagine del magistrato;
i) l'uso strumentale della qualita' che, per la posizione del
magistrato o per le modalita' di realizzazione, e' idoneo a turbare
l'esercizio di funzioni costituzionalmente previste;
l) ogni altro comportamento tale da compromettere l'indipendenza,
la terzieta' e l'imparzialita' del magistrato, anche sotto il profilo
dell'apparenza.
Art. 4.
Illeciti disciplinari conseguenti a reato
1. Costituiscono illeciti disciplinari conseguenti al reato:
a) i fatti per i quali e' intervenuta condanna irrevocabile o e'
stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del
codice di procedura penale, per delitto doloso o preterintenzionale,
quando la legge stabilisce la pena detentiva sola o congiunta alla
pena pecuniaria;
b) i fatti per i quali e' intervenuta condanna irrevocabile o e'
stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del
codice di procedura penale, per delitto colposo, alla pena della
reclusione, sempre che presentino, per modalita' e conseguenze,
carattere di particolare gravita';
c) i fatti per i quali e' intervenuta condanna irrevocabile o e'
stata pronunciata sentenza ai sensi dell'articolo 444, comma 2, del
codice di procedura penale, alla pena dell'arresto, sempre che
presentino, per le modalita' di esecuzione, carattere di particolare
gravita';
d) qualunque fatto costituente reato idoneo a ledere l'immagine
del magistrato, anche se il reato e' estinto per qualsiasi causa o
l'azione penale non puo' essere iniziata o proseguita.
Sezione II
Delle sanzioni disciplinari
Art. 5.
Sanzioni
1. Il magistrato che viola i suoi doveri e' soggetto alle seguenti
sanzioni disciplinari:
a) l'ammonimento;
b) la censura;
c) la perdita dell'anzianita';
d) l'incapacita' temporanea a esercitare un incarico direttivo o
semidirettivo;
e) la sospensione dalle funzioni da tre mesi a due anni;
f) la rimozione.
2. Quando per il concorso di piu' illeciti disciplinari si debbono
irrogare piu' sanzioni di diversa gravita', si applica la sanzione
prevista per l'infrazione piu' grave; quando piu' illeciti
disciplinari, commessi in concorso tra loro, sono puniti con la
medesima sanzione, si applica la sanzione immediatamente piu' grave.
Nell'uno e nell'altro caso puo' essere applicata anche la sanzione
meno grave se compatibile.
Art. 6.
Ammonimento
1. L'ammonimento e' un richiamo, espresso nel dispositivo della
decisione disciplinare, all'osservanza, da parte del magistrato, dei
suoi doveri, in rapporto all'illecito commesso.
Art. 7.
Censura
1. La censura e' una dichiarazione formale di biasimo contenuta nel
dispositivo della decisione disciplinare.
Art. 8.
Perdita dell'anzianita'
1. La perdita dell'anzianita' non puo' essere inferiore a due mesi
e non puo' superare i due anni.
Art. 9.
Temporanea incapacita' ad esercitare
un incarico direttivo o semidirettivo
1. La temporanea incapacita' ad esercitare un incarico direttivo o
semidirettivo non puo' essere inferiore a sei mesi e non puo'
superare i due anni. Se il magistrato svolge funzioni direttive o
semidirettive, debbono essergli conferite di ufficio altre funzioni
non direttive o semidirettive, corrispondenti alla sua qualifica.
2. Applicata la sanzione, il magistrato non puo' riprendere
l'esercizio delle funzioni direttive o semidirettive presso l'ufficio
ove le svolgeva anteriormente al provvedimento disciplinare.
Art. 10.
Sospensione dalle funzioni
1. La sospensione dalle funzioni consiste nell'allontanamento dalle
funzioni con la sospensione dallo stipendio e il collocamento del
magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura.
2. Al magistrato sospeso e' corrisposto un assegno alimentare pari
ai due terzi dello stipendio e delle altre competenze di carattere
continuativo, se il magistrato sta percependo il trattamento
economico riservato alla prima o seconda o terza classe stipendiale;
alla meta', se alla quarta o quinta classe; a un terzo, se alla sesta
o settima classe.
Art. 11.
Rimozione
1. La rimozione determina la cessazione del rapporto di servizio e
viene attuata mediante decreto del Presidente della Repubblica.
Art. 12.
Sanzioni applicabili
1. Si applica una sanzione non inferiore alla censura per:
a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1,
arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti;
b) la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei
casi previsti dalla legge;
c) l'omissione, da parte dell'interessato, della comunicazione al
Consiglio superiore della magistratura della sussistenza di una delle
cause di incompatibilita' di cui agli articoli 18 e 19
dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio
1941, n. 12, come modificati dall'articolo 29 del presente decreto;
d) il tenere comportamenti che, a causa dei rapporti comunque
esistenti con i soggetti coinvolti nel procedimento ovvero a causa di
avvenute interferenze, costituiscano violazione del dovere di
imparzialita';
e) i comportamenti previsti dall'articolo 2, comma 1, lettere d),
e) ed f);
f) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia;
g) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti
relativi all'esercizio delle funzioni;
h) la scarsa laboriosita', se abituale;
i) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza;
l) l'uso della qualita' di magistrato al fine di conseguire
vantaggi ingiusti;
m) lo svolgimento di incarichi extragiudiziari senza avere
richiesto o ottenuto la prescritta autorizzazione dal Consiglio
superiore della magistratura, qualora per l'entita' e la natura
dell'incarico il fatto non si appalesi di particolare gravita'.
2. Si applica una sanzione non inferiore alla perdita
dell'anzianita' per:
a) i comportamenti che, violando i doveri di cui all'articolo 1,
arrecano grave e ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle
parti;
b) l'uso della qualita' di magistrato al fine di conseguire
vantaggi ingiusti, se abituale e grave;
c) i comportamenti previsti dall'articolo 3, comma 1, lettera b).
3. Si applica la sanzione della incapacita' a esercitare un
incarico direttivo o semidirettivo per l'interferenza, nell'attivita'
di altro magistrato, da parte del dirigente dell'ufficio o del
presidente della sezione, se ripetuta o grave.
4. Si applica una sanzione non inferiore alla sospensione dalle
funzioni per l'accettazione e lo svolgimento di incarichi e uffici
vietati dalla legge ovvero per l'accettazione e lo svolgimento di
incarichi per i quali non e' stata richiesta o ottenuta la prescritta
autorizzazione, qualora per l'entita' e la natura dell'incarico il
fatto si appalesi di particolare gravita'.
5. Si applica la sanzione della rimozione al magistrato che sia
stato condannato in sede disciplinare per i fatti previsti
dall'articolo 3, comma 1, lettera e), che incorre nella interdizione
perpetua o temporanea dai pubblici uffici in seguito a condanna
penale o che incorre in una condanna a pena detentiva per delitto non
colposo non inferiore a un anno la cui esecuzione non sia stata
sospesa, ai sensi degli articoli 163 e 164 del Codice penale o per la
quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai
sensi dell'articolo 168 dello stesso Codice.
Art. 13.
Trasferimento d'ufficio e provvedimenti cautelari
1. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura, nell'infliggere una sanzione diversa dall'ammonimento e
dalla rimozione, puo' disporre il trasferimento del magistrato ad
altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la
permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in
contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia.
Il trasferimento e' sempre disposto quando ricorre una delle
violazioni previste dall'articolo 2, comma 1, lettera a), nonche' nel
caso in cui e' inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni.
2. Nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con
una sanzione diversa dall'ammonimento, su richiesta del Ministro
della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di
cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza dell'azione
disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza, la Sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in via
cautelare e provvisoria, puo' disporre il trasferimento ad altra sede
o la destinazione ad altre funzioni del magistrato incolpato.
Capo II
Del procedimento disciplinare
Art. 14.
Titolarita' dell'azione disciplinare
1. L'azione disciplinare e' promossa dal Ministro della giustizia e
dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione.
2. Il Ministro della giustizia ha facolta' di promuovere l'azione
disciplinare mediante richiesta di indagini al Procuratore generale
presso la Corte di cassazione. Dell'iniziativa il Ministro da'
comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, con
indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede.
3. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha
l'obbligo di esercitare l'azione disciplinare, dandone comunicazione
al Ministro della giustizia e al Consiglio superiore della
magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si
procede. Il Ministro della giustizia, se ritiene che l'azione
disciplinare deve essere estesa ad altri fatti, ne fa richiesta, nel
corso delle indagini, al Procuratore generale.
4. Il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari
e i dirigenti degli uffici hanno l'obbligo di comunicare al Ministro
della giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di
cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare. I
presidenti di sezione e i presidenti di collegio debbono comunicare
ai dirigenti degli uffici i fatti concernenti l'attivita' dei
magistrati della sezione o del collegio che siano rilevanti sotto il
profilo disciplinare.
5. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione puo'
contestare fatti nuovi nel corso delle indagini, anche se l'azione e'
stata promossa dal Ministro della giustizia, salva la facolta' del
Ministro di cui al comma 3, ultimo periodo.
Art. 15.
Termini dell'azione disciplinare
1. L'azione disciplinare e' promossa entro un anno dalla notizia
del fatto, della quale il Procuratore generale presso la Corte di
cassazione ha conoscenza a seguito dell'espletamento di sommarie
indagini preliminari o di denuncia circostanziata o di segnalazione
del Ministro della giustizia. La denuncia e' circostanziata quando
contiene tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie
disciplinare. In difetto di tali elementi, la denuncia non
costituisce notizia di rilievo disciplinare.
2. Entro un anno dall'inizio del procedimento il Procuratore
generale deve formulare le richieste conclusive di cui all'articolo
17, commi 2 e 6; entro un anno dalla richiesta, la sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nella
composizione di cui all'articolo 4 della legge 24 marzo 1958, n. 195,
si pronuncia.
3. La richiesta di indagini rivolta dal Ministro della giustizia al
Procuratore generale o la comunicazione da quest'ultimo data al
Consiglio superiore della magistratura ai sensi dell'articolo 14,
comma 3, determinano, a tutti gli effetti, l'inizio del procedimento.
4. Dell'inizio del procedimento deve essere data comunicazione,
entro trenta giorni, all'incolpato, con l'indicazione del fatto che
gli viene addebitato. Deve procedersi ad analoga comunicazione per le
ulteriori contestazioni di cui all'articolo 14, comma 5. L'incolpato
puo' farsi assistere da altro magistrato, anche in quiescenza, o da
un avvocato, designati in qualunque momento dopo la comunicazione
dell'addebito, nonche', se del caso, da un consulente tecnico.
5. Gli atti di indagine non preceduti dalla comunicazione
all'incolpato o da avviso al difensore, quando e' previsto, se gia'
designato, sono nulli, ma la nullita' non puo' essere piu' rilevata
quando non e' dedotta con dichiarazione scritta e motivata nel
termine di dieci giorni dalla data in cui l'interessato ha avuto
conoscenza del contenuto di tali atti o, in mancanza, da quella della
comunicazione del decreto che fissa la discussione orale davanti alla
sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.
6. Se la sentenza della sezione disciplinare del Consiglio
superiore della magistratura e' annullata in tutto o in parte a
seguito del ricorso per cassazione, il termine per la pronuncia nel
giudizio di rinvio e' di un anno e decorre dalla data in cui vengono
restituiti gli atti del procedimento dalla Corte di cassazione.
7. Se i termini non sono osservati, il procedimento disciplinare si
estingue, sempre che l'incolpato vi consenta.
8. Il corso dei termini e' sospeso:
a) se per il medesimo fatto e' stata esercitata l'azione penale,
ovvero il magistrato e' stato arrestato o fermato o si trova in stato
di custodia cautelare, riprendendo a decorrere dalla data in cui non
e' piu' soggetta ad impugnazione la sentenza di non luogo a procedere
ovvero sono divenuti irrevocabili la sentenza o il decreto penale di
condanna;
b) se durante il procedimento disciplinare viene sollevata
questione di legittimita' costituzionale, riprendendo a decorrere dal
giorno in cui e' pubblicata la decisione della Corte costituzionale;
c) se l'incolpato e' sottoposto a perizia o ad accertamenti
specialistici, e per tutto il tempo necessario;
d) se il procedimento disciplinare e' rinviato a richiesta
dell'incolpato o del suo difensore o per impedimento dell'incolpato o
del suo difensore.
Art. 16.
Indagini nel procedimento disciplinare
1. Il pubblico ministero procede all'attivita' di indagine. Le
funzioni di pubblico ministero sono esercitate dal Procuratore
generale presso la Corte di cassazione o da un magistrato del suo
ufficio.
2. Per l'attivita' di indagine si osservano, in quanto compatibili,
le norme del codice di procedura penale, eccezione fatta per quelle
che comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti
dell'imputato, delle persone informate sui fatti, dei periti e degli
interpreti. Si applica, comunque, quanto previsto dall'articolo 133
del codice di procedura penale.
3. Alle persone informate sui fatti, ai periti e interpreti si
applicano le disposizioni degli articoli 366, 371-bis, 371-ter, 372,
373, 376, 377 e 384 del codice penale.
4. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, se lo
ritiene necessario ai fini delle determinazioni sull'azione
disciplinare, puo' acquisire atti coperti da segreto investigativo
senza che detto segreto possa essergli opposto. Nel caso in cui il
procuratore della Repubblica comunichi, motivatamente, che dalla
divulgazione degli atti coperti da segreto investigativo possa
derivare grave pregiudizio alle indagini, il Procuratore generale
dispone, con decreto, che i detti atti rimangano segreti per un
periodo non superiore a dodici mesi e sospende il procedimento
disciplinare per un analogo periodo.
5. Il pubblico ministero, per gli atti da compiersi fuori dal suo
ufficio, puo' richiedere altro magistrato in servizio presso la
procura generale della corte d'appello nel cui distretto l'atto deve
essere compiuto.
Art. 17.
Chiusura delle indagini
1. Compiute le indagini, il Procuratore generale formula le
richieste conclusive di cui ai commi 2 e 6 e invia alla sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura il fascicolo
del procedimento, dandone comunicazione all'incolpato. Il fascicolo
e' depositato nella segreteria della sezione a disposizione
dell'incolpato, che puo' prenderne visione ed estrarre copia degli
atti.
2. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al
termine delle indagini, se non ritiene di dover chiedere la
declaratoria di non luogo a procedere, formula l'incolpazione e
chiede al presidente della sezione disciplinare la fissazione
dell'udienza di discussione orale. Il Procuratore generale presso la
Corte di cassazione da' comunicazione al Ministro della giustizia
delle sue determinazioni ed invia copia dell'atto.
3. Il Ministro della giustizia, entro venti giorni dal ricevimento
della comunicazione di cui al comma 2, puo' chiedere l'integrazione
e, nel caso di azione disciplinare da lui promossa, la modificazione
della contestazione, cui provvede il Procuratore generale presso la
Corte di cassazione.
4. Il presidente della sezione disciplinare fissa, con suo decreto,
il giorno della discussione orale, con avviso ai testimoni e ai
periti.
5. Il decreto di cui al comma 4 e' comunicato, almeno dieci giorni
prima della data fissata per la discussione orale, al pubblico
ministero e all'incolpato nonche' al difensore di questo ultimo, se
gia' designato, e, nelle ipotesi in cui egli abbia promosso l'azione
disciplinare, richiesto l'integrazione o la modificazione della
contestazione, al Ministro della giustizia, il quale puo' esercitare
la facolta' di partecipare all'udienza delegando un magistrato
dell'Ispettorato.
6. Il Procuratore generale, nel caso in cui ritenga che si debba
escludere l'addebito, fa richiesta motivata alla sezione disciplinare
per la declaratoria di non luogo a procedere. Della richiesta e' data
comunicazione al Ministro della giustizia, nell'ipotesi in cui egli
abbia promosso l'azione disciplinare, ovvero richiesto l'integrazione
della contestazione, con invio di copia dell'atto.
7. Il Ministro della giustizia, entro dieci giorni dal ricevimento
della comunicazione di cui al comma 6, puo' richiedere copia degli
atti del procedimento, nell'ipotesi in cui egli abbia promosso
l'azione disciplinare, ovvero richiesto l'integrazione della
contestazione, e, nei venti giorni successivi alla ricezione degli
stessi, puo' richiedere al presidente della sezione disciplinare la
fissazione dell'udienza di discussione orale, formulando
l'incolpazione. Sulla richiesta, si provvede nei modi previsti nei
commi 4 e 5 e le funzioni di pubblico ministero, nella discussione
orale, sono esercitate dal Procuratore generale presso la Corte di
cassazione o da un suo sostituto. Il Ministro della giustizia puo'
esercitare la facolta' di partecipare all'udienza delegando un
magistrato dell'Ispettorato.
8. Decorsi i termini di cui al comma 7, sulla richiesta di non
luogo a procedere la sezione disciplinare decide in camera di
consiglio. Se accoglie la richiesta, provvede con ordinanza di non
luogo a procedere. Se rigetta la richiesta, il Procuratore generale
formula l'incolpazione e chiede al presidente della sezione
disciplinare la fissazione dell'udienza di discussione orale. Si
provvede nei modi previsti dai commi 4 e 5.
Art. 18.
Discussione nel giudizio disciplinare
1. Nella discussione orale un componente della sezione disciplinare
del Consiglio superiore della magistratura nominato dal presidente
svolge la relazione. Il delegato del Ministro della giustizia puo'
presentare memorie, esaminare testi, consulenti e periti e
interrogare l'incolpato.
2. L'udienza e' pubblica. La sezione disciplinare, su richiesta di
una delle parti, puo' disporre che la discussione si svolga a porte
chiuse se ricorrono esigenze di tutela della credibilita' della
funzione giudiziaria, con riferimento ai fatti contestati ed
all'ufficio che l'incolpato occupa, ovvero esigenze di tutela del
diritto dei terzi.
3. La sezione disciplinare puo':
a) assumere, anche d'ufficio, tutte le prove che ritiene utili;
b) disporre o consentire la lettura di rapporti dell'Ispettorato
generale del Ministero della giustizia, dei consigli giudiziari e dei
dirigenti degli uffici, la lettura di atti dei fascicoli personali
nonche' delle prove acquisite nel corso delle indagini;
c) consentire l'esibizione di documenti da parte del pubblico
ministero, dell'incolpato e del delegato del Ministro della
giustizia.
4. Si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di
procedura penale sul dibattimento, eccezione fatta per quelle che
comportano l'esercizio di poteri coercitivi nei confronti
dell'imputato, dei testimoni, dei periti e degli interpreti. Resta
fermo quanto previsto dall'articolo 133 del codice di procedura
penale.
5. Ai testimoni, periti e interpreti si applicano le disposizioni
di cui agli articoli 366, 372, 373, 376, 377 e 384 del codice penale.
Art. 19.
Sentenza disciplinare
1. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura delibera immediatamente dopo l'assunzione delle prove,
le conclusioni del pubblico ministero, del delegato del Ministro
della giustizia e della difesa dell'incolpato, il quale deve essere
sentito per ultimo. Il pubblico ministero non assiste alla
deliberazione in camera di consiglio.
2. La Sezione disciplinare provvede con sentenza, irrogando una
sanzione disciplinare ovvero, se non e' raggiunta prova sufficiente,
dichiarando esclusa la sussistenza dell'addebito. I motivi della
sentenza sono depositati nella segreteria della sezione disciplinare
entro trenta giorni dalla deliberazione.
3. I provvedimenti adottati dalla sezione disciplinare sono
comunicati al Ministro della giustizia nell'ipotesi in cui egli abbia
promosso l'azione disciplinare, ovvero richiesto l'integrazione o la
modificazione della contestazione, con invio di copia integrale,
anche ai fini della decorrenza dei termini per la proposizione del
ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione. Il Ministro
puo' richiedere copia degli atti del procedimento.
Art. 20.
Rapporti tra il procedimento disciplinare
e il giudizio civile o penale
1. L'azione disciplinare e' promossa indipendentemente dall'azione
civile di risarcimento del danno o dall'azione penale relativa allo
stesso fatto, ferme restando le ipotesi di sospensione dei termini di
cui all'articolo 15, comma 8.
2. Hanno autorita' di cosa giudicata nel giudizio disciplinare
quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua
illiceita' penale e dell'affermazione che l'imputato lo ha commesso:
a) la sentenza penale irrevocabile di condanna;
b) la sentenza irrevocabile prevista dall'articolo 444, comma 2,
del codice di procedura penale.
3. Ha autorita' di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto
all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha
commesso, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione.
Art. 21.
Sospensione cautelare obbligatoria
1. A richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore
generale presso la Corte di cassazione, la Sezione disciplinare del
Consiglio superiore della magistratura sospende dalle funzioni e
dallo stipendio e colloca fuori dal ruolo organico della magistratura
il magistrato, sottoposto a procedimento penale, nei cui confronti
sia stata adottata una misura cautelare personale.
2. La sospensione permane sino alla sentenza di non luogo a
procedere non piu' soggetta ad impugnazione o alla sentenza
irrevocabile di proscioglimento.
3. La sospensione e' revocata, anche d'ufficio, dalla sezione
disciplinare, allorche' la misura cautelare e' revocata per carenza
di gravi indizi di colpevolezza. Negli altri casi di revoca o di
cessazione degli effetti della misura cautelare, la sospensione puo'
essere revocata.
4. Al magistrato sospeso e' corrisposto un assegno alimentare nella
misura indicata nell'articolo 10, comma 2.
5. Il magistrato riacquista il diritto agli stipendi e alle altre
competenze non percepite, detratte le somme corrisposte per assegno
alimentare, se e' prosciolto con sentenza irrevocabile ai sensi
dell'articolo 530 del codice di procedura penale. Tale disposizione
si applica anche se e' pronunciata nei suoi confronti sentenza di
proscioglimento per ragioni diverse o sentenza di non luogo a
procedere non piu' soggetta ad impugnazione, qualora, essendo stato
il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, lo stesso si
sia concluso con la pronuncia indicata nell'articolo 22, comma 5.
Art. 22.
Sospensione cautelare facoltativa
1. Quando il magistrato e' sottoposto a procedimento penale per
delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena
detentiva, o quando al medesimo possono essere ascritti fatti
rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravita',
siano incompatibili con l'esercizio delle funzioni, il Ministro della
giustizia o il Procuratore generale presso la Corte di cassazione
possono chiedere alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore
della magistratura la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo
stipendio, e il collocamento fuori dal ruolo organico della
magistratura, anche prima dell'inizio del procedimento disciplinare.
2. La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura convoca il magistrato con un preavviso di almeno tre
giorni e provvede dopo aver sentito l'interessato o dopo aver
constatato la sua mancata presentazione. Il magistrato puo' farsi
assistere da altro magistrato o da un avvocato.
3. La sospensione puo' essere revocata dalla Sezione disciplinare
in qualsiasi momento, anche d'ufficio.
4. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 21, commi 4 e
5.
5. Se e' pronunciata sentenza di non luogo a procedere o se
l'incolpato e' assolto o condannato ad una sanzione diversa dalla
rimozione o dalla sospensione dalle funzioni per un tempo pari o
superiore alla durata della sospensione cautelare eventualmente
disposta, sono corrisposti gli arretrati dello stipendio e delle
altre competenze non percepiti, detratte le somme gia' riscosse per
assegno alimentare.
Art. 23.
Cessazione degli effetti della sospensione cautelare
1. Fatti salvi gli effetti delle disposizioni di cui agli articoli
3, commi 57 e 57-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e
successive modificazioni, e 2, comma 3, del decreto-legge 16 marzo
2004, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio
2004, n. 126, il magistrato sottoposto a procedimento penale e
sospeso in via cautelare, qualora sia prosciolto con sentenza
irrevocabile ovvero sia pronunciata nei suoi confronti sentenza di
non luogo a procedere non piu' soggetta ad impugnazione, ha diritto
ad essere reintegrato a tutti gli effetti nella situazione anteriore,
con attribuzione, nei limiti dei posti vacanti, di funzioni di
livello pari a quelle piu' elevate assegnate ai magistrati che lo
seguivano nel ruolo al momento della sospensione cautelare, ad
eccezione delle funzioni direttive superiori giudicanti e requirenti
di legittimita' e delle funzioni direttive superiori apicali di
legittimita', previa valutazione, da parte del Consiglio superiore
della magistratura, delle attitudini desunte dalle funzioni da ultimo
esercitate. Qualora non possano essere assegnate funzioni piu'
elevate rispetto a quelle svolte al momento della sospensione, il
magistrato e' assegnato al posto precedentemente occupato, se
vacante; in difetto, ha diritto di scelta fra quelli disponibili, ed
entro un anno puo' chiedere l'assegnazione ad ufficio analogo a
quello originariamente ricoperto, con precedenza rispetto ad altri
eventuali concorrenti.
2. La sospensione cautelare cessa di diritto quando diviene
definitiva la pronuncia della sezione disciplinare che conclude il
procedimento.
Art. 24.
Impugnazioni delle decisioni della sezione disciplinare
del Consiglio superiore della magistratura
1. L'incolpato, il Ministro della giustizia e il Procuratore
generale presso la Corte di cassazione possono proporre, contro i
provvedimenti in materia di sospensione di cui agli articoli 21 e 22
e contro le sentenze della sezione disciplinare del Consiglio
superiore della magistratura, ricorso per cassazione, nei termini e
con le forme previsti dal codice di procedura penale. Nei confronti
dei provvedimenti in materia di sospensione il ricorso non ha effetto
sospensivo del provvedimento impugnato.
2. La Corte di cassazione decide a sezioni unite penali, entro sei
mesi dalla data di proposizione del ricorso.
Art. 25.
Revisione
1. E' ammessa, in ogni tempo, la revisione delle sentenze divenute
irrevocabili, con le quali e' stata applicata una sanzione
disciplinare, quando:
a) i fatti posti a fondamento della sentenza risultano
incompatibili con quelli accertati in una sentenza penale
irrevocabile ovvero in una sentenza di non luogo a procedere non piu'
soggetta ad impugnazione;
b) sono sopravvenuti o si scoprono, dopo la decisione, nuovi
elementi di prova, che, soli o uniti a quelli gia' esaminati nel
procedimento disciplinare, dimostrano l'insussistenza dell'illecito;
c) il giudizio di responsabilita' e l'applicazione della relativa
sanzione sono stati determinati da falsita' ovvero da altro reato
accertato con sentenza irrevocabile.
2. Gli elementi in base ai quali si chiede la revisione debbono, a
pena di inammissibilita' della domanda, essere tali da dimostrare
che, se accertati, debba essere escluso l'addebito o debba essere
applicata una sanzione diversa da quella inflitta se trattasi della
rimozione, ovvero se dalla sanzione applicata e' conseguito il
trasferimento d'ufficio.
3. La revisione puo' essere chiesta dal magistrato al quale e'
stata applicata la sanzione disciplinare o, in caso di morte o di
sopravvenuta incapacita' di questi, da un suo prossimo congiunto che
vi abbia interesse anche soltanto morale.
4. L'istanza di revisione e' proposta personalmente o per mezzo di
procuratore speciale. Essa deve contenere, a pena di
inammissibilita', l'indicazione specifica delle ragioni e dei mezzi
di prova che la giustificano e deve essere presentata, unitamente ad
eventuali atti e documenti, alla segreteria della sezione
disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.
5. Nei casi previsti dal comma 1, lettere a) e b), all'istanza deve
essere unita copia autentica della sentenza penale.
6. La revisione puo' essere chiesta anche dal Ministro della
giustizia e dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione,
alle condizioni di cui ai commi 1 e 2 e con le modalita' di cui ai
commi 4 e 5.
7. La sezione disciplinare acquisisce gli atti del procedimento
disciplinare e, sentiti il Ministro della giustizia, il Procuratore
generale presso la Corte di cassazione, l'istante ed il suo
difensore, dichiara inammissibile l'istanza di revisione se proposta
fuori dai casi di cui al comma 2, o senza l'osservanza delle
disposizioni di cui al comma 4 ovvero se risulta manifestamente
infondata; altrimenti, dispone il procedersi al giudizio di
revisione, al quale si applicano le norme stabilite per il
procedimento disciplinare.
8. Contro la decisione che dichiara inammissibile l'istanza di
revisione e' ammesso ricorso alle sezioni unite penali della Corte di
cassazione.
9. In caso di accoglimento dell'istanza di revisione la sezione
disciplinare revoca la precedente decisione.
10. Il magistrato assolto con decisione irrevocabile a seguito di
giudizio di revisione ha diritto alla integrale ricostruzione della
carriera nonche' a percepire gli arretrati dello stipendio e delle
altre competenze non percepiti, detratte le somme corrisposte per
assegno alimentare, rivalutati in base alla variazione dell'indice
ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati.
Capo III
Modifica della disciplina in tema di incompati-bilita', dispensa dalservizio e
trasferimento di ufficio.
Art. 26.
Modifiche all'articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio
1946, n. 511, in materia di trasferimento di ufficio di natura
amministrativa.
1. All'articolo 2, secondo comma, del regio decreto legislativo 31
maggio 1946, n. 511, le parole da: «per qualsiasi causa» a:
«dell'ordine giudiziario» sono sostituite dalle seguenti: «per
qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede
occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e
imparzialita».
2. Alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo,
gli atti relativi ai procedimenti amministrativi di trasferimento di
ufficio ai sensi dell'articolo 2, secondo comma, del regio decreto
legislativo 31 maggio 1946, n. 511, pendenti presso il Consiglio
superiore della magistratura, per fatti astrattamente riconducibili
alle fattispecie disciplinari previste dagli articoli 2, 3 e 4, del
presente decreto, sono trasmessi al Procuratore generale della
Repubblica presso la Corte di cassazione per le sue determinazioni in
ordine all'azione disciplinare.
Art. 27.
Modifiche all'articolo 3 del regio decreto legislativo 31 maggio
1946, n. 511, in materia di trasferimento di ufficio di natura
amministrativa.
1. All'articolo 3, primo comma, del regio decreto legislativo 31
maggio 1946, n. 511, dopo il primo periodo e' aggiunto il seguente:
«Se l'infermita' o la sopravvenuta inettitudine consentono l'efficace
svolgimento di funzioni amministrative, il magistrato dispensato puo'
essere destinato, a domanda, a prestare servizio, nei limiti dei
posti disponibili, presso il Ministero della giustizia, secondo
modalita' e criteri di comparazione definiti con decreto del Ministro
della giustizia, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica
e il Ministro dell'economia e delle finanze, tenuto conto del tipo e
della gravita' dell'infermita' o della sopravvenuta inettitudine. Il
magistrato dispensato mantiene il diritto al trattamento economico in
godimento, con l'eventuale attribuzione di un assegno ad personam
riassorbibile, corrispondente alla differenza retributiva tra il
trattamento economico in godimento alla data del provvedimento di
dispensa e il trattamento economico corrispondente alla qualifica
attribuita.».
Art. 28.
Modifiche all'articolo 11 del regio decreto
30 gennaio 1941, n. 12
1. L'articolo 11 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, e'
sostituito dal seguente:
«Art. 11 (Decadenza per inosservanza del termine per assumere le
funzioni). - Il magistrato, che non assume le funzioni nel termine
stabilito dall'articolo precedente, o in quello che gli e' stato
assegnato con disposizione del Ministro, decade dall'impiego.
Il magistrato decaduto dall'impiego ai sensi del primo comma si
considera aver cessato di far parte dell'ordine giudiziario in
seguito a dimissioni.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche alla
ipotesi di decadenza prevista dall'articolo 127, primo comma, lettera
c), seconda parte, del decreto del Presidente della Repubblica 10
gennaio 1957, n. 3.».
Art. 29.
Modifiche agli articoli 18 e 19 del regio decreto
30 gennaio 1941, n. 12
1. Gli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al
regio decreto n. 12 del 1941, e successive modificazioni, sono
sostituiti dai seguenti:
«Art. 18 (Incompatibilita' di sede per rapporti di parentela o
affinita' con esercenti la professione forense). - I magistrati
giudicanti e requirenti delle corti di appello e dei tribunali non
possono appartenere ad uffici giudiziari nelle sedi nelle quali i
loro parenti fino al secondo grado, gli affini in primo grado, il
coniuge o il convivente, esercitano la professione di avvocato.
La ricorrenza in concreto dell'incompatibilita' di sede e'
verificata sulla base dei seguenti criteri:
a) rilevanza della professione forense svolta dai soggetti di cui
al primo comma avanti all'ufficio di appartenenza del magistrato,
tenuto, altresi', conto dello svolgimento continuativo di una
porzione minore della professione forense e di eventuali forme di
esercizio non individuale dell'attivita' da parte dei medesimi
soggetti;
b) dimensione del predetto ufficio, con particolare riferimento
alla organizzazione tabellare;
c) materia trattata sia dal magistrato che dal professionista,
avendo rilievo la distinzione dei settori del diritto civile, del
diritto penale e del diritto del lavoro e della previdenza, ed
ancora, all'interno dei predetti e specie del settore del diritto
civile, dei settori di ulteriore specializzazione come risulta, per
il magistrato, dalla organizzazione tabellare;
d) funzione specialistica dell'ufficio giudiziario.
Ricorre sempre una situazione di incompatibilita' con riguardo ai
Tribunali ordinari organizzati in un'unica sezione o alle Procure
della Repubblica istituite presso Tribunali strutturati con un'unica
sezione, salvo che il magistrato operi esclusivamente in sezione
distaccata ed il parente o l'affine non svolga presso tale sezione
alcuna attivita' o viceversa.
I magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti e
requirenti sono sempre in situazione di incompatibilita' di sede ove
un parente o affine eserciti la professione forense presso l'Ufficio
dagli stessi diretto, salvo valutazione caso per caso per i Tribunali
ordinari organizzati con una pluralita' di sezioni per ciascun
settore di attivita' civile e penale.
Il rapporto di parentela o affinita' con un praticante avvocato
ammesso all'esercizio della professione forense, e' valutato ai fini
dell'articolo 2, comma 2, del regio decreto legislativo 31 maggio
1946, n. 511, e successive modificazioni, tenuto conto dei criteri di
cui al secondo comma.
Art. 19 (Incompatibilita' di sede per rapporti di parentela o
affinita' con magistrati o ufficiali o agenti di polizia giudiziaria
della stessa sede). - I magistrati che hanno tra loro vincoli di
parentela o di affinita' sino al secondo grado, di coniugio o di
convivenza, non possono far parte della stessa Corte o dello stesso
Tribunale o dello stesso ufficio giudiziario.
La ricorrenza in concreto dell'incompatibilita' di sede e'
verificata sulla base dei criteri di cui all'articolo 18, secondo
comma, per quanto compatibili.
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinita'
sino al terzo grado, di coniugio o di convivenza, non possono mai
fare parte dello stesso Tribunale o della stessa Corte organizzati in
un'unica sezione ovvero di un Tribunale o di una Corte organizzati in
un'unica sezione e delle rispettive Procure della Repubblica, salvo
che uno dei due magistrati operi esclusivamente in sezione distaccata
e l'altro in sede centrale.
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinita'
fino al quarto grado incluso, ovvero di coniugio o di convivenza, non
possono mai far parte dello stesso collegio giudicante nelle corti e
nei tribunali.
I magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti o
requirenti della stessa sede sono sempre in situazione di
incompatibilita', salvo valutazione caso per caso per i Tribunali o
le Corti organizzati con una pluralita' di sezioni per ciascun
settore di attivita' civile e penale. Sussiste, altresi', situazione
di incompatibilita', da valutare sulla base dei criteri di cui
all'articolo 18, secondo comma, in quanto compatibili, se il
magistrato dirigente dell'ufficio e' in rapporto di parentela o
affinita' entro il terzo grado, o di coniugio o convivenza, con
magistrato addetto al medesimo ufficio, tra il presidente del
Tribunale del capoluogo di distretto ed i giudici addetti al locale
Tribunale per i minorenni, tra il Presidente della Corte di appello o
il Procuratore generale presso la Corte medesima ed un magistrato
addetto, rispettivamente, ad un Tribunale o ad una Procura della
Repubblica del distretto, ivi compresa la Procura presso il Tribunale
per i minorenni.
I magistrati non possono appartenere ad uno stesso ufficio
giudiziario ove i loro parenti fino al secondo grado, o gli affini in
primo grado, svolgono attivita' di ufficiale o agente di polizia
giudiziaria. La ricorrenza in concreto dell'incompatibilita' e'
verificata sulla base dei criteri di cui all'articolo 18, secondo
comma, per quanto compatibili.».
Capo IV
Disposizioni finali e ambito di applicazione
Art. 30.
Ambito di applicazione
1. Il presente decreto non si applica ai magistrati amministrativi
e contabili.
Art. 31.
Abrogazioni
1. Oltre a quanto previsto dal decreto legislativo di attuazione
della delega di cui all'articolo 1, comma 3, della legge n. 150 del
2005, sono abrogati, dalla data di acquisto di efficacia delle
disposizioni contenute nel presente decreto:
a) l'articolo 12 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e
successive modificazioni;
b) gli articoli 17, 18, 19, 20, 21, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33,
34, 35, 36, 37 e 38 del regio decreto legislativo n. 511 del 1946;
c) gli articoli 57, 58, 59, 60, 61 e 62 del decreto del
Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, n. 916;
d) l'articolo 14, primo comma, n. 1), della legge 24 marzo 1958,
n. 195.
Art. 32.
Decorrenza di efficacia
1. Le disposizioni contenute nel presente decreto legislativo sono
efficaci a far data dal novantesimo giorno successivo a quello della
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito
nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.
Dato a Roma, addi' 23 febbraio 2006
CIAMPI
Berlusconi, Presidente del Consiglio
dei Ministri
Castelli, Ministro della giustizia
Tremonti, Ministro del-l'economia e
delle finanze
Baccini, Ministro per la funzione
pubblica
Visto, il Guardasigilli: Castelli
Avv. Antonino Sugamele

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