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Sentenza

Competenza dei geometri e illegittimità delle prestazioni eseguite SUPREMA CORTE...
Competenza dei geometri e illegittimità delle prestazioni eseguite SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Sentenza 21 marzo 2011, n. 6402
Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 17 giugno 1993 la P. S. s.r.l. proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Ancona, avverso al Decreto Ingiuntivo n. 11**/93, con il quale il Presidente del Tribunale di Ancona le ingiungeva il pagamento della somma di L. 13.792.800, in favore di B.F., per le prestazioni professionali svolte da quest'ultimo in ordine ai progetto di un edificio industriale prefabbricato in ****, commissionato dalla stessa ingiunta. L'opponente assumeva che il B. non aveva diritto ad alcun compenso avendo egli svolto, da geometra, un'attività professionale riservata dalla legge agli ingegneri; rinviava, inoltre, alla domanda risarcitoria proposta, con atto di citazione notificato in data 16 ottobre 1989, nei confronti della G. D. S.p.A., dell'ing. G.M. e dell'arch. B.F., con il quale chiedeva la condanna degli stessi al rimborso dei danni subiti per ritardata consegna dell'edificio industriale, per il cattivo funzionamento dell'impianto fognario e per l'errato orientamento delle finestre di sched.. in quest'ultimo giudizio, all'udienza del 20.10.1992: interveniva conciliazione giudiziale fra la società P. (ora P. S.), da una parte, e la D. G. S.p.A. e l'ing. G.M., dall'altra, conciliazione cui restava estraneo il B..

Ciò posto ed instaurato il contraddittorio in sede di opposizione, il giudice di prime cure provvedeva alla riunione delle due cause e all'esito dell'istruzione della causa, il Tribunale adito, con riferimento alle domande risarcitorie proposte dalla società opponente dichiarava la cessazione della materia del contendere per effetto della conciliazione transattiva raggiunta nel procedimento introdotto dalla stessa società opponente, in via ordinaria, e confermava il decreto ingiuntivo opposto, con condanna alle spese del giudizio.

In virtù di rituale appello interposto dalla P. S. s.r.l. (così trasformata la P. s.r.l.), con il quale lamentava l'erroneità della sentenza del giudice di prime cure per avere ritenuto la legittimità dell'attività professionale svolta dal geometra B.F., insistendo per la condanna dello stesso alla restituzione delle somme esborsate in esecuzione del decreto ingiuntivo, oltre al risarcimento dei danni per errato orientamento delle finestre di sched., la Corte di Appello di Ancona, nella resistenza dell'appellato, accoglieva l'appello e in riforma della sentenza impugnata, dichiarava la nullità del decreto ingiuntivo, disponendo la restituzione delle somme versate in esecuzione del d.i. (dichiarato provvisoriamente esecutivo).

A sostegno dell'adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che nella specie doveva essere esclusa la competenza del geometra all'impiego di cemento armato per le caratteristiche dei capannone realizzando, adibito ad uso industriale e della superficie di mq. 3.600, per cui non poteva essere considerato "piccola o modesta costruzione", ai sensi del R.D. n. 274 del 1929, art. 16, lett. 1).

Precisava, altresì, che non poteva essere superato il difetto di abilitazione alla professione di ingegnere dell'appellato dalla circostanza che egli avesse affidato la progettazione delle opere cementizie all'ing. G., dovendo essere il professionista competente ad assumersi la responsabilità dei calcoli delle strutture armate.

Aggiungeva, inoltre, che pure errata doveva ritenersi la dichiarazione di cessazione della materia del contendere con riferimento alla domanda risarcitoria formulata dalla società appellante, essendo stato specificamente previsto dalle parti che la conciliazione aveva efficacia "limitatamente ai rapporti tra la s.r.l. P., la S.p.A. G. e l'ing. G. transattivo"; nei merito, però riteneva l'insussistenza del vizio dedotto.

Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello di Ancona ha proposto ricorso per cassazione il B., che risulta articolato su tre motivi, al quale ha resistito la P. S. s.r.l. con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato le memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, articolato sotto diversi profili, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 274 del 1929, art. 16 lett. 1) e m), nonchè del R.D. n. 2229 del 1939, della L. n. 144 del 1949, della L. n. 1086 del 1971, art. 3, della L. n. 64 del 1974, e degli artt. 2041, 2229 e 2231 c.c., con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare, il ricorrente assume che il giudice di secondo grado sarebbe incorso in palese travisamento dei fatti, essendosi egli limitato alla progettazione dei lavori della sola parte architettonica dell'opera, mentre la progettazione strutturale e la direzione dei lavori era stata espletata dal professionista abilitato, l'ing. G.. Inoltre, la Corte di merito non avrebbe tenuto conto della modestia della costruzione, da valutare con riferimento alte difficoltà tecniche che nella fattispecie erano limitate, cui sarebbe conseguito un indebito arricchimento della P. S. ottenuto dalle prestazioni professionali del ricorrente.

Le censure ora riassunte, che si prestano ad essere esaminate congiuntamente, per essere tra loro strettamente connesse, in quanto attinenti alla abilitazione del B.a svolgere l'incarico de quo, sono prive di pregio.

La corte di appello di Ancona, nel negare il diritto del B., all'epoca geometra, al compenso per le prestazioni professionali da lui effettuate per conto della P. S. s.r.l., ha, invero, interpretato ed applicato correttamente il R.D. 11 febbraio 1929, n. 274, che, all'art. 16, lett. m), limita la competenza dei geometri alla progettazione, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili, con esclusione di quelle che comportino l'adozione anche parziale di strutture in cemento armato, riconoscendone, peraltro, la competenza, in via di eccezione, ad eseguire tali attività per quelle strutture, a norma della lett. l), solo con riguardo alle piccole costruzioni accessorie nell'ambito degli edifici rurali o destinati alle industrie agricole che non richiedono particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pencolo per le persone; restando, quindi, esclusa, in ogni caso, la suddetta competenza nel campo delle costruzioni civili, sia pure modeste, ove si adottino strutture in cemento armato, per cui ogni competenza è riservata agli ingegneri ed architetti iscritti nell'albo, ai sensi del R.D. 16 novembre 1939, n. 2229, art. 1, (v. Cass. 2 aprile 1997 n. 2861; Cass. 22 ottobre 1997 n. 10365).

E' opportuno ribadire che tale normativa, non modificata dalla L. 5 novembre 1971, n. 1086, che si limita a rinviare per gli ingegneri, architetti e geometri alla previgente ripartizione di competenza, implica che ai geometri non possa comunque essere affidata la progettazione e la direzione dei lavori di costruzioni comportanti l'impiego dei cemento armato (vedi ex multis: Cass.; 28 luglio 1992 n. 9044; Cass. 19 aprile 1995 n. 4364).

I giudici di appello, nella specie, hanno accertato e valutato - e tali attività non sono ripetibili in questa sede - che il progetto (o, meglio, i progetti) redatto dall'allora geom. B. su incarico della P. S. riguardava un edificio industriale, con palazzina uffici, quindi una struttura architettonica complessa, costituita da un capannone prefabbricato con un solo piano, nella parte destinata al laboratorio, e due piani nella parte destinata negli uffici; come si legge alla pag. 2 della memoria ex art. 378 dello stesso ricorrente), progetto che aveva comportato anche l'esecuzione di calcoli del cemento armato ed uno studio dei minimi particolari costruttivi (fondazioni, pilastri, travi, tetto...), come, evidenziato dalla esposizione dello stesso ricorso al punto II. Tali essendo (e risultanze degli accertamenti e delle valutazioni eseguite in seda di merito, appare corretta, logica e coerentemente motivata la conclusione che ne hanno tratto i giudici dell'appello nel ritenere che la prestazione professionale: del B. è stata contra legem, per avere il professionista ecceduto i limiti delle competenze inderogabili fissati dalla legge e nello statuire, conseguentemente, che il relativo contratto d'opera professionale da lui concluso con la committente è nullo ex art. 1418 c.c., in relazione all'art. 2229 c.c. e ss., (v. Cass. 20 ottobre 1994 n. 8576).

Inoltre resta da osservare che, a norma dell'art. 2231 c.c., comma 1, quando l'esercizio di una attività professionale è condizionato all'iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto dando luogo a nullità assoluta dei rapporto fra professionista e cliente, rilevabile anche di ufficio, e, privando il contratto di qualsiasi effetto, non riconosce alcuna azione per il pagamento della retribuzione (v. Cass. 4 dicembre 1992 n. 11947; Cass. 5 ottobre 1995 n. 305)i che non può, pertanto, essere pretesa a nessun titolo, neanche ai sensi dell'art. 2041 c.c..

Non merita censura, quindi, la decisione qui impugnata, con la quale è stato negato al ricorrente il diritto al compenso per una prestazione professionale non rientrante tra quelle che sono consentire ai geometri.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, a norma dell'art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il giudice distrettuale svuotato di ogni valenza l'intervento dell'ing. G., che non si era limitato a controfirmare o a vistare il progetto, ma aveva provveduto alla sua redazione e ad effettuare la direzione dei lavori, con espressa assunzione di responsabilità.

Conclude il ricorrente - con richiamo anche di quanto esposto nel primo motivo - che diversamente interpretando il R.D. n. 274 del 1929, art. 16, lett. 1) e m), si metterebbe a rischio di incostituzionalità la medesima norma.

E' il caso di ricordare che nell'ambito della disciplina normativa sopra evidenziato, dal quale emerge una chiara ripartizione di competenze tra geometri ed altri professionisti in riferimento alla progettazione ed alla direzione di opere relative a costruzioni ed edifici, trova fondamento l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, secondo cui la progettazione e la direzione di opere da parte di un geometra in materia riservata alla competenza professionale degli ingegneri e degli architetti sono illegittime, cosicchè a rendere legittimo un progetto redatto da un geometra non rileva che esso sia controfirmato o vistato da un ingegnere ovvero che un ingegnere esegua i calcoli del cemento armato e diriga le relative opere, perchè è il professionista competente che deve essere, altresì, titolare della progettazione (v. Cass. 13 gennaio 1983 n. 286; Cass. 25 febbraio 1986 n. 1182; Cass. 13 marzo 1995 n. 3108), trattandosi di incombenze che devono essere inderogabilmente affidate dal committente al professionista abilitato secondo il proprio statuto professionale, sul quale gravano le relative responsabilità.

Anche per tale ragione, dunque, correttamente la sentenza impugnata ha concluso per la nullità del contratto.

E' agevole, infine, obiettare l'insussistenza anche di un eventuale vizio di illegittimità costituzionale adombrato dal ricorrente con riferimento al R.D. n. 274 del 1929, art. 16, lett. 1) e m), che così interpretato si porrebbe in contrasto con i principi della Costituzione, in quanto investirebbe un atto regolamentare e non una legge o un atto avente forza di legge (v. ord. Corte Cost. n. 219 del 1983 e n. 326 del 1992; seni n, 199 dei 27 aprile 1993) e perchè non è indicata la norma della Costituzione con la quale il citato art. 16 sarebbe in contrasto.

Questa Corte, comunque, ha già avuto modo di affermare che con riguardo ai limiti delle competenze professionali dei geometri in tema di progettazione e realizzazione di costruzioni civili, le disposizioni della L. n. 1086 del 1971, art. 2, e L. n. 144 del 1949, art. 57, nella parte in cui, tramite rinvio alla norma regolamentare di cui al R.D. 11 febbraio 1929, n. 274, art. 16, fanno riferimento alla modesta entità delle costruzioni medesime, manifestamente non si pongono in contrasto con gli artt. 3 e 25 Cost., perchè esprimono Sa scelta discrezionale del legislatore ordinario per un criterio non generico ed obiettivamente idoneo a differenziare le attribuzioni dei geometri rispetto a quelle degli ingegneri, e perchè, inoltre, tale differenziazione, rilevante ai fini civilistici della validità dei contratti di prestazione d'opera professionale, non incide su eventuali responsabilità penali per i fatti di abusivo esercizio della professionale (v. Cass. 6 marzo 1989 n. 1212).

Con il terzo ed ultimo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1304 c.c., con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per avere escluso che l'accordo transattivo spiegasse efficacia anche nei suoi confronti, non potendo detto effetto essere precluso dal creditore, come previsto dal comma 1, della norma invocata, e non essendo applicabile alla fattispecie l'art. 1411 c.c., comma 2.

Il motivo oltre a mancare di autosufficienza (invero non essendo la Corte di Cassazione abilitata all'esame diretto degli atti delle cause di merito, il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere in ricorso, in modo completo o quantomeno nelle parti salienti, fatto di transazione e dimostrare che nel suddetto atto erano ravvisabili gli errori e la mancata attinenza delle argomentazioni del giudice di merito con la transazione: bv. Cass. Sez. 1^ 20 settembre 2006 n. 20405; Cass. Sez. 1^ 13 dicembre 2006 n. 26693; Cass. Sez. 3^ 19 gennaio 2007 n. 1199), pone un problema di interpretazione dello stesso, che costituisce tipica attività del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità. In conclusione il ricorso va rigettato alla stregua delle precedenti considerazioni.

Al rigetto dei ricorso consegue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Avv. Antonino Sugamele

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