DIRITTO CIVILE: Liquidazione equitativa. Lite temeraria.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI CIVILE
Ordinanza 22 settembre – 12 ottobre 2011, n. 20995
(Presidente Finocchiaro – Relatore Vivaldi)
Premesso in fatto
È stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
"1. - È chiesta la cassazione parziale della sentenza emessa dal Tribunale di Catanzaro in data 2.6.2009 e depositata il 22.10.2009, con la quale è stato dichiarato inammissibile l'appello proposto da M.C..F. con il rigetto della domanda di risarcimento danni per lite temeraria e compensazione delle spese del giudizio di appello.
Al ricorso si applicano le norme di cui alla L. 18.6.2009 n. 69, per essere il provvedimento impugnato depositato successivamente all'entrata in vigore della indicata normativa (4 luglio 2009).
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 132 e 118 disp.att. c.p.c., per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Con il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 96 c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 132 e 118 disp.att. c.p.c., per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Il secondo motivo, per la priorità logica delle censure con lo stesso avanzate, va esaminato per primo.
Esso è fondato nei termini e per le ragioni che seguono.
La sentenza impugnata ha rigettato la domanda di risarcimento danni per lite temeraria per la mancata prova della "concreta ed effettiva esistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della parte medesima".
A tal fine, deve rilevarsi che recentemente le Sezioni Unite della Corte hanno affermato che, ai fini del riconoscimento del danno da responsabilità aggravata il giudice "può fare riferimento a nozioni di comune esperienza, tra cui il pregiudizio che la controparte subisce per il solo fatto di essere stata costretta a contrastare un'ingiustificata iniziativa dell'avversario, non compensata, sul piano strettamente economico, dal rimborso delle spese e degli onorari del procedimento stesso, liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente" (Cass. sez. un. n. 3057 del 2009).
Non si tratta di riconoscere un danno in re ipsa, il che sarebbe contrario alla logica della necessaria individuazione del danno come danno-conseguenza, bensì di prendere atto, secondo nozioni di comune esperienza, che il subire iniziative giudiziarie temerarie o resistenze temerarie a pretesa giudiziali, comporta, per il fisiologico "scarto" fra la liquidazione delle spese giudiziali - che obbedisce a tariffe predeterminate e, per gli onorari, contempla una discrezionalità del giudice nella liquidazione, sia pure sulla base di elementi del caso concreto - e quanto normalmente riconosciuto nel rapporto fra cliente e difensore, la sicura verificazione a carico della parte vittoriosa, che pure si veda liquidare le spese giudiziali, di una perdita economica per il di più che avrà riconosciuto al difensore.
In questa ottica, una volta riconosciuta la temerarietà della lite - il che in sostanza deve affermarsi con riferimento alla motivazione adottata nella sentenza impugnata -, in mancanza di dimostrazione di concreti e specifici danni patrimoniali conseguiti al suo svolgimento, è giustificabile che il giudice, avuto riguardo a tutti gli elementi della controversia, ed anche alle spese giudiziali che concretamente competerebbero alla parte vittoriosa, attribuisca alla parte vittoriosa il riconoscimento di un danno patrimoniale procedendo alla sua liquidazione in via equitativa.
Va, poi, considerato che l'art. 96 c.p.c., prevede che debba essere riconosciuto il risarcimento non del danno, bensì dei danni.
L'ampiezza della formulazione - se si considera che nel tessuto del Codice Civile, nella disciplina dell'illecito aquiliano, è presente la distinzione fra il. danno patrimoniale e quello non patrimoniale, come definita dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n. 26972 del 2008 giustifica che il legislatore processuale del Codice del 1940 abbia inteso consentire anche la liquidazione del danno non patrimoniale, il che, alla luce degli insegnamenti delle Sezioni Unite, appare giustificato anche nella prospettiva che il diritto di azione e di difesa in giudizio è sicuramente un diritto costituzionale fondamentale. Risulta, dunque, possibile ritenere che, riconosciuta la temerarietà della lite, un danno di natura non patrimoniale sofferto dalla parte vittoriosa si verifichi sotto il profilo di una lesione dell'equilibrio psico-fisico, come ha ritenuto un precedente di questa Corte, affermando che il danno rilevante ai sensi dell'art. 96 c.p.c., può desumersi in base a "nozioni di comune esperienza anche alla stregua del principio, ora costituzionalizzato, della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost., comma 2) e della L. n. 89 del 2001 (c.d. legge Pinto), secondo cui, nella normalità dei casi e secondo l'id quod plerumque accidit, ingiustificate condotte processuali, oltre a danni patrimoniali (quali quelli di essere costretti a contrastare una ingiustificata iniziativa dell'avversario, e, per di più, non compensata sul piano strettamente economico dal rimborso delle spese ed onorari liquidabili secondo tariffe che non concernono il rapporto tra parte e cliente), causano ex se anche danni di natura psicologica, che per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa" (Cass. n. 24645 del 2007; v. anche Cass. n. 10606 del 2010).
I principi qui richiamati giustificano allora l'accoglimento del secondo motivo di ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al tribunale di Catanzaro, che si conformerà ad essi e procederà a riconoscere, con opportuno riferimento alla concretezza del caso, sia il danno patrimoniale minimale innanzi individuato, sia quello non patrimoniale.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 132 e 118 disp.att. c.p.c., per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Il motivo, in sé, è manifestamente infondato.
La compensazione delle spese del giudizio di appello, che il giudice del. merito ha motivato con la "sussistenza di giusti motivi", in realtà si giustificava con il rigetto della domanda di risarcimento danni per lite temeraria avanzata dall'odierna ricorrente per mancata prova dell'esistenza di un danno risarcibile, emergendo, pertanto, dalla motivazione complessivamente adottata a fondamento dell'intera pronuncia.
L'accoglimento del secondo motivo, tuttavia, determina l'assorbimento del motivo in discorso, atteso che la Corte di rinvio dovrà rendere una nuova decisione e, quindi, statuire nuovamente sulle spese del giudizio di appello.
Il ricorso è, dunque, accolto nei sensi indicati quanto al secondo motivo.
Il primo motivo resta assorbito".
La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti.
Non sono state presentate conclusioni scritte, né alcuna delle parti è stata ascoltata in camera di consiglio.
Ritenuto in diritto
Aseguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.
Conclusivamente, deve essere accolto il secondo motivo, dichiarato assorbito il primo.
La sentenza va cassata in relazione, e la causa rinviata al tribunale di Catanzaro in persona di diverso magistrato.
Le spese vanno rimesse al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo; dichiara assorbito il primo. Cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Catanzaro in persona di diverso magistrato.
02-12-2011 00:00
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