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Sentenza

Il danno non patrimoniale deve essere personalizzato. SUPREMA CORTE DI CASSAZION...
Il danno non patrimoniale deve essere personalizzato. SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Sentenza 26 maggio 2011, n. 11609.
In fatto e in diritto

1.1. In controversia relativa al risarcimento dei danni richiesti da R.B., investito da un motoscafo condotto da C.P. mentre nuotava nelle acque antistanti la spiaggia di (OMISSIS), riportando gravissime lesioni personali con residua epilessia post-traumatica, la Corte di Appello di Messina, con sentenza depositata il 4 febbraio 2009, sui punti che qui rilevano: a. ha riconosciuto il B. affetto da crisi epilettiche post-traumatiche, con frequenza 4-5 volte al mese anche plurisettimanali, attribuendogli, ai fini della determinazione del danno biologico, un'invalidità permanente del 50%; b. ha liquidato in Euro 51.645,49 il danno biologico; ha liquidato il danno morale soggettivo nel 50% del biologico (Euro 25.823,84); ha attribuito anche il danno morale latu sensu, richiesto dalla vittima quale danno alla vita di relazione, stimato equitativamente in Euro 41.316,55, definito come voce di danno "che integra e completa il danno biologico e non è da considerarsi autonoma"; ha liquidato in via equitativa anche il danno patrimoniale futuro in Euro 61.974,72= e quello per spese mediche e cure passate e future in Euro 25.882,84.

1.2. Propone ricorso per cassazione il C., conducente del motoscafo investitore, basato su otto motivi; resiste con controricorso il B. che chiede respingersi il ricorso, in quanto inammissibile o infondato.

2.1.1. Con il primo motivo, il ricorrente chiede alla Corte "se il giudice abbia commesso violazione dell'art. 112 c.p.c. omettendo di pronunziarsi sull'eccezione ritualmente proposta in primo grado all'udienza del 30.11.1995 e reiterata, al punto n. 5 delle conclusioni dell'appello incidentale, di nullità di attività processuali di primo grado che coinvolgono, ai sensi dell'art. 159 c.p.c., anche l'espletamento di una prova testimoniale delegata posta a fondamento della decisione impugnata.

2.1.2. Il motivo, che lamenta l'omessa pronuncia su un motivo di appello incidentale, si rivela inammissibile, perché formulato in violazione del canone di autosufficienza del ricorso per cassazione. Infatti, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito siano state rivolte una domanda o un'eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall'altro, che tali domande o eccezioni siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell'autosufficienza, con l'indicazione specifica altresì, dell'atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, sia la ritualità e la tempestività, sia la decisività (Cass. S. U. n. 15781/05; Cass. n. 26234/05; 16752/06). Nel ricorso per cassazione si deve specificare quale sia il "chiesto" al giudice del gravame su cui questi non si sarebbe pronunciato, non potendosi limitare ad un mero rinvio all'atto di appello (il quale però non è da solo sufficiente, come ritiene il ricorrente anche nelle note di replica alle richieste del P.G.), atteso che la Corte di cassazione non è tenuta a ricercare al di fuori del contesto del ricorso le ragioni che dovrebbero sostenerlo, ma può accertarne il riscontro in atti processuali al di fuori del ricorso sempre che tali ragioni siano state specificamente formulate nello stesso (Cass. n. 317/02; v. anche Cass. n. 5148/03). Nella specie, la censura è anche priva di autosufficienza in relazione ordine alle prove asserite come rilevanti in ordine a quanto argomentato nelle pagine da 5 a 7 della sentenza impugnata.

2.2.1 Con il secondo ed il terzo motivo, il ricorrente deduce insufficienza della motivazione sul fatto controverso e decisivo del ritenuto aumento della frequenza delle crisi epilettiche del B., non illustrando le fonti del convincimento e rinviando genericamente a relazioni, senza indicarne contenuto, data e qualità dell'autore ed a testimonianze di cui omette qualsiasi riferimento, senza consentire di valutare l'iter argomentativo (secondo motivo); nonché sul punto controverso dell'attualità e gravità della malattia, non tenendo conto di due C.T.U. depositate nel fascicolo di ufficio in cui si descrive il numero delle crisi epilettiche (due in 33 giorni di ricovero), né della perizia di parte depositata in appello, né della relazione investigativa sul comportamento del B. nel 1993, e disattendendo la richiesta di acquisire la documentazione presentata dal soggetto per i rinnovi della patente; tutti elementi che avrebbero dovuto indurre la Corte a disporre nuova C.T.U. o approfondimenti istruttori.

2.2.2. Anche questi motivi non colgono nel segno. Invero, nella parte in cui censurano la prova e le modalità di accertamento della gravità dei postumi permanenti, derivanti dall'incidente, essi si riferiscono ad una questione di fatto, sulla quale la Corte di appello ha congruamente motivato; i rispettivi "momenti di sintesi" si rivelano comunque inidonei, non indicando specificamente le ragioni per cui la dedotta insufficienza della motivazione non consentirebbe di giustificare la decisione. Inoltre, nella misura in cui censura la ritenuta sussistenza dei presupposti della componente "biologica" del danno non patrimoniale la doglianza è inammissibile, perché prospettata quale vizio motivazionale a norma dell'art. 360 n. 5 c.p.c., anziché come violazione degli artt. 2056 e 2059 c.c..

2.3.1. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce insufficienza di motivazione sulla liquidazione equitativa delle spese e delle cure mediche passate e future, il cui accertamento aveva formato oggetto di mandato al C.T.U. F. in primo grado; mentre la Corte ha deciso immotivatamente ed ha liquidato tali poste in via equitativa in pieno contrasto con le risultanze della C.T.U. 10 11 1994 di cui non ha tenuto conto.

2.3.2. Anche questa censura non coglie nel segno, perché lamenta come vizio motivazionale, a norma dell'art. 360, comma primo n. 5, c.p.c. un vero e proprio error in iudicando, consistente nella violazione e falsa applicazione dell'art. 2056 in relazione all'art. 1223 c.c., perché sarebbero state riconosciute le predette componenti del danno patrimoniale, rappresentanti parti del "danno emergente", procedendone alla liquidazione in via equitativa, senza la necessaria previa prova dell'esistenza dei relativi pregiudizi (Cass. n. 15585/07; 24680/06). Ne deriva che la censura é inammissibile, poiché non attiene all'accertamento ed alla valutazione di fatti rilevanti per la decisione, ma involge profili di stretto diritto. Pertanto, essa pacificamente non può trovare ingresso ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., salva la eventuale correzione o integrazione della motivazione, ove il dispositivo risulti conforme a diritto (Cass. n. 5595/2003, in motivazione; 4526/2001; 14630 e 4593/2000; 2940/1990).

2.4.1. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2056 e 2059 c.c. e chiede a questa S.C. se la liquidazione da parte della Corte di Appello del danno morale soggettivo, già liquidato in sentenza quello biologico, costituisca inammissibile duplicazione risarcitoria in quanto attribuisce alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, il risarcimento sia per il danno biologico che per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, che costituisce necessariamente una componente del primo.

2.5.1. Con il sesto motivo, sotto il profilo del vizio motivazionale, e con il settimo, sotto quello della violazione degli artt. 1226, 2056 e 2059 c.c., il ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha insufficientemente motivato (non indicando le fonti del proprio convincimento) ed illegittimamente liquidato il danno alla vita di relazione come danno non patrimoniale distinto da quello morale, qualificato dalla Corte come integrazione del danno biologico già liquidato (chiedendo alla Corte di verificare se ciò costituisca inammissibile duplicazione risarcitoria a vantaggio della vittima di lesioni, ove derivanti da reato, trattandosi di componente necessaria del danno biologico).

2.5.2. Questi tre motivi - che possono essere trattati congiuntamente, data la loro intima connessione, in quanto riguardano la questione della configurazione e della liquidazione delle componenti del danno non patrimoniale - si rivelano infondati.

2.5.3. Giova premettere che le Sezioni Unite di questa S.C., nel procedere alla sistemazione della figura del "danno non patrimoniale" hanno chiaramente affermato che, in tema di danno alla persona, il riconoscimento del carattere "omnicomprensivo" del risarcimento del danno non patrimoniale non può andare a scapito del principio della "integralità" del risarcimento medesimo. Secondo le Sezioni Unite, infatti, il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre; il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c., identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie; il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno; é compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione (affermazioni contenute nel punto 4.8 di Cass. S.U. n. 26972/08). Ciò significa che la giurisprudenza di questa S.C., da un lato, ha ricondotto i danni risarcibili nell'ambito della classificazione bipolare stabilita dal legislatore, riassumendoli tutti nelle due categorie dei danni patrimoniali e dei danni non patrimoniali, specificando che le distinzioni elaborate dalla dottrina e dalla prassi fra danno biologico, danno per morte, danno esistenziale, ecc, hanno funzione meramente descrittiva; dall'altro lato, ha precisato che, nel procedere alla quantificazione ed alla liquidazione dell'unica categoria "danno non patrimoniale", il giudice deve tenere conto di tutti gli aspetti di cui sopra; se, pertanto, debbono essere evitate duplicazioni risarcitorie, mediante l'attribuzione di somme separate e diverse in relazione alle diverse voci (sofferenza morale, danno alla salute, danno estetico, ecc), i danni non patrimoniali debbono comunque essere integralmente risarciti, nei casi in cui la legge ne ammette la riparazione: nel senso che il giudice, nel liquidare quanto spetta al danneggiato, deve tenere conto dei diversi aspetti in cui il danno si atteggia nel caso concreto (v. Cass. n. 8360/10).

2.5.4. Nel caso di specie, procedendo al riconoscimento del danno morale soggettivo, la Corte territoriale non ha violato le indicate disposizioni di legge e non ha dato luogo ad un'inammissibile duplicazione, avendo attribuito tale componente del danno, dotata di logica autonomia in relazione alla diversità del bene protetto, che attiene ad un diritto inviolabile della persona ovvero all'integrità morale, quale massima espressione della dignità umana, desumibile dall'art. 2 Cost. in relazione all'art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'U.E., contenuta nel Trattato di Lisbona (ratificato dall'Italia con legge n. 190/08), tenendo conto delle condizioni soggettive della vittima e della gravità del fatto (Cass. n. 29091/08; 5770/10). Parimenti, non sussistono né la violazione di legge, né l'insufficienza di motivazione lamentate nel sesto e nel settimo motivo. La Corte territoriale ha congruamente e correttamente riconosciuto un'ulteriore componente del danno non patrimoniale, distinta dal danno morale ed integrativa di quello quantificato a titolo di danno biologico, in considerazione che, a seguito dell'incidente e dell'insorta epilessia traumatica, il B. non aveva potuto coltivare gli esercizi di atletica pesante, in cui aveva ottenuto lusinghieri risultati, non aveva potuto continuare la pratica di commercialista, né coltivare la vita di relazione e sociale, isolandosi socialmente, alterando le proprie abitudini di vita, ciò anche a causa delle crisi depressive conseguenti ai frequenti attacchi di epilessia. Ciò dimostra che vi è stato un congruo e corretto apprezzamento delle risultanze processuali e che la decisione, sul piano giuridico, è in armonia con il richiamato principio della "integralità" del risarcimento del danno alla persona, il quale, per quanto concerne il "danno biologico", comporta che tale figura - che ha avuto espresso riconoscimento normativo nel d.lgs. n. 209 del 2005, artt. 138 e 139, recante il Codice delle assicurazioni private, va individuata nella "lesione temporanea o permanente all'integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito", con una definizione suscettiva di generale applicazione, in quanto recepisce i risultati ormai definitivamente acquisiti di una lunga elaborazione dottrinale e giurisprudenziale (v., in tal senso, Cass. S.U. n. 26972/08, punto 2.13). Riconoscendo, pertanto, detta componente - in considerazione dei gravi postumi permanenti incidenti negativamente sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato - la Corte territoriale ha proceduto alla corretta "personalizzazione" del risarcimento del danno biologico (Cass. n. 3906/10; 25236/09).

Del resto, al di là della generica deduzione di asserite "duplicazioni", il ricorrente non ha specificato come le componenti di danno contestate con i riferiti motivi siano invece da ritenersi già incluse nella "prudenziale" liquidazione (50%) del danno biologico, operata dalla Corte territoriale con esclusivo riferimento all'invalidità permanente (inquadrabile, sotto il profilo medico-legale, secondo la stessa Corte, nel 50-60%).

2.6.1. Con gli ultimi due motivi il ricorrente lamenta vizi di motivazione in ordine all'esistenza del danno patrimoniale futuro per mancato svolgimento dell'attività di ragioniere commercialista, per avere la Corte rinviato genericamente a documenti senza indicarne il contenuto (prima di queste due censure), nonché per avere la Corte individuato un pregiudizio meramente potenziale e possibile, niente affatto connesso all'illecito in termini di certezza o almeno con un grado di elevata probabilità, limitandosi a valutazioni possibilistiche etichettate con lo stereotipo dell'id quod plerumque accidit.

2.6.2. Anche questi motivi sono privi di pregio. In primo luogo, anche qui i rispettivi "momenti di sintesi" si rivelano inidonei, non indicando specificamente le ragioni per cui la dedotta insufficienza della motivazione non consentirebbe di giustificare la decisione. Inoltre, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, la Corte territoriale ha puntualmente indicato le ragioni che stanno alla base del riconoscimento e della quantificazione del danno patrimoniale futuro (tenuto conto che il B. a venti anni era già ragioniere, secondo una ragionevole previsione, avrebbe potuto ragionevolmente superare gli esami per raggiungere il traguardo di esercitare l'attività professionale autonoma di ragioniere e commercialista), procedendo poi in via equitativa e sula base delle risultanze di causa alla valutazione della riduzione della capacità di guadagno. Del resto, anche se tale componente del danno patrimoniale dovesse essere inquadrata, anziché nella perdita della capacità di guadagno, nella cosiddetta perdita di chances, comunque le censure di cui al ricorso si rivelerebbero infondate, dato che questa va rettamente intesa non come mancato conseguimento di un risultato probabile, ma come mera perdita della possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione ex ante da ricondursi al momento in cui il comportamento illecito (e il conseguente evento di danno) ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale Cass. 4400/2004; Cass. 21619/07); tale perdita ha natura di danno patrimoniale futuro, la cui liquidazione, secondo criteri indiscutibilmente equitativi, può rapportarsi a valutazioni di circostanze di fatto (quali quelle nella specie considerate dal giudice del merito in ordine alle condizioni personali e professionali del soggetto all'atto dell'incidente e all'entità del reddito all'epoca goduto) che, se motivate secondo un iter argomentativo scevro da vizi logico-giuridici (quale quello indiscutibilmente seguito nel caso di specie) si sottraggono a qualsiasi forma di censura in sede di legittimità (Cass. n. 10111/08).

Ne deriva il rigetto del ricorso. Nel rapporto tra le parti costituite, le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nei confronti del B., che liquida in Euro 6.400, di cui Euro 6.200 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
Avv. Antonino Sugamele

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