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Sentenza

Morte per amianto. E' il datore di lavoro che deve dimostrare di avere posto in ...
Morte per amianto. E' il datore di lavoro che deve dimostrare di avere posto in essere tutte le misure di sicurezza a tutela del lavoratore.
Corte di Cassazione Sez. Lavoro - Sent. del 14.12.2011, n. 26879

Fatto e diritto

1. M.G. e M.T. , rispettivamente moglie e figlio di M.T., deceduto il (…) a causa di un “mesotelioma pleurico maligno epiteliode”, convennero in giudizio A.Energia spa, esponendo che il loro congiunto aveva contratto la malattia che lo aveva condotto alla morte per aver lavorato dal 21 gennaio 1963 al 30 settembre 1984 alle dipendenze di A., che doveva essere ritenuta responsabile a causa delle sue inadempienze in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro. La società A. chiamò in causa le società assicuratrici A. G. spa, S. Assicurazioni, A. le Assicurazioni (…) spa per essere manlevata in caso di soccombenza.
2. Il Tribunale di Genova, esperita l'istruttoria, respinse il ricorso per mancanza di prova della mancata adozione da parte del datore di misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore con riguardo ai rischi connessi alla mancata utilizzazione dell'amianto.
3. La Corte d'appello di Genova ha confermato la decisione.
4. M.G. e M.T. hanno proposto ricorso per cassazione. A. Energia spa e A.G. spa si difendono con controricorso. I ricorrenti e l'A. hanno anche depositato una memoria.
5. Il ricorso per cassazione si articola in due motivi.
6. Con il primo si denunzia “violazione ex art. 360 punto 5 in relazione all'art. 2087, 1218, 2697 cc”. Con il secondo motivo si denunzia “violazione dell'art. 2087 cc, nonché dell'art. 21 dpr 19 marzo 1956 n. 303.
7. Il ricorso deve essere accolto.
8. La Corte di Genova articola i seguenti passaggi argomentativi: A) è provato che il signor T. morì il (…) a causa di un “mesotelioma pleurico maligno epiteliode”; malattia professionale indennizzata dall'INAIL. B) I ricorrenti assumono che il loro congiunto, avendo lavorato dal 21 gennaio 1963 al 30 settembre 1984 alle dipendenze dell'A., aveva contratto la malattia a causa del lavoro. C) Il Tribunale di Genova esperite le prove testimoniali rigettò il ricorso per mancanza di prova dell'inadempimento da parte del datore di lavoro di misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore con riguardo ai rischi connessi alla utilizzazione dell'amianto. D) Tale utilizzazione all'epoca del rapporto di lavoro del T. (1963-1984) non era vietata e le conoscenze circa la sua pericolosità erano scarse. E) La decisione di primo grado fu appellata dai congiunti del lavoratore, per due motivi: con il primo si sosteneva che il Tribunale aveva invertito l'onere della prova, ponendolo a carico del lavoratore ricorrente. Con il secondo si assumeva che l'affermazione del primo giudice sulla mancanza di conoscenza all'epoca dei fatti del rapporto di causalità tra amianto e mesotelioma, non escludeva il dovere del datore di lavoro di adottare le misure di protezione per l'asbestosi.
9. La Corte d'appello ha rigettato entrambi i motivi di appello richiamando i principi di distribuzione dell'onere della prova in materia di art. 2087 cc fissati dalla giurisprudenza ed affermando che, nel caso in esame, se anche poteva ritenersi probabile che il lavoratore avesse contratto la malattia durante il lavoro, tuttavia non poteva dirsi provato che tale evento dovesse essere imputato alla violazione da parte del datore di lavoro di norme di prevenzione dirette ad evitare la dispersione di fibre di amianto nell'ambiente di lavoro. Ai ricorrenti incombeva provare che la mancata adozione di misure di prevenzione fosse imputabile a colpa del datore di lavoro il quale ne aveva consapevolmente ignorato la pericolosità, che avrebbe dovuto essere a lui nota secondo le conoscenze allora disponibili e la qualificata diligenza alla quale era tenuto. Quanto poi alla adozione di misure a protezione delle polveri da amianto finalizzate a tutelare il lavoratore contro la asbestosi, secondo la Corte occorre dare la prova non solo della omissione delle misure, ma anche delle loro efficacia preventiva rispetto a quello specifico rischio.
10. La Corte ha ritenuto “probabile che il T. abbia contratto il mesotelioma durante l'attività lavorativa”, tuttavia ha rigettato l'appello perché “non può dirsi provato che tale evento debba essere imputato alla violazione da parte del datore di lavoro di norme di prevenzione dirette ad evitare la dispersione di fibre di amianto nell'ambiente di lavoro”.
11. Ma tale conclusione non viene raggiunta sulla base di una analitica e motivata valutazione della prova acquisita nel processo, bensì in applicazione dei principi sull'onere della prova. La Corte ha affermato infatti che gravava sul lavoratore (in questo caso i suoi congiunti, essendo egli deceduto) non solo provare che la malattia fosse stata cagionata dall'ambiente di lavoro (prova che la Corte ritiene acquisita), ma anche che vi “sia stata colpa del datore per non avere adeguato il sistema di prevenzione secondo le conoscenze all'epoca disponibili circa la pericolosità dell'amianto”.
12. Quest'ultima affermazione, da cui deriva la decisione di rigetto dell'appello e di conferma della sentenza di rigetto della domanda, viola le norme indicate nel ricorso per cassazione.
13. I congiunti del lavoratore devono sicuramente provare che la morte è avvenuta a causa del mesotelioma e devono provare che tra il lavoro svolto e il mesotelioma sia intercorso un nesso di causalità, quanto meno in termini di concausalità. E' una prova impegnativa, anche perché, contrariamente a quanto avviene in ambito INAIL, non operano presunzioni circa la natura professionale della malattia quando la stessa, il lavoro ed il periodo di tempo trascorso rientrino nelle previsioni tabellari. Ma l'onere a carico dei ricorrenti si ferma una volta raggiunto questo livello di prova.
14. L'art. 2087 c.c. dispone: “L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro”.
15. Tale norma non comporta una responsabilità di natura oggettiva, ma pone un obbligo a carico del datore di lavoro. Di conseguenza la prova dell'adempimento di tale obbligo, e cioè di aver adottato le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica del lavoratore, è a carico del datore di lavoro.
16. Se il periodo di lavoro ed il processo di incubazione della malattia sono risalenti nel tempo, come in questo caso (1963-1984), dovrà tenersi conto del grado di conoscenze dell'epoca, storicizzando il livello di esperienza e di tecnica richiesto dalla norma e verificando il rispetto delle norme a tutela delle malattie professionali e dell'igiene sul lavoro vigenti all'epoca. Ma la prova è comunque a carico del datore di lavoro (sul grado di conoscenze circa il rischio amianto in un periodo analogo a quello qui considerato, cfr. Cass. 23 maggio 2003 n. 8204, che si occupò di un rapporto di lavoro iniziato nel 1968 e conclusosi nel 1983, confermando le decisioni di condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni conseguenti ad un mesotelioma contratto a causa di tale lavoro; da ultimo, cfr. Cass. 21 aprile 2011 n. 9238).
17. La sentenza della Corte d'appello di Genova non ha seguito questi principi e deve pertanto essere annullata con rinvio ad altro giudice che dovrà valutare la controversia alla luce dei criteri di distribuzione dell'onere della prova su specificati. Il giudice di rinvio deciderà anche in ordine alle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d'appello di Torino, anche per le spese.
Depositata in Cancelleria il 14.12.2011
Avv. Antonino Sugamele

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