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Ad Antonio:
l'Amico più leale,
un Uomo da imitare
ed un Padre da onorare...
Al Dott. Cesare,
con la mia più infinita ed immensa gratitudine...
A Arturo Maresca : il Grande Maestro….
A Vincenzo De Michele, per il suo coraggio e la sua testardaggine….
Al “Mio Leone”, capace, ogni volta, instancabilmente, di far battere il
mio cuore con le melodie infinite del Diritto del Lavoro….
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Capitolo I°
Il diritto alla Sicurezza sul Lavoro.
Costituzione; Codice Civile; Codice Penale; Leggi italiane e fonti
comunitarie
Sommario: 1. Prefazione; 2. La Sicurezza sul Lavoro nella Costituzione,
nel Codice Civile, nel Codice Penale e nelle fonti comunitarie: una
sommaria ―panoramica‖...
“Fare una legge e non farla rispettare, equivale ad autorizzare le
cose che si vuol proibire…”
(Richelieu)
1. Prefazione
La revisione ed il riordino della disciplina in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro sono da anni al centro del dibattito
politico, non solo per il primato che la Costituzione ha attribuito alla
sicurezza del lavoro rispetto alla libertà di iniziativa economica privata, ma
soprattutto per le sempre più frequenti ―morti bianche‖, segno
dell'inadeguatezza del sistema prevenzionistico rispetto all'attuale
contesto economico e sociale.
Infatti, dopo il d.lgs. 626/1994, che aveva recepito la direttiva quadro n.
89/391/CEE e le altre direttive particolari, la normativa sulla sicurezza del
lavoro ha continuato a sovrapporsi, spesso senza alcun coordinamento, alla
preesistente, nella prospettiva di adeguare l'ordinamento interno alla
costante produzione normativa di fonte comunitaria e nella strenua ricerca
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di una tutela effettiva dell'integrità psicofisica del lavoratore.
Del resto, come evidenziato da Giuseppe Santoro Passarelli nel suo
Commentario al Titolo I del d.lgs. 81/2008, a rendere poco chiaro e
coerente il quadro d'insieme era lo stesso d.lgs. 626/1994, il quale, anziché
razionalizzare l'intero sistema, faceva salve le disposizioni in materia di
prevenzione degli infortuni e igiene del lavoro non specificamente
modificate dal decreto medesimo, lasciando alla sensibilità dell'interprete
il non facile compito di individuare, caso per caso, le norme anteriori
implicitamente (o di fatto) superate o sostituite dalla nuova disciplina.
Peraltro, se da un lato è vero che gli obiettivi dell'occupazione di qualità,
del rilancio della produttività e della competitività, posti al centro delle
politiche del lavoro di questi anni, avrebbero scarsa realizzazione senza la
―rivitalizzazione‖ delle norme protettive della salute dei lavoratori negli
ambienti di lavoro; dall'altro, non si può ignorare che proprio il richiamo
alla competitività delle imprese, in un contesto caratterizzato da una crisi
dei mercati che ha assunto una dimensione globale, è alla base di istanze
tendenti, nell'ottica della riduzione dei costi imprenditoriali, ad una
semplificazione degli adempimenti a carico del datore di lavoro (rectius:
attenuazione degli obblighi datoriali) anche non riferimento al profilo della
sicurezza del lavoro.
L'incidenza dei costi della sicurezza sul bilancio dell'impresa fa sì che,
soprattutto in una situazione di recessione economica, competitività e
prevenzione degli infortuni sul lavoro si pongano su fronti diametralmente
opposti, anziché integrarsi quali elementi ―naturali‖ di qualsiasi entità
economica che operi nel mercato secondo la logica del profitto.
A ciò bisogna aggiungere che l'utilizzo della sanzione penale all'interno
del sistema prevenzionistico, pur trovando un significativo consenso, viene
sempre più spesso criticato da quanti, preoccupati di arginare l'invadenza
del diritto penale nel campo giuslavoristico, rivendicano il primato
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dell'autonomia privata e si spingono fino a proporre l'introduzione di
meccanismi di attenuazione della responsabilità del titolare dell'obbligo di
garanzia.
Senza andare molto indietro nel tempo, le difficoltà di compiere una
profonda rivisitazione della normativa prevenzionistica sono testimoniate
dal tentativo effettuato nella quattordicesima Legislatura, in attuazione
dell'art. 3 della legge 29 luglio 2003, n. 229.
La bozza di testo unico, approvata in prima lettura dal Consiglio dei
Ministri nel novembre del 2004 e fortemente criticata da una parte del
movimento sindacale e dalle Regioni, fu dallo stesso Governo ritirata a
seguito del parere negativo del Consiglio di Stato, che ne sancì la non
conformità al sistema di ripartizione delle competenze tra Stato e regioni
delineato dall'art. 117 della Costituzione.
Detta norma, infatti, stabilisce che la tutela e sicurezza del lavoro è materia
di legislazione concorrente, con la conseguenza che spetta alle Regioni la
potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Invero, il fallimento della citata iniziativa dà conto delle profonde
divergenze esistenti tra le parti sociali e nel mondo politico, in ordine alla
problematica della sicurezza nei luoghi di lavoro.
In tale clima si è giunti, nella quindicesima Legislatura, alla legge 3 agosto
2007, n. 123, recante: «Misure in tema di tutela della salute e della
sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della
normativa in materia», che, pur criticata per l'approccio rigoristico ad essa
sotteso, ha senza dubbio risentito favorevolmente di quel positivo clima di
confronto tra le parti sociali che ha portato alla sottoscrizione del
protocollo di luglio 2007 su welfare e competitività, tradotto in legge 24
dicembre 2007, n. 247.
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La legge 123/2007, nell'introdurre rilevanti novità — con effetto
immediato — in materia di sicurezza del lavoro, ha conferito una nuova
delega al Governo per il riordino della normativa prevenzionistica.
Ne è seguito il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, recante: «Attuazione
dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della
salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro», emanato in un periodo di
piena crisi politica (Governo ―sfiduciato‖ dalle Camere e scioglimento
anticipato delle stesse) e sull'onda emotiva del tragico incidente avvenuto
presso lo stabilimento di Torino della Thyssenkrupp nel quale hanno perso
la vita cinque lavoratori.
Il testo unico, che per espressa previsione normativa si applica a tutti i
settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio, si
suddivide in tredici titoli di cui il primo è costituito da norme di carattere
generale essenzialmente riconducibili alla direttiva comunitaria
89/391/CEE, mentre gli altri titoli — ad eccezione del dodicesimo e del
tredicesimo, concernenti rispettivamente le disposizioni in materia penale
e di procedura penale e le disposizioni finali — sono dedicati ad aspetti
peculiari della sicurezza del lavoro, attuativi di specifiche direttive europee
(es. cantieri temporanei e mobili, attrezzature munite di videoterminali,
agenti fisici, sostanze pericolose, ecc.).
La revisione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di
lavoro non ha, però, eliminato quella ormai fisiologica contrapposizione
tra le parti sociali, radicata anche all'interno delle forze politiche, tra i
sostenitori dell'approccio ―rigido‖ e coloro che, in nome della
competitività dell'impresa, sottolineano la necessità di una mitigazione
dell'apparato sanzionatorio a presidio della sicurezza del lavoro.
Tale contrapposizione, sopita nel periodo immediatamente successivo alla
strage della Thyssenkrupp, è riemersa nel corso dell'attuale Legislatura ed
ha portato all'emanazione del d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106 (c.d. decreto
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correttivo), che ha di fatto mitigato sensibilmente l'apparato sanzionatorio
di cui al d.lgs. 81/2008.
In questo scenario, dove la politica della sicurezza del lavoro non mostra
ancora un percorso evolutivo caratterizzato da univocità, sistematicità e
coerenza, la presente opera intende fornire un quadro sintetico, ma
essenziale sulla tematica della sicurezza nei luoghi di lavoro, muovendo
dalla Costituzione, dal codice civile e dalle fonti comunitarie, per poi
soffermarsi sul testo unico, concentrando però l'attenzione sulle norme di
carattere generale contenute nel medesimo, sull'assetto istituzionale della
sicurezza del lavoro e sui profili della responsabilità civile e penale, senza
entrare nel merito delle disposizioni contenute nei titoli ―speciali‖ del
provvedimento, il cui tecnicismo rischierebbe di precludere una visione
d'insieme del sistema.
2. La Sicurezza sul Lavoro nella Costituzione, nel Codice Civile,
nel Codice Penale e nelle fonti comunitarie: una sommaria
“panoramica”...
“La Costituzione Repubblicana (1948), così com'è, nella sua integrità, è uno strumento
prezioso e insostituibile di promozione della salute dei lavoratori, e ispira tutta la
normativa di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro”.
(Rolando Dubini)
L'inserimento del lavoratore in un'organizzazione produttiva dà un rilievo
particolare all'ambiente di lavoro, da intendersi non solo come il contesto
materiale di svolgimento della prestazione, ma come l'insieme delle
condizioni di svolgimento della stessa .
Nell'impostazione tradizionale codicistica del rapporto di lavoro,
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l'elemento caratterizzante della disciplina della sicurezza negli ambienti di
lavoro è l'affidamento di ogni responsabilità ed iniziativa al datore di
lavoro, rientrando appunto nell'esercizio dei suoi poteri direttivi e di
organizzazione.
Infatti, nell'impianto codicistico di fronte alla necessità di tutelare il
prestatore dagli specifici rischi derivanti dall'ambiente di lavoro, ai
normali obblighi di protezione derivanti dal dovere di correttezza ex art.
1175 c.c., si aggiunge l'esplicita previsione di un obbligo ulteriore per il
datore, di protezione del fondamentale diritto del lavoratore alla tutela
della salute.
In particolare, l'art. 2087 c.c. vincola il datore ad un obbligo di sicurezza
nei confronti dei lavoratori, facendogli carico di adottare, nell'esercizio
dell'impresa, tutte quelle misure che, secondo l'esperienza e la tecnica,
sono necessarie a tutelare l'integrità fisica oltreché la personalità morale
dei prestatori di lavoro.1
Sebbene questa disposizione del codice sia stata, poi, affiancata da una
lunga serie di norme speciali, anche in attuazione di numerose direttive
comunitarie, l'obbligo del datore, di cui all'art. 2087 c.c., non si esaurisce
nel rispetto di tali norme speciali, imponendogli invece di porre in essere
tutte le misure che siano effettivamente idonee secondo, appunto,
l'esperienza, la tecnica e la particolarità del lavoro, a prevenire situazioni
di danno per la salute fisica e la personalità del lavoratore.
Ciò in ragione del fatto che le evoluzioni tecnologiche e organizzative che
incidono sulla realtà produttiva sono tali, infatti, da rendere rapidamente
―obsolete‖ le disposizioni speciali.
Il pacifico riconoscimento giurisprudenziale e dottrinale della natura
1 V. : G. ROSSI, Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in Trattato Breve Nuovi Danni (capitolo n. 227),
Padova, 2011.
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contrattuale di tale obbligo non ha impedito contrasti, anche all'interno
della stessa giurisprudenza, sulle conseguenze derivanti dall'inosservanza
dell'obbligo stesso, soprattutto in materia di onere probatorio in caso di
infortunio sul lavoro.
Infatti, secondo parte della giurisprudenza , sul piano della ripartizione
dell'onere probatorio, al lavoratore spetterebbe lo specifico onere di
riscontrare il fatto costituente inadempimento dell'obbligo di sicurezza
nonché il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento stesso ed il
danno da lui subito, mentre - in parziale deroga al principio generale
stabilito dall'art. 2697 c.c. - non sarebbe gravato dall'onere della prova
relativa alla colpa del datore di lavoro danneggiante, sebbene essa
concorra ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento;
invece sul datore di lavoro incomberebbe l'onere di provare la mancanza
di colpa (onere diversamente articolato a seconda che si tratti di misure di
prevenzione nominate o innominate) anche sotto il profilo dell'omesso
controllo sull'effettivo uso delle misure di prevenzione .
Secondo autorevole dottrina, i principi giurisprudenziali sopra illustrati
comporterebbero una fortissima incertezza per l'imprenditore, che
rischierebbe pesanti condanne civili e penali senza aver potuto conoscere
ex ante la regola di condotta da rispettare, individuata solo ex post da
«giudici e periti maestri del senno di poi» .
In realtà, proprio per arginare questa, forse eccessiva, incertezza la Corte
costituzionale era già intervenuta precisando che «per misure
concretamente attuabili debbono intendersi quelle che, nei diversi settori e
nelle differenti lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche
generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali
altrettanto generalmente acquisiti, sicché penalmente censurata è soltanto
la deviazione dei comportamenti dell'imprenditore dagli standards di
sicurezza propri, in concreto e al momento, delle diverse attività
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produttive» .
Pertanto, il datore per essere sicuro di aver assolto ai propri obblighi e di
non essere dichiarato responsabile ex art. 2087 c.c., in caso di infortunio o
malattia professionale di un lavoratore, non solo dovrà rispettare tutte le
singole prescrizioni normative ma dovrà anche applicare tutte le misure di
protezione applicate dai suoi competitors.
Tale sentenza, con la quale probabilmente il giudice delle leggi ha voluto
anche escludere possibili derive di dumping, attraverso l'abbattimento dei
costi per la sicurezza, ha, altresì, segnato il superamento del principio di
doverosità della massima sicurezza disponibile sul mercato, al quale
sembra essersi sovrapposto il criterio del livello di sicurezza generalmente
praticato nel settore 2.
Dalla predetta natura contrattuale della responsabilità del datore ne
discendono, come ulteriori conseguenze: la competenza del giudice del
lavoro per le controversie comunque inerenti all'obbligo di sicurezza del
lavoratore; l'applicazione del regime di rivalutazione del credito ex art.
429 c.p.c. e l'applicazione del termine di prescrizione estintiva ordinaria
decennale ex art. 2946 c.c..
Occorre, altresì, sottolineare che la qualificazione del diritto all'integrità
fisica come diritto assoluto della persona — costituzionalmente tutelato,
non solo dall'art. 32 Cost., che riconosce la salute come fondamentale
diritto dell'individuo e interesse della collettività, ma anche dall'art. 41
Cost. per il quale l'iniziativa economica privata «non può svolgersi in
contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana» — non contrasta con la già ricordata natura del
2 A tal proposito, si vedano gli scritti di:
A. VALLEBONA, Breviario di Diritto del Lavoro, Torino, 2001, p. 252;
M. PERSIANI, Devolution e diritto del lavoro, in ADL 2002, p. 19.
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diritto del lavoratore ex art. 2087 c.c., come specifico diritto di credito nei
confronti della controparte del rapporto.
Corollario di tale riconoscimento di un diritto di credito è la possibilità, per
il lavoratore esposto al rischio di infortunio o malattia professionale a
causa dell'inosservanza da parte del datore di lavoro delle prescritte misure
di sicurezza, di rifiutare la prestazione nell'ambiente pericoloso in via di
eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.), sottraendosi così alla
situazione pregiudizievole senza rinunziare al rapporto ed al relativo
reddito, ma anche chiedere l'esatto adempimento dell'obbligo di
protezione incombente sul datore di lavoro (art. 1453 c.c.), sebbene, con
riferimento a quest'ultima ipotesi, autorevole dottrina affermi trattarsi di
una classica fattispecie di incoercibilità civilistica degli obblighi di fare e
di non fare infungibili dell'imprenditore, che impedisce al lavoratore, pur
vittorioso in giudizio, di ottenere l'esecuzione coattiva della condanna del
datore di lavoro ad attuare la misura di sicurezza violata..
Concludendo l'esame della norma contenuta nell'art. 2087 c.c., occorre
registrare che in realtà la stessa ha avuto una debole funzione di
prevenzione, essendo stata invocata principalmente ex post, come
fondamento normativo per le cause di risarcimento nelle ipotesi di eventi
dannosi già verificatisi.
Tra le ragioni della mancata utilizzazione della norma in parola in
funzione preventiva una delle più rilevanti va individuata nel fatto che essa
è volta ad attribuire al lavoratore una posizione soggettiva individuale, a
fronte di un fenomeno (quello delle condizioni di lavoro) che si sviluppa in
una dimensione prevalentemente collettiva.
Probabilmente, per tale motivo il legislatore del cd. Statuto dei lavoratori
ha attribuito a questi ultimi il diritto di controllare mediante loro
rappresentanze l'applicazione delle norme per la prevenzione degli
infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca di tutte le
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misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.
L'indicazione, nella norma, in termini generici della rappresentanza
abilitata ad intervenire, così da comprendere qualunque forma
organizzativa dei lavoratori interessati, anche occasionalmente, e non
necessariamente coincidente con le RSA (Rappresentanze Sindacali
Aziendali) o le RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie), sembra ribadire,
implicitamente, la titolarità individuale del diritto alla sicurezza, ma,
differentemente dall'art. 2087 c.c., ne consente comunque l'esercizio in
forma collettiva.
Al diritto previsto dalla menzionata norma dello Statuto dei lavoratori, fa
riscontro l'obbligo del datore di assoggettarsi ai controlli richiesti dai
lavoratori, tramite le loro rappresentanze, rendendone possibile la
effettuazione all'interno dell'azienda.
Eventuali impedimenti od ostacoli frapposti a tali controlli sono stati,
talora, ritenuti comportamenti antisindacali, punibili ex art. 28 dello stesso
Statuto, in quanto il controllo collettivo sull'ambiente di lavoro costituisce
attività sindacale, nel senso di attività corrispondente ad interessi collettivi
protetti dalla norma.
Come abbiamo già avuto modo di ricordare, alla norma contenuta nell'art.
2087 c.c., che può essere considerata il fulcro del sistema di sicurezza del
lavoro, è stata affiancata una normativa di dettaglio che ha disciplinato i
singoli obblighi del datore di lavoro.
In passato il legislatore nazionale è stato l'unico soggetto legittimato a
regolamentare la materia, ma, dopo la legge costituzionale n. 3/2001, che
ha modificato l'art. 117 della Costituzione, la ―Tutela e sicurezza del
lavoro‖ è affidata, invece, alla competenza concorrente della legislazione
dello Stato e delle Regioni.
Ma anche il diritto penale si è interessato delle fattispecie relative alle
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situazioni di pericolo sul lavoro mediante gli articoli 437 e 451 che
riguardano la rimozione o l'omissione dolosa di cautele atte e a prevenire
gli infortuni sul lavoro.
Si tratta di reati definiti di pericolo presunto, in quanto atti di per sé a
costituire una situazione contraria alla legge che non ha bisogno di essere
dimostrata caso per caso.
L'articolo 437 vuole evitare l'infortunio sul lavoro e l'articolo 451 invece
punisce condotte che possono aggravare una situazione di infortunio che
già si è verificato.
La gran parte dei reati connessi alla sicurezza sul lavoro sono reati
omissivi.
Il reato omissivo trova la sua essenza nella disobbedienza ad un comando
giuridico di attivarsi per evitare determinate conseguenze.
Il comando giuridico può essere individuato nella legge, ma anche in
regolamenti, atti amministrativi e contratti e, per tale motivo, la
responsabilità penale in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro,
presenta ampi tratti di connessione con il diritto privato ed in particolare
con quello del lavoro.
Detti reati si perfezionano quindi non con un'azione criminosa predefinita,
ma mediante una condotta caratterizzata dal mancato rispetto di leggi,
regolamenti, regole di condotta.
Per quel che concerne l'evoluzione della normativa sovranazionale in
materia di ambiente e sicurezza (sul e) del lavoro, occorre richiamare,
secondo una progressione diacronica ma sintetica, il Trattato CECA del
1950, che assegnava alle istituzioni della Comunità il compito di
“promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della
manodopera, permettendone l'uguagliamento nel progresso in ciascuna
industria di sua competenza” (art. 3, lett. e).
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Il Trattato Euratom del 1957 attribuiva poteri specifici alle istituzioni
comunitarie in materia di salute e di sicurezza, al fine di “stabilire norme
di sicurezza uniformi per la protezione sanitaria della popolazione e dei
lavoratori e vigilare sulla loro occupazione” (art. 2, lett b). Ciò al fine di
adottare “norme fondamentali relative alla protezione sanitaria della
popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni
ionizzanti”.
La Direttiva n. 80/1107 prevedeva, per la prima volta, linee guida sulla
protezione contro i rischi derivanti dall'esposizione ad agenti chimici,
fisici e biologici.
Successivamente, direttive particolari venivano emesse per la prevenzione
dei rischi derivanti dall'esposizione al piombo, all'amianto, al rumore,
nonché al divieto di taluni agenti specifici in certe attività.
Nel 1989, il Consiglio adottava la direttiva n. 391, in tema di attuazione di
misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute
dei lavoratori durante il lavoro.
La Direttiva n. 89/391 introduceva l'idea della tutela minima esigibile
contenuta nelle fonti comunitarie, al di sotto della quale non poter scendere
nella legislazione dei singoli Stati membri.
Successivamente, il nostro diritto della sicurezza del lavoro è stato
informato da tutta una serie di altre direttive comunitarie,3 quali:
- la n. 89/654, sulle prescrizioni minime di sicurezza e salute per i luoghi
di lavoro;
- la n. 89/655, modificata dalla Dir. UE n. 2001/45, sui requisiti minimi
3 Per approfondimenti, si rimanda a L. GALANTINO, Diritto del lavoro comunitario, Milano, 2009.
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per l'uso delle attrezzature di lavoro;
- la n. 89/656, sull'uso dei dispositivi di protezione individuale;
- la n. 90/269, sulla movimentazione di carichi che comporta rischi dorsolombari;
- la n. 90/270, sull'uso dei videoterminali;
- la n. 90/394, modificata dalla Dir. UE n. 99/38, sulla protezione
contro agenti cancerogeni.
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Capitolo II°
Promotori e Destinatari dell'obbligo di sicurezza
Sommario: 1. Medico competente; 2. Datore di lavoro (nel settore
pubblico e privato). Dirigente. Preposto; 3. Obblighi del datore di lavoro
(in breve); 4. Lavoratori
“La cultura della sicurezza sarà il vero e proprio valore aggiunto del nostro sistema
solamente quando remo riusciti ad integrare la stessa all'interno dei tradizionali
rapporti regolatori tra i singoli e l'organizzazione aziendale cui appartengono,
indipendentemente dalle dimensioni dell'impresa”.
(Luigi Pelliccia)
1. Medico competente
Nelle unità produttive dove, a seguito della valutazione dei rischi4, si ha la
presenza di determinati rischi per la salute dei lavoratori, il datore di
lavoro, ovvero il dirigente delegato, è obbligato a nominare il medico
competente, specializzato, cioè, in Medicina del Lavoro.
A ben vedere, la figura del Medico competente era già stata prevista nei
lontani anni Cinquanta nei d.p.r. 19.03.1956, n. 303 (il cui art. 33 statuiva
che i lavoratori dovevano essere visitati da un medico competente), n. 320
(in cui si statuiva agli artt. 95-98 l'obbligo di assicurare l'assistenza ai
lavoratori colpiti da infortunio o altrimenti bisognevoli di cure), n. 321 ( in
cui agli artt. 11-17 si prevedeva l'obbligo di istituire un locale adibito a
4 Come ben noto, ai sensi dell'art. 15, co. 1, lett. a), il datore di lavoro ha l'obbligo di “effettuare la
valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza sul lavoro”.
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pronto soccorso), con particolare riferimento a determinate lavorazioni
industriali nocive ed aveva il compito di sottoporre i lavoratori a visite
mediche, sia prima dell'ammissione al lavoro che successivamente.
Ai sensi del Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, il medico
competente è la figura che collabora con il datore di lavoro ai fini della
valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la
sorveglianza sanitaria 5 e per tutti gli altri compiti contenuti nel decreto. 6
Il datore di lavoro è tenuto ad assicurare al medico competente le
condizioni necessarie per lo svolgimento di tutti i suoi compiti ed a
garantirne l'autonomia.
L'art. 39 d. lgs. n. 81/2008 dispone che il Medico competente operi
secondo i principi della Medicina del Lavoro e del Codice Etico della
Commissione Internazionale di salute occupazionale ( ICOH ) , mentre al
co. 2, stabilisce che egli può operare anche come collaboratore di una
struttura esterna, pubblica o privata convenzionata con l'imprenditore.
L'art. 23 del d. lgs. n. 106/2009, ha abrogato l'art. 40 d . lgs. n. 81/2008,
che incaricava il medico competente di fornire i dati relativi alla
sorveglianza sanitaria a lui affidata.
Tale figura, si pone così sia come punto di riferimento per il lavoratore
per quanto riguarda la sua salute e sicurezza sul lavoro, sia come referente
del datore di lavoro, collaborando con lui nella valutazione dei rischi.
5 Più precisamente, la sorveglianza sanitaria è misura prevista nei confronti dei lavoratori ―esposti‖ e riguarda
quei lavoratori esposti a movimentazione manuale dei carichi, videoterminali, rumore, vibrazioni, campi
elettromagnetici, radiazioni ottiche artificiali, agenti chimici, agenti cancerogeni, amianto e agenti biologici.
Oltre ai suddetti casi, l'obbligo si sorveglianza sanitaria è previsto da disposizioni normative non ricomprese
nel T. U., ma che rimangono comunque vigenti e relative ai lavori nei cassoni ad aria compressa ( D.P.R. 321/'56), alle
cave, miniere, industrie di trivellazione ed estrattive (D.P.R. 886/1979, D. Lgs. 624/'96), alla silice libera cristallina (
D.P.R. 1124/'65), alle radiazioni ionizzanti (D.Lgs. 230/'95), al lavoro a bordo di navi passeggeri, mercantili e da pesca
(D. Lgs. 271/'99) ed al lavoro notturno (D. Lgs. 66/'03).
6 Per una completa ed esauriente trattazione, nonché per un approfondimento, si vedano:
BASENGHI, GOLZIO, ZINI ( a cura di), La prevenzione dei rischi e la tutela della salute in azienda. Il
Testo Unico e le nuove sanzioni, Milano, 2008;
TIRABOSCHI ( a cura di), Il Testo Unico della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, Milano, 2008.
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Ciò che si richiede al Medico competente è di operare imparzialmente e
a tutela della salute dei lavoratori dei quali è stato chiamato ad
occuparsi, pertanto, nello svolgimento delle sue attività deve considerare
―i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità
organizzative del lavoro‖ (art. 25, co.1, lett. a), D. lgs. n. 81/2008), come
confermato dalla circostanza che la sua colpa è valutata con maggiore
rigore rispetto a quella del medico generico nei casi di errore (diagnosi
sbagliata o errato giudizio di idoneità) dal quale sia derivato un danno per
il lavoratore. 7
Inoltre, nell'espletamento delle sue funzioni , è vincolato oltre che al
rispetto delle norme generali della professione sanitaria (si pensi, ad
esempio, alla tutela del segreto professionale), anche a quello di ogni altra
norma specifica che ne disciplini e regolamenti ruolo e compiti (oltre,
naturalmente, alle ipotesi di cui all'art. 4, co.3, lett. a) e b) del d. lgs. n.
81/2008, che riproducono fattispecie già disciplinate dallo Statuto dei
Lavoratori).
2. Datore di lavoro (nel settore pubblico e privato). Dirigente.
Preposto
La scelta ―espansiva‖ del legislatore delegato che si è registrata con
riferimento alla determinazione del campo di applicazione – oggettivo e
soggettivo - trova conferma anche nella definizione dei soggetti che sono
destinatari, a diverso titolo e con diverse responsabilità, di specifici
precetti e di correlate misure sanzionatorie.
7 Cfr.: P. Tullini, La responsabilità civile del medico competente verso l'azienda, in Riv. It. Dir. Lav., 2002, I,
219.
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Sarà quindi opportuno, a sommesso parere di chi scrive, partire dalla
figura del datore8 di lavoro per muovere un'analisi delle ―soggettività‖ e
delle ―posizioni di responsabilità e garanzia‖, assumendo, però, come
principio informatore l'effettività delle tutele, come autorevolmente
affermato dal Maestro Giuseppe Santoro Passarelli.
Secondo quanto già previsto dal d. lgs. n. 626/1994, i generali ―obblighi di
sicurezza‖ gravano ―a cascata‖ sul datore di lavoro, sul dirigente, sul
preposto , oltre che sullo stesso lavoratore.
E' infatti noto che, nel d. lgs. n. 626, lo status datoriale era imputato al
―soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore‖ o, comunque, al
―soggetto che, secondo il tipo e l'organizzazione dell'impresa‖ avesse ―la
responsabilità dell'impresa stessa ovvero dell'unità produttiva‖ in quanto
―titolare dei poteri decisionali e di spesa‖, “portando così a compimento
il definitivo ed irrevocabile divorzio tra la collaudata strumentalizzazione
civilistica e la materia prevenzionistica, nella quale si impongono canoni
altri” (Francesco Basenghi).
La nozione del datore di lavoro privato, valevole ai fini della normativa
sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, si raccorda alla previsione contenuta
nel d. lgs. n. 626/1994, introducendo, tuttavia, alcuni riferimenti che, al di
là del mero senso letterale, “consentono di ancorare la figura/nozione del
datore di lavoro al concreto assetto organizzativo dell'impresa”
(Giuseppe Santoro Passarelli) ; rispetto, quindi, alla precedente
previsione, della quale viene ora riproposta la condizione formale, ossia la
―titolarità‖ del ―rapporto di lavoro con il lavoratore‖, la nuova norma
aggiunge due concetti/espressioni che connotano fortemente la ―posizione
sostanziale‖ del datore di lavoro, quella cioè che lega e correla la figura
8 Per approfondimenti si veda:
V. SPAZIALE, La figura del datore di lavoro. Articolazioni e trasformazioni. Relazione al XVI Congresso
Nazionale di Diritto del Lavoro, Aidlass, Catania, 21-23 maggio 2009.
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dello stesso alle responsabilità che di fatto questi assume all'interno
dell'azienda.9
Più incisive sono invece le novità introdotte con riferimento alla figura di
“datore di lavoro pubblico”,10 le cui novità sono riconducibili, per un
verso, alla necessità di equiparare, soprattutto su un piano di fatto, tale
figura a quella del datore di lavoro privato, mentre, per altro verso, si
registra un sostanziale recepimento di indicazioni affermatesi in
giurisprudenza,11 alla cui stregua era stato possibile sopperire ai casi
(ormai troppo frequenti) di mancata nomina o individuazione del datore di
lavoro da parte degli organi di vertice competenti.12
La giurisprudenza di Cassazione ha così (finalmente) chiarito come la
qualifica di datore di lavoro, ai fini di sicurezza e prevenzione, sino a
9 Nella realtà pratica, si posso prospettare dei casi concreti in cui la nozione di datore di lavoro viene ad
assumere dei connotati peculiari.
Si fa riferimento, in particolare, alla individuazione del datore di lavoro nell'ambito dei contratti di
somministrazione di lavoro e di distacco.
Come autorevolmente osservato in dottrina (PROSPERETTI; MARESCA) riconducibili a precise scelte
aziendali in tal senso, in cui un lavoratore si trova ad operare in un contesto lavorativo diverso da quello soli to, di cui
conosce le procedure, le strumentazioni, le lavorazioni, i colleghi.
In tali casi si assiste ad una ―duplicazione di ruoli‖, per cui il potere direttivo viene esercitato dal soggetto
utilizzatore o dal soggetto distaccatario, mentre gli obblighi formativi ed informativi sui rischi generici restano in capo
al somministratore o al distaccante.
Nelle organizzazioni complesse, la figura del datore, corrisponderebbe invece (secondo Trib. Ravenna,
21.05.2007), in via presuntiva al legale rappresentante; tuttavia, trattandosi di presunzione non assoluta, prevale
comunque il criterio sostanziale delle funzioni effettivamente svolte ( Cassa. Pen., sez. III, 04.07.2005, n. 28358;
Cassa. Pen., sez. IV, 08.06.2004, n. 32958, che estende il medesimo principio anche alle società cooperative).
10 Cfr.: A. Palladini, Il datore di lavoro pubblico in materia di sicurezza sul lavoro, in Mass. Giur. Lav., 2001,
131 ss..
11 Ex multis: Cass. Pen., sez. III, 6 ottobre 2004 ( con nota di De Lucia, in ISL, 2005, n. 1, pag. 60);
Cass. Pen., sez. III, 28 aprile 2003, n. 19634;
Cass. Pen., sez. III, 7 ottobre 2004, n. 39268.
12 Rispetto al D. Lgs. n. 626/'94, il T.U. introduce alcune “novità” : infatti, il datore di lavoro pubblico può
coincidere col dirigente cui spettano i poteri di gestione, ovvero col funzionario non avente qualifica dirigenziale.
In quest'ultima ipotesi, sarà bene ricordare all'arguto lettore, che, nell'ultima edizione del Testo Unico, si
precisa che il funzionario viene individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni , tenendo conto
dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività.
Si impone, inoltre, secondo un vero e proprio refrain normativo, che egli sia dotato di autonomi poteri,
oltre che decisionali, anche di spesa.
In caso di omessa individuazione o- ricordiamolo- di individuazione non conforme ai criteri indicati, il
datore di lavoro coinciderà con l'organo di vertice, ex art. 2, co. 1, lett. a), d. lgs. n. 626/1994.
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quando non si fosse proceduto alla nomina in capo al dirigente (o al
funzionario), fosse da riferire agli stessi organi di direzione politica
dell'ente che sono deputati alla designazione.
Sempre nell'ottica di una maggiore semplificazione e di riordino sul piano
sistematico della normativa, il d. lgs. n. 81/2008, introduce qualche
elemento utile ad una migliore applicazione della disciplina, soprattutto
per quanto concerne l'individuazione dei soggetti diversi dal datore di
lavoro, sui quali gravano, iure proprio, compiti e responsabilità: tra questi
si colloca la figura del dirigente.
Il T.U. formula, per la prima volta, le nozioni di ―dirigente‖ e di
―preposto‖, recettive, come giustamente osservato da Luisa Galantino, da
consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia.
Così, il “dirigente” viene definito come “persona che, in ragione delle
competenze professionali e di poteri gerarchici funzionali adeguati alla
natura dell'incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro,
organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa”. 13
Il “preposto” è, invece, ―persona che, in ragione delle competenze
professionali e nei limiti dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla
natura dell'incarico conferitogli, sovrintende all'attività lavorativa e
garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta
esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di
iniziativa”.
3. Obblighi del datore di lavoro (in breve)
Le nuove disposizioni di cui all'art. 26, d. lgs. n. 81/2008, confermano un
13 L'accertamento della dirigenzialità- si ricorda- richiede – non diversamente da quello della datorialità – una
indagine aderente al caso di specie.
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sistema di gestione della prevenzione dei rischi che trae origine dal datore
di lavoro .14
La formazione, l'informazione e l'addestramento dei lavoratori
costituiscono uno dei pilastri su cui poggia il sistema prevenzionistico
della Direttiva n. 89/391/Cee, la quale ―comprende principi generali
relativi alla prevenzione dei rischi professionali e alla protezione della
sicurezza e della salute , all'eliminazione dei fattori di rischio e di
incidente, all'informazione, alla consultazione, alla partecipazione
equilibrata conformemente alla legislazione e/o prassi nazionali, alla
formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, nonché direttive
generali per l'attuazione dei principi generali‖.
L'art. 6 precisa che ―il datore di lavoro prende le misure necessarie per la
protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, comprese le
attività di prevenzione dei rischi professionali, d'informazione e di
formazione15, nonché l'approntamento di una organizzazione e dei mezzi
necessari”, mentre, al comma successivo, chiarisce che il datore di lavoro
mette in atto tali misure basandosi su alcuni principi generali di
prevenzione, tra cui quello di un adeguato addestramento dei propri
lavoratori.16
Esclusivamente sul datore di lavoro grava l'obbligo di informazione in
14 Si veda: P. VENEZIANI, I delitti contro la vita e l'incolumità individuale, Padova, 2003.
L' Autore, già con riferimento all'art. 7 del d. lgs. n. 626, sottolinea lo spostamento del baricentro dei doveri
15 Si impone al datore la conservazione in azienda dell'attestazione dell'avvenuta formazione.
16 Non vi è dubbio, quindi, come autorevolmente osservato in dottrina (GALANTINO; BASENGHI;
TIRABOSCHI; MARESCA) che il d. lgs. n. 81/2008 ―amplifica‖ il ruolo dell'informazione e soprattutto della
formazione e dell'addestramento.
Per comodità del lettore, si ricorda che l' informazione è definita come “il complesso delle attività dirette a
fornire le conoscenze utili alla identificazione, alla riduzione ed alla gestione dei rischi in ambiente di lavoro” e si
sostanzia, quindi, nel trasferimento di notizie di carattere comportamentale, procedurale e concettuale con contenuti di
natura tecnica, scientifica e legislativa, utile ad attivare processi relativi alla prevenzione e protezione.
L' attività di formazione, invece, è un percorso di insegnamento-apprendimento strutturato e
consapevole che deve condurre il lavoratore ad acquisire un bagaglio di conoscenze, capacità , atteggiamenti e
competenze (generiche e specifiche), in materia di sicurezza.
L' addestramento, infine, è l'attività di insegnamento di tipo pratico-operativo da svolgersi on the job.
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caso di appalti c.d. ―interni‖.17
Tra gli obblighi del datore che non posso essere delegati18 vi è quello
concernente la ―valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza sul
lavoro‖ (v: nota 4).
La valutazione dei rischi19 e l'elaborazione del relativo documento (che,
oggi, può essere tenuto anche su supporto informatico ex art. 53 L. n.
106/2009) vengono effettuati dal datore in collaborazione con il
Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP) e con il
Medico competente, previa consultazione del Rappresentante dei
Lavoratori della Sicurezza (RLS).20
Inoltre, “le misure relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute durante
il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i
lavoratori” (art. 15, co. 2, d. lgs. n. 81/2008), pertanto, le relative spese
gravano per intero sulla persona del datore.
17 Infatti, la S. C. ha avuto modo di precisare come il compito di informare i lavoratori sulle norme
antinfortunistiche non possa essere assolto in modo meramente formale.
Viceversa, il datore di lavoro ―è tenuto ad attivarsi e controllare sino alla pedanteria che tali norme siano
assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro‖.
Cfr.: Cass. Pen., sez. IV, 6 febbraio 2004, n. 4870.
18 L' ―Oggetto della valutazione dei rischi”, ex art. 28 d. lgs. 81/2008 ed oggi art. 17, co. 1, T.U., rientra tra i
compiti non delegabili da parte del datore di lavoro.
In tema di delega di funzioni si riporta all'attenzione del lettore una recente pronuncia della S.C. (nella
specie: Cass. Pen., 28.01.2009, n. 4123, in Bollettino speciale Adapt, 21.07.2009), che così statuisce:
“In forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui
all'art. 2087 cc, il datore di lavoro è il “garante” dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale
del lavoratore , con la conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo gli viene
addebitato in forza del principio che non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a
cagionarlo”. E, ancora: “ Il datore di lavoro non può utilmente trasferire tramite delega di funzioni l'obbligo di
intervenire allorchè sussista un rischio connesso all'attività lavorativa che si inquadri in scelte di carattere generale di
politica aziendale ovvero in carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente
attribuirsi al delegato della sicurezza”.
19 Accanto alla ―valutazione dei rischi‖ il T.U. introduce anche la c.d. “valutazione dei rischi standardizzata”.
Si tratta, a ben vedere, di una procedura che viene destinata a quelle imprese che presentano un basso
profilo di rischio e consiste nella redazione di linee-guida procedimentali - ―standardizzate‖, appunto - di fonte
pubblica.
20 In caso di costituzione di nuova impresa, ai sensi dell'art. 28, co. 3-bis, ―il datore di lavoro è tenuto ad
effettuare immediatamente la valutazione dei rischi, elaborando il relativo documento entro 90 giorni dalla data di
inizio della propria attività”.
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La figura del Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione (RSPP),
introdotta con la riforma del 1994 e creata per adempiere a compiti
strumentali ed ancillari rispetto all'attività normativamente imposta al
datore di lavoro, assume oggi un ruolo essenzialmente consultivo,21 anche
se, tuttavia, ciò non esclude che accanto ad una responsabilità diretta del
datore di lavoro potrà accompagnarsi quella indiretta del RSPP.
4. Lavoratori
La tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori è garantita dalla
Costituzione e dalle norme legislative. Essa è concretamente connessa al
rispetto delle norme da parte dei datori di lavoro ed alla cultura della
prevenzione presente nelle aziende. Il lavoratore esposto a rischi
professionali è sottoposto a sorveglianza sanitaria da parte del medico
competente aziendale, il quale effettua accertamenti preventivi e periodici
per controllare lo stato di salute e l'idoneità alla mansione specifica.
Il lavoratore ha diritto a ricevere:
- un'adeguata informazione sui rischi e
- una formazione sui compiti della mansione specifica, sulle
procedure che riguardano il pronto soccorso, la lotta antincendio,
l'evacuazione dei lavoratori.
I lavoratori sono rappresentati in ambito aziendale da un loro delegato
(Rappresentante per la Sicurezza) per tutte le questioni attinenti alla
salute e sicurezza sul lavoro. I lavoratori devono essere
obbligatoriamente assicurati contro gli infortuni e le malattie
21 Secondo Cass. Pen., 15.05.2008, n. 19523, i RSPP “sono soltanto dei consulenti che operano come ausiliari
del datore di lavoro e i risultati dei loro studi e delle loro elaborazioni vengono fatti propri dal vertice che li ha scelti
e che della loro opera si avvale per meglio ottemperare agli obblighi di cui è esclusivo destinatario” .
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professionali ed un elenco delle malattie riconosciute con causa
professionale viene periodicamente aggiornato al fine del loro
riconoscimento e risarcimento .
Inoltre, ricordiamo che il lavoratore ha il dovere di prendersi cura della
propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone
presenti sul luogo di lavoro, in conformità alla sua formazione, alle
istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
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Capitolo III°
Responsabilità amministrativa. Giurisprudenza sulla
responsabilità penale.
Sommario: 1. Introduzione; 2. responsabilità amministrativa (in
sintesi); 2.1. Segue: Le sanzioni; 3. Giurisprudenza
1. Introduzione
In materia di igiene e sicurezza sul lavoro, come ben noto, i rati più
frequenti sono quelli di natura omissiva, ovverosia non aver fatto
ciò che invece doveva essere fatto, tuttavia, sono comunque presenti
anche situazioni di natura commissiva.
Trattandosi di reati contravvenzionali la responsabilità è attribuita a
titolo di colpa, alla cui base vi è la prevedibilità non la previsione
dell'evento costituente reato: va quindi da sé che deve farsi
riferimento alla mera conoscibilità (id est: dovere-potere di
conoscere) e non alla conoscenza effettiva.
Altra caratteristica di tali reti è quella di appartenere ai c.d. reati di
pericolo, per i quali non è necessario, diversamente da quelli di
―danno‖, che il bene o l'interesse giuridico protetto dalla norma
venga effettivamente e concretamente leso, essendo sufficiente che
detto bene o interesse sia, in modo più semplice, messo solamente in
pericolo.
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2. Responsabilità amministrativa (in sintesi)
Il nuovo atto legislativo si applica a tutte le aziende e a tutte le attività a
rischio, svolte da lavoratori dipendenti o autonomi, collaboratori a progetto
e coloro che abbiano un contratto di collaborazione continuativa, le cui
prestazioni si svolgano nei luoghi di lavoro del committente.
La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, introdotta dal
d.lgs. 231/2001, viene integrata dal testo unico approvato dal Consiglio dei
Ministri per ciò che concerne le violazioni delle norme infortunistiche da
cui derivi la morte o lesioni gravi del lavoratore.
In tali circostanze sono previste: multe fino a 1,5 milioni di euro e
sanzioni interdittive quali il divieto di contrattare con la P.A. e l'esclusione
da agevolazioni e finanziamenti pubblici.
Tuttavia, nelle ipotesi in cui siano violate norme antinfortunistiche, è
riconosciuta forza esimente dei modelli organizzativi sancita direttamente
dall'art. 30 dello stesso decreto sicurezza.
Infatti, l'art. 30 del nuovo testo unico disciplina dettagliatamente i
contenuti dei modelli di gestione, che devono assicurare un sistema
aziendale che garantisca:
- il rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a impianti,
agenti chimici, fisici e biologici,
- l'effettuazione delle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione
delle misure di prevenzione conseguenti,
- lo svolgimento delle attività organizzative e di sorveglianza
- l'aggiornamento dell'informazione e della formazione dei lavoratori,
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- la predisposizione di un sistema di controllo sull'attuazione delle
prescrizioni antinfortunistiche.
La puntuale applicazione delle misure standard indicate nello schema del
decreto esclude la responsabilità ex d.lgs. 231/2001.
2.1. : Segue: Le sanzioni
Il decreto ha ridefinito l'impianto sanzionatorio sulla base della gravità
degli incidenti.
L'art. 300 del decreto sostituisce l'art. 25-septies d.lgs. 231/2001
(Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione
delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della igiene e della salute sul
lavoro): la sanzione pecuniaria più severa – pari a 1.000 quote,
corrispondenti a una somma che compresa fra 250mila e 1,5 milioni di
euro – e quelle interdittive da tre mesi a un anno, sono ora previste solo per
i casi più gravi, come l'omicidio colposo commesso con violazione degli
obblighi non delegabili del datore (valutazione e documentazione dei
rischi aziendali) nei settori produttivi più esposti.
Nei casi di omicidio colposo derivante dal mancato rispetto degli altri
obblighi posti a carico del datore di lavoro e dei dirigenti è prevista una
sanzione pecuniaria variabile tra 250 e 500 quote (più le sanzioni
interdittive da tre mesi a un anno).
In caso di incidenti che provochino lesioni gravi o gravissime scatterà una
sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote e sanzioni
interdittive sotto i sei mesi.
3. Giurisprudenza
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Cass. pen., sez. IV, 18 gennaio 2011, n. 1226
Sicurezza sul lavoro - Responsabilità datore di lavoro - Lesioni colpose -
Macchine e attrezzature di lavoro
Massima
Il datore di lavoro è responsabile, per quanto riguarda la sicurezza dell'ambiente di
lavoro, e ha l'obbligo di accertare la marchiatura CE delle macchine. Può essere
esonerato dalla responsabilità nella ipotesi in cui sia accertata la non conformità
della macchina circa i requisiti previsti per legge.
Cass. pen., sez. IV, 4 gennaio 2011, n. 127
Contratto d'opera e appalto - Cantiere temporaneo e mobile - Ponteggio privo di
cautele - Infortuni - Responsabilità
Massima
Nella ipotesi in cui i lavori siano stati affidati in appalto, a garanzia della
prevenzione contro gli infortuni, risponde anche il committente che si sia ingerito
nella organizzazione del lavoro, partecipando, in tal modo, all'obbligo di controllo
per la sicurezza sul cantiere.
Cass. pen., sez. IV, 27 gennaio 2011, n. 2814
www.lapraticaforense.it
Sicurezza sul lavoro - RSPP - Omicidio colposo aggravato - Omessa segnalazione
dei fattori di rischio - D.lgs. n. 81/2008 - D.lgs. 106/2009
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Massima
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (c.d. RSPP) può rispondere
dell'infortunio verificatosi proprio in ragione della inosservanza colposa dei compiti
di prevenzione e protezione che gli sono attribuiti per legge, dalla normativa in
materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in quanto tale inosservanza si
pone quale concausa dell'evento.
Commento alla sentenza Cassazione civile, Sez. lavoro, 7 maggio 2008, n. 11144
di Gianna Rossi (Nota a sentenza 27/10/2008)
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Cassazione civile, Sez. lavoro, 7 maggio 2008, n. 11144
La pronuncia in commento riguarda il caso di un giornalista inviato, insieme alla sua
troupe, dalla RAI a documentare il noto disastro di Chernobyl.
Dopo il ritorno in patria il giornalista decedeva per aver contratto un tumore.
I familiari, con ricorso al Tribunale di Roma, esponevano il fatto e chiedevano il
risarcimento dei danni, perchè a loro avviso, il tumore sarebbe stata una conseguenza
dell'attività lavorativa, poichè lo stesso era riconducibile, senza alcun dubbio,
all'esposizione alle radiazioni ionizzanti emesse dalla centrale esplosa.
Ma il Tribunale rigettava sia il ricorso sia l'appello, ritenendo di escludere,
contrariamente a quanto sostenuto dalle attrici e dalla loro difesa, il nesso eziologico
tra lavorazione e tumore.
Avverso il giudizio d'appello viene proposto ricorso per Cassazione.
Anche la Cassazione però rigetta tale ricorso.
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Secondo i Supremi Giudici, infatti, spetterebbe al lavoratore l'onere di provare il
nesso di causalità tra attività professionale e malattia contratta e, trattandosi di azione
esperita nei confronti del datore, non è operante alcuna presunzione di nesso
eziologico.
Sempre secondo il pensiero di questa Corte, nel caso di specie, le consulenze tecniche
d'ufficio non hanno fornito alcune certezza giuridica tra l'attività espletata e malattia
contratta, non essendo sufficiente un mero collegamento possibile tra attività e
malattia, ma essendo necessario, ai fini del raggiungimento di tale certezza una
probabilità qualificata tra attività e malattia.
Che cosa intenda poi la Corte con "probabilità qualificata" non è dato sapere.
A parere di chi scrive, al contrario, sembra che le consulenze tecniche d'ufficio
potessero rappresentare una "probabilità qualificata"
Ma, ad avviso della Corte, è dato pacifico che la neoplasia di cui si tratta non è
affatto, a differenza di altre patologie di analoga natura, di origine radioinducibile, ed
in tal senso avrebbero deposto entrambe le CTU.
Ora, tali consulenze avevavo qualificato come concettualmente errato ipotizzare che
le radiazioni ionizzanti non possano indurre tumori alle gonadi, inoltre che i tessuti
germinali sono altamente radiosensibili e che si ammetteva che la troupe aveva
operato in zona controllata.
Inoltre, il CTU aveva ritenuto estremamente probabile che la vittima fosse stata
esposta agli effetti da inquinamento radiologico e, che l'aumento del testicolo destro
era compatibile sia con l'intervallo di latenza considerato minimo per l'insorgenza di
un effetto neoplastico, sia come volume compatibile con il turnover delle cellule
neoplastiche.
C'è da esprimere più di una perplessità sulla decisione della Corte.
Protezione dai cancerogeni a partire dal lavoro
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Un agente cancerogeno è un fattore (una sostanza, un preparato, una radiazione o
condizione di esposizione) che, in base alle ultime conoscenze scientifiche, si ritiene
in grado di causare un cancro o di favorirne la propagazione per quei soggetti che ne
vengono a contatto.
In particolare, il d.lgs. n. 626 del 1994 definisce "agente cancerogeno":
• una sostanza a cui la normativa europea attribuisce la sigla R45 (può provocare il
cancro) o la sigla R49 (può provocare il cancro per inalazione) ;
• un preparato su cui deve essere apposta l'etichetta con la sigla R45 o R49.
Inoltre, la legge riporta un elenco, periodicamente aggiornato, di processi o lavori che
espongono ad a genti cancerogeni.
Le disposizioni presenti nel suindicato Decreto si applicano in tutte le attività nelle
quali i lavoratori sono o possono essere esposti ad agenti cancerogeni per via della
loro professione (1).
Secondo uno dei maggiori Istituti Scientifici nel campo, quale l' Agenzia
Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), sono cancerogeni o possibili
cancerogeni anche ed alcuni agenti non previsti espressamente dal D. Lgs. 626/'94 e
da altre leggi nazionali (2).
D'altra parte, anche nella "Tabella delle malattie professionali", cui fa riferimento l'
INAIL per l'eventuale indennizzo, sono citate alcune neoplasie per le quali è
ammessa l'origine professionale (3).
Si ricorda, in ultimo, che i singoli tumori possono essere comunque riconosciuti di
origine professionale anche ai fini assicurativi, quando ne sia dimostrata, caso per
caso, la relazione con il lavoro e l'esposizione.
La prima cosa che il datore di lavoro deve verificare è se l'uso di
quell'agente/sostanza può essere evitato ( sostituendolo, ad esempio, con altra
sostanza meno pericolosa, oppure eliminandolo); se ciò non è possibile si deve
garantire che il suo utilizzo sia il più ridotto possibile (4).
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Fatto questo, il datore di lavoro dovrà valutare quali sono i livelli dell'agente cui i
lavoratori sono esposti malgrado l'applicazione delle misure preventive.
Ricordiamo: devono essere regolarmente sottoposti a sorveglianza sanitaria i
lavoratori per i quali le valutazioni abbiano evidenziato un "rischio per la salute".(5).
(1) Occorre ricordare tuttavia che norme relative all'uso di alcuni agenti cancerogeni
si trovano anche in altre Leggi, come ad esempio quelle che riguardano le ammine
aromatiche, l'amianto, le radiazioni ionizzanti, il cloruro di vinile monomero, il
benzene ed altre ancora.
(2) L' IARC annovera nell'elenco di cancerogeni anche la silice libera cristallina, l a
polvere di legno, la formaldeide, pur non essendo classificate tali ex lege.
(3) Esse sono: neoplasie da arsenico, da cromo, da idrocarburi aromatici policiclici,
da ammine aromatiche, da catrame, da fuliggime, da pece, da radiazioni ionizzanti
(come nel caso in commento), da asbesto, da polvere di legno e polvere di cuoio (
queste ultime non considerate dal d.lgs. n. 626/94).
(4) Il livello di esposizione dei lavoratori all'agente cancerogeno deve essere
comunque condotto al più basso valore tecnicamente possibile.
(5) Tali lavoratori devono obbligatoriamente essere iscritti in un apposito registro.
L'esistenza di rischi per la salute è valutata dal medico competente.
********
02-09-2011 00:00
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