Copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento, che risultano effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo
TRIBUNALE DI LAMEZIA TERME - Ordinanza 30 maggio 2012
Ordinanza del 30 maggio 2012 emessa dal nel procedimento civile promosso contro Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Istruzione pubblica - Copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento, che risultano effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo - Conseguente successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, svincolata dall'indicazione di ragioni obiettive e/o dalla predeterminazione di una durata massima o di un numero certo di rinnovi, in contrasto con la clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, alla quale ha dato attuazione la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 - Violazione di obblighi internazionali derivanti dal diritto comunitario. - Legge 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, comma 1. - Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione alla direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999.
Fatto e Diritto
Con ricorso ex art. 409 c.p.c., depositato il 18 aprile 2011, D.C. ha adito questo Tribunale, in funzione di giudice del lavoro chiedendo:
- accertarsi e dichiararsi la trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato con effetto retroattivo fin dalla data di stipula del primo contratto di lavoro, ossia fin dal 1° settembre 2006, o, in via subordinata, a decorrere dal giorno successivo al superamento dei trentasei mesi del rapporto di lavoro, ossia dal 2 settembre 2009, o, comunque, dalla data che sarà ritenuta di giustizia;
- accertarsi e dichiararsi il proprio diritto alla progressione nelle posizioni stipendiali (scatti di anzianità) con effetto retroattivo dalla stipula del contratto di lavoro immediatamente successivo al primo e, per l'effetto, riconoscersi le maggiori somme retributive e contributive, oltre accessori di legge, nonché la ricostruzione di carriera;
- accertarsi e dichiararsi il proprio diritto al recupero contributivo e retributivo per i mesi di luglio e agosto di ciascun anno con effetto dalla data di stipula del primo contratto di lavoro, ossia fin dal 1° settembre 2006, o, in via subordinata, a decorrere dal giorno successivo al superamento dei trentasei mesi del rapporto di lavoro, ossia dal 2 settembre 2009, o, comunque, dalla data che sarà ritenuta di giustizia e, per l'effetto, riconoscersi le maggiori, somme a tal titolo, oltre accessori di legge;
- accertarsi e dichiararsi il proprio diritto al recupero delle maggiori somme a titolo di TFR e di tredicesima mensilità sulle differenze stipendiali dovute, con le decorrenze di cui sopra;
- accertarsi e dichiararsi il proprio diritto al risarcimento del danno da computarsi secondo il parametro di cui all'art. 18 legge n. 300/70 ovvero secondo il diverso criterio ritenuto di giustizia anche mediante ricorso al principio equitativo e, per l'effetto, condannarsi al relativo pagamento, oltre accessori di legge, l'Amministrazione convenuta.
La ricorrente ha premesso in fatto le seguenti circostanze:
- ella è docente presso le Scuole medie inferiori e svolge la propria attività dall'anno scolastico 2006/2007 nell'ambito della provincia di Catanzaro, in forza di successivi contratti a tempo determinato sistematicamente rinnovati; attualmente, insegna all'Istituto Comprensivo «G.» di Lamezia Terme con incarico fino al 30 giugno 2011;
- ella ha conseguito l'abilitazione all'insegnamento con concorso riservato indetto con decreto ministeriale n. 85/05 ed è stata inserita nelle graduatorie permanenti poi trasformate in graduatorie ad esaurimento ex legge n. 296/2006;
- pertanto, non ha mai percepito alcun incremento stipendiale né per scatti biennali né per anzianità di servizio e non ha mai conseguito una sede di lavoro stabile.
Ciò premesso e considerato che:
- alla stabilizzazione del proprio rapporto di lavoro non osta il superamento dell'organico né è possibile affermare che gli incarichi annuali fossero giustificati da sostituzioni di personale temporaneamente impedito, essendovi al contrario delle vacanze permanenti;
- l'abilitazione alla docenza nonché il diritto alla nomina in ruolo sono stati conseguiti attraverso il superamento di concorsi pubblici per titoli ed esami in ossequio all'art. 97, comma 3, Cost.; le leggi finanziarie del 2007 e del 2008 avevano destinato risorse alla stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale a tempo determinato in possesso di certi requisiti, tra i quali l'aver superato un periodo di servizio, anche non continuativo, di trentasei mesi e l'essere stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge; ne consegue, che non trova applicazione nella fattispecie il divieto di costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con la P.A. e la limitazione alla tutela risarcitoria nei casi di violazione delle norme imperative in tema di assunzioni di cui all'art. 36 d.lgs. n. 165/2001; peraltro, si fa rilevare l'incostituzionalità di tale norma e dell'art. 4 legge n. 124/99 laddove prevedono la sola tutela risarcitoria; a s ostegno dell'eccezione di incostituzionalità, si osserva che l'unico rimedio previsto è irragionevole nelle ipotesi di sistematica e illegittima utilizzazione dei contratti a termine e che si determina una ingiustificata disparità di trattamento tra lavoro pubblico e privato e, all'interno del comparto scolastico, tra personale di ruolo e personale precario stabilmente utilizzato e tra quest'ultimo e il personale che solo saltuariamente viene utilizzato; inoltre, la normativa nazionale viola quella comunitaria, segnatamente le clausole 1 e 5 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, in specie ove impongono agli Stati membri l'introduzione di un regime normativo volto a garantire in materia la parità di trattamento;
- in applicazione del d.lgs. n. 368/2001, richiamato dall'art. 36 d.lgs. n. 165/2001, ed in particolare degli artt. 1, 4 e 5, nel testo ratione temporis vigente, non sussistendo né essendo state esplicitate nei contratti conclusi le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo legittimanti il ricorso a contratti a termine, sussiste il diritto alla stabilizzazione; peraltro, in ossequio all'art. 5 d.lgs. n. 368/2001, fin dal primo contratto atteso che l'intervallo temporale tra i contratti che si sono succeduti è ininfluente corrispondendo al periodo di sospensione estiva dell'attività didattica; si deduce, altresì, l'illegittimo conferimento di supplenze temporanee, fino al 30 giugno dell'anno, in luogo di supplenze annuali, fino al 31 agosto, essendo le prime riservate alla copertura delle sole ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti-orario; in ogni caso, la conversione del rapporto scaturisce dal disposto dell'art. 4 d.lgs. n. 368/2001 per intervenuto superamento del limite di 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente da eventuali interruzioni;
- sussiste il diritto al risarcimento dei danni subiti, consistiti nel danno patrimoniale per la mancata attribuzione degli emolumenti relativi al periodo estivo, degli scatti di anzianità e di ogni altro emolumento riservato al personale docente a tempo indeterminato, e nel danno non, patrimoniale, per la condizione di precarietà e di frustrazione che ella ha vissuto e vive, da quantificarsi quest'ultimo ex art. 18 legge n. 300/70; con specifico riferimento, poi, agli scatti di anzianità, riconosciuti ai soli insegnanti di religione, si eccepisce l'incostituzionalità dell'art. 7 legge n. 831/1961 per violazione degli artt. 3 e 97 Cost. nonché il contrasto della normativa con l'ordinamento comunitario, segnatamente con le clausole 1 e 4 punto 1 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, ha rassegnato le conclusioni precedentemente indicate.
Instaurato ritualmente il contraddittorio, si è costituita in giudizio l'Amministrazione scolastica resistendo alla domanda e facendo rilevare in particolare:
- che i diritti azionati si sono prescritti;
- che i rapporti di lavoro in questione sono sottratti alla disciplina di cui al d.lgs. n. 368/2001 e assoggettati alla legge n. 167/2009, art. 1, che ha espressamente vietato la conversione; invero, il d.lgs. n. 368/2001 non ha abrogato l'art. 36 d.lgs. n. 165/2001 in quanto per i rapporti di lavoro nelle PP.AA. trova applicazione quest'ultima normativa per il suo carattere di specialità; con riferimento, poi, alle censure di incostituzionalità, già la giurisprudenza della Corte costituzionale le ha disattese sostenendo che permangono, pur dopo la privatizzazione del pubblico impiego, profili di specialità tali da giustificare una diversità di trattamento; l'opzione contraria comporterebbe un aggiramento dei principi costituzionali del concorso pubblico e dell'imparzialità ex art. 97; il ricorso a forme flessibili di impiego da parte delle PP.AA. è giustificato dall'esigenza di supplire a temporanee carenze di organico e di assicurare la continuità del servizio scolastico ed educativo; la stessa normativa comunitaria, dopo aver posto l'attenzione sull'esistenza di ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei contratti a termine e sulla fissazione della durata massima dei rapporti e del numero dei rinnovi, riserva agli Stati membri la possibilità di stabilire un regime sanzionatorio differenziato tra settore pubblico e settore privato per le ipotesi di abusiva utilizzazione dei contratti a termine; la giurisprudenza della Corte di Giustizia U.E., esaminando la normativa italiana di attuazione, ha concluso nel senso della sua compatibilità con l'Accordo quadro e dell'adeguatezza del rimedio esclusivamente risarcitorio; alla conversione del rapporto si oppongono, altresì, esigenze di contenimento e di razionalizzazione della spesa pubblica;
- che le domande di ricostruzione della carriera con il computo delle mensilità di luglio ed agosto e con l'attribuzione degli scatti stipendiali biennali devono essere rigettate perché formulate come domande consequenziali al riconoscimento del diritto alla conversione; in ogni caso, esse sono infondate per i principi di effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro; riguardo, in special modo; agli scatti stipendiali, il presupposto per l'attribuzione di questi è la prestazione di un servizio di insegnamento reso in via continuativa mentre riguardo al trattamento economico anche per il periodo estivo parte ricorrente non ha allegato né dimostrato la condizione che la normativa richiede, ossia l'aver ricoperto un posto vacante e disponibile in organico;
- che la domanda di risarcimento del danno si fonda sull'asserito fatto illecito del ritardo nella stabilizzazione cosicché l'accertata impossibilità giuridica di questa impedisce di esaminare nel merito la domanda risarcitoria; inoltre, un diritto al risarcimento potrebbe sorgere solo al momento dell'interruzione del rapporto, che non ricorre nel caso di specie in cui il rapporto perdura;
- che la richiesta di cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria è vietata dall'art. 22, comma 36, legge n. 724/1994.
La causa, istruita per via documentale, è stata discussa e decisa all'udienza odierna.
Nel ricorso, si possono individuare e distinguere, essenzialmente, due domande:
- una domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato sul presupposto dell'illegittima stipula di contratti a tempo determinato, in violazione del d.lgs. n. 368/2001; a questa domanda si accompagna la rivendicazione delle differenze stipendiali, per dodici mensilità, e delle maggiori somme dovute a titolo di trattamento di fine rapporto e di tredicesima mensilità;
- una domanda di risarcimento del danno subito, sia patrimoniale, per la mancata attribuzione degli emolumenti relativi al periodo estivo, degli scatti di anzianità e di ogni altro emolumento riservato al personale docente a tempo indeterminato, sia non patrimoniale, per la condizione di precarietà e di frustrazione che la ricorrente ha vissuto e vive, da quantificarsi quest'ultimo ex art. 18 legge n. 300/70.
1. La disciplina legislativa che regola le assunzioni a tempo determinato nel comparto pubblico della scuola si rinviene nella legge n. 124/1999 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico). L'art. 4 in tema di supplenze, nei primi tre commi, così recita:
«1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che
risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31
icembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l'utilizzazione del personale in soprannumero, e semprechè ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo.
2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario.
3. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede con supplenze temporanee.».
Sulla base di tali disposizioni, è possibile individuare tre distinte tipologie di contratti a termine.
In primo luogo, vi sono le supplenze annuali cc.dd. su «organico di diritto» riguardanti posti disponibili e vacanti, con scadenza al termine dell'anno scolastico (31 agosto). Con esse si fa fronte alla copertura dei posti effettivamente vacanti entro la data del 31 dicembre e che rimarranno prevedibilmente scoperti per l'intero anno, allorché non sia possibile provvedere con il personale di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante utilizzazione del personale in soprannumero, e semprechè non vi sia stato assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo.
Si tratta, di regola, di posti in sedi disagiate o comunque di scarso gradimento, per i quali non vi sono domande di assegnazione da parte del personale di ruolo. La scopertura di questi posti non è prevedibile, e si manifesta solo dopo l'esaurimento delle procedure di trasferimento, assegnazione provvisoria, utilizzazione di personale soprannumerario e immissione in ruolo; alla loro copertura si provvede, allora, mediante supplenze annuali in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo.
In secondo luogo, la legge individua la tipologia delle supplenze temporanee cosiddette su «organico di fatto», con scadenza al 30 giugno, cioè, «fino al termine delle attività didattiche». Il presupposto per il conferimento di tali supplenze non è la vacanza del posto ma la sua effettiva disponibilità, ipotesi che può verificarsi, ad esempio, per un aumento imprevisto della popolazione scolastica nel singolo istituto, la cui pianta organica resti tuttavia invariata.
Infine, per le ipotesi residuali, ad esempio per la sostituzione di docenti di ruolo assenti per malattia ovvero per la copertura di posti resisi disponibili, per qualsivoglia ragione, soltanto dopo il 31 dicembre, sono previste le supplenze temporanee, destinate ad esaurire i loro effetti allorché venga meno l'esigenza per cui sono state disposte.
Ai sensi dell'art. 4, comma 6, L. cit., l'Amministrazione, per le prime due tipologie di supplenze, attinge alle graduatorie permanenti su base provinciale di cui all'art. 401 d.lgs. n. 297/1994 di approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado; tali graduatorie sono state trasformate in graduatorie ad esaurimento dal 1° gennaio 2007, per effetto dell'art. 1, comma 605, lett. c), legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007). Per il conferimento delle supplenze temporanee per esigenze diverse si utilizzano le graduatorie di circolo o di istituto.
Il legislatore, da ultimo, ha aggiunto all'art. 4 legge n. 124/99 prima menzionato il comma 14-bis secondo cui «I contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3, in quanto necessari per garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo, ai sensi delle disposizioni vigenti e sulla base delle graduatorie previste dalla presente legge e dall'art. 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni» (art. 1, comma 1, D.L. n. 134/2009, convertito nella legge n. 167/2009). Il richiamato art. 1, comma 605, lett. c), legge n. 296/2006 ha rimesso all'adozione di appositi decreti ministeriali, tra l'altro, la definizione di un piano triennale per la stabilizzazione, per gli anni 2007-2009, di 150.000 unità di personale docente al fine di risolvere il fenomeno del precariato storico e «di evitarne la ricostituzione, di stabilizzare e rendere più funzionali gli assetti scolastici, di attivare azioni tese ad abbassare l'età media del personale docente»; si tratta di un piano la cui concreta fattibilità è soggetta a verifiche annuali.
2. Ciò premesso in linea generale, una prima questione posta all'attenzione di questo Giudice, pregiudiziale all'esame della domanda di conversione del rapporto di lavoro, è quella relativa all'applicabilità del d.lgs. n. 368/2001 ai contratti a termine del personale scolastico.
Si tratta del decreto che ha recepito la direttiva 99/70/CE relativa all'Accordo quadro sui contratti a tempo determinato. Questo, se da un lato, ha segnato il superamento del principio di tassatività delle ipotesi in cui era consentito il ricorso a tale tipologia di contratto (l'art. 1 legge n. 230/1962 ammetteva l'apposizione del termine in determinate ipotesi indicate come eccezionali e fatte oggetto di interpretazione restrittiva dalla giurisprudenza), dall'altro, ha stabilito garanzie e fissato limiti, sia quantitativi che temporali, intesi ad evitare l'abusiva utilizzazione di tale tipologia contrattuale. L'obiettivo perseguito è quello di impedire che il contratto a termine sia impiegato per far fronte ad occasioni permanenti di lavoro tali da esigere l'assunzione stabile del lavoratore.
Parte ricorrente ne invoca l'applicazione laddove, in particolare, dopo aver indicato le ragioni giustificative dell'apposizione del termine finale di durata in «ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro» (art. 1, comma 1), dopo aver previsto l'osservanza della forma scritta con la specificazione delle predette ragioni, dopo aver fissato limiti quantitativi e limiti alla prorogabilità del termine, stabilisce la durata massima complessiva del rapporto in 36 mesi. Più esattamente, l'art. 5, comma 4-bis, fissa il limite alla reiterazione dei contratti nel massimo di tre anni, computati anche i rinnovi, ossia le nuove assunzioni successive alla prima, e le eventuali proroghe e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro; il superamento del termine di 36 mesi comporta che il rapporto di lavoro si consideri, da quella data, a tempo indeterminato.
Sulla base di tale normativa e richiamando, altresì, le leggi finanziarie per gli anni 2007 e 2008 laddove esse prevedono i requisiti per accedere alle procedure di stabilizzazione del personale non dirigenziale della scuola in servizio a tempo determinato, parte ricorrente chiede la conversione del proprio rapporto di lavoro.
Alla stessa - si sostiene - non sono di ostacolo né l'art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165/2001 né l'art. 97, comma 3, Cost.. Il primo prevede, per quanto d'interesse, che «In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative ...». L'art. 97, comma 3, Cost. affermando che «Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge» enuncia la regola del concorso pubblico quale generale modalità di reclutamento del personale dipendente dalle Pubbliche Amministrazioni idonea alla individuazione dei soggetti più capaci e meritevoli, per le caratteristiche proprie, di selettività, e per le garanzie che la circondano, in particolare di pubblicità, di trasparenza, di imparzialità, di economicità.
Al riguardo, si fronteggiano la tesi che risolve l'apparente antinomia tra il d.lgs. n. 165/2001 e il d.lgs. n. 368/2001 facendo applicazione del criterio temporale della successione di leggi e la tesi che fa leva, invece, sul criterio di specialità. Secondo la prima, patrocinata dalla ricorrente, occorre aver riguardo alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 368/2001, in particolare per ciò che riguarda il numero di contratti stipulabili, i requisiti formali del contratto, le condizioni per la proroga, il rinnovo, le conseguenze in caso di illegittima apposizione del termine. Secondo l'altra opzione ermeneutica, tale apparato di norme non è applicabile al comparto della scuola che è retto da norme speciali.
Depongono, in tal senso, due recenti interventi legislativi:
- l'art. 70, comma 8, d.lgs. n. 165/2001 e l'art. 9, comma 18, D.L. n. 70/2011 recante «Prime disposizioni urgenti per l'economia», convertito nella legge n. 106/2011. Il primo ha stabilito che «Le disposizioni del presente decreto si applicano al personale della scuola. Restano ferme le disposizioni di cui all'art. 21 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 35. Sono fatte salve le procedure di reclutamento del personale della scuola di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 e successive modificazioni ed integrazioni.». Alla luce di tale indicazione, e dell'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 165/2001 che delimita l'ambito soggettivo di applicazione del decreto includendo tra le amministrazioni pubbliche «gli istituti e scuole di ogni ordine e grado», appare chiaro come questo sia il quadro di riferimento normativo da coordinarsi, tuttavia, con la normativa, doppiamente speciale, in materia di reclutamento del personale scolastico. Del resto, non si rinviene nel d.lgs. n. 368/2001 alcun elemento di diretto collegamento con la materia qui in esame. Con il secondo intervento si è aggiunto all'art. 10 d.lgs. n. 368/2001 il seguente comma 4-bis: «Stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui all'art. 40, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, all'art. 4, comma 14-bis, della legge 3 maggio 1999, n. 124, e all'art. 6, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono altresì esclusi dall'applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l'art. 5, comma 4-bis, del presente decreto.». La novella conferma e chiarisce la specialità delle disposizioni in materia di contratti a termine in ambito scolastico che tiene conto dell'esigenza, costituzionalmente riconosciuta, di garantire la continuità del servizio scolastico ed educativo (artt. 33 e 34 Cost.). Si deve escludere la portata innovativa della norma per la funzione chiarificatrice che essa obiettivamente svolge e per il significato che dalle norme interpretate poteva già ragionevolmente trarsi.
3. Così ricostruiti i rapporti tra le due normative, è evidente come il sistema di reclutamento del personale docente della scuola si configuri in termini di specialità sia rispetto al sistema delle assunzioni alle dipendenze delle altre pubbliche amministrazioni sia rispetto alla normativa comune sui contratti a termine, entrambi altrimenti applicabili per la loro portata generale. Si deve, allora, ritenere, delineato il quadro di riferimento per il settore scolastico, che l'Amministrazione competente abbia facoltà di avvalersi delle forme contrattuali flessibili di impiego del personale al di fuori delle prescrizioni relative al contenuto del contratto di lavoro, in specie di quelle volte all'individuazione specifica delle ragioni che giustificano la clausola di apposizione del termine, come delle prescrizioni in tema di proroga e di assunzioni successive. In altri termini, l'Amministrazione scolastica sarebbe svincolata tanto dai limiti di cui al d.lgs. n. 368/2001 quanto dai limiti, ancor più stringenti, di cui al d.lgs. n. 165/2001 che autorizza le PP.AA. a ricorrere a forme contrattuali flessibili di assunzione e d'impiego per rispondere ad «esigenze temporanee ed eccezionale» (art. 36, comma 2). In base alla normativa speciale ora descritta, non costituisce comportamento contra legem, ma anzi comportamento doveroso per le autorità scolastiche, sopperire al fabbisogno di personale docente e, dunque, ad esigenze di carattere sia strutturale che contingente, affidando supplenze, sulla base delle graduatorie ad esaurimento ovvero delle graduatorie d'istituto, al medesimo lavoratore ripetutamente da un anno all'altro, senza soluzione di continuità e senza l'indicazione delle specifiche ragioni a giustificazione del termine.
Si crea e si alimenta così, come di fatto è avvenuto, una classe di lavoratori precari, in numero sempre più cospicuo, ossia di soggetti che pur in possesso dei requisiti per essere immessi in ruolo si sono trovati e si trovano costretti a trascorrere l'intera vita lavorativa nella veste di supplenti, annuali o temporanei. Ed è proprio questa la ragione che ha indotto il legislatore a prevedere, in favore dei precari c.d. storici, un piano per la stabilizzazione.
L'attenta disamina del diritto interno consente di concludere per l'inesistenza, relativamente al settore pubblico della scuola, delle disposizioni limitative introdotte in attuazione della normativa europea. Tale normativa, contenuta nella Direttiva del Consiglio 1999/70/CE relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato che è stata recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. n. 368/2001, individua quali suoi obiettivi il miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato attraverso la garanzia del principio di non discriminazione e la creazione di un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (clausola 1).
Gli Stati membri - stabilisce la clausola 5 al punto 1 - sono tenuti ad introdurre «previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, ..., in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.»
Ora, sulla scorta di queste chiare indicazioni, non si rinviene dalla ricognizione della disciplina interna la previsione delle misure sub b) e c) della clausola 5 (durata massima totale dei contratti e numero dei rinnovi). Quanto alla misura sub a), l'esistenza di ragioni obiettive che possano giustificare la reiterazione dei contratti a termine, la Corte di giustizia, dopo aver evidenziato come l'utilizzazione di contratti basata su ragioni obiettive sia, in base all'accordo, un modo di prevenire gli abusi, ha precisato la portata della nozione di «ragioni obiettive»; questa va intesa nel senso del riferimento «a circostanze precise e concrete caratterizzanti una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare in questo particolare contesto l'utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. Tali circostanze possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle mansioni per l'espletamento delle quali siffatti contratti sono stati conclusi e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro.»; da questo punto di vista, sarebbe ammissibile il ricorso a contratti a tempo determinato sulla base di una disposizione legislativa o regolamentare purché sia chiara la relazione con il contenuto concreto dell'attività e sia, dunque, possibile la verifica circa la rispondenza dei contratti ad un'esigenza reale (Corte giust., sent. 4 luglio 2006, Adeneler e altri).
Se ne deduce, quanto meno per le supplenze annuali, la funzionalità di queste al soddisfacimento di esigenze di natura permanente; invero, con esse l'Amministrazione fa fronte a stabili vacanze di organico, determinate dal fatto che il numero delle unità del personale in ruolo è inferiore a quello dei posti previsti nell'organico medesimo. E' innegabile che la scelta legislativa di consentire all'Amministrazione il ricorso alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento effettivamente vacanti e disponibili mediante il conferimento di supplenze anche annuali, anziché attraverso assunzioni a tempo indeterminato, sia dovuta a preoccupazioni di carattere finanziario; l'intento, neanche troppo velato, è quello di evitare il prevedibile effetto espansivo sulla spesa pubblica atteso, altresì, il rischio di variazioni anche in diminuzione del fabbisogno di lavoratori, ad esempio per un calo demografico.
In ogni caso - si può osservare - il rispetto degli equilibri di bilancio e, dunque, l'attivazione di processi di revisione e controllo della spesa pubblica, finalizzati al buon andamento dell'amministrazione (artt. 81 e 97 Cost.), non giustificano violazioni, più o meno mascherate, dei principi della legislazione europea in materia di contratti a tempo determinato. Invero, la constatazione di disfunzioni ed inefficienze che obiettivamente pesano sul servizio ormai cronicizzate e legate, tra gli altri fattori, alle politiche di reclutamento clientelari e dissennate del passato, con gli inevitabili oneri aggiuntivi, non può legittimare la violazione dei valori della qualità e della dignità del lavoro.
Violazione destinata, inevitabilmente, a perpetuarsi laddove l'Amministrazione si sottragga al dovere di gestire il servizio scolastico con criteri di economicità ed efficienza, mediante un'efficace e tempestiva programmazione del fabbisogno scolastico, ancorata all'andamento demografico della popolazione in età scolare, un'accorta gestione del turn-over di personale, un pronto ricorso alle procedure di mobilità, tutti meccanismi in grado di contenere gli oneri e garantire oculatezza di gestione.
L'impegno preso nelle leggi finanziarie degli ultimi anni di implementare le assunzioni di ruolo, mediante piani triennali da adottare all'esito di una specifica sessione negoziale, non sembra tale da giustificare - in via transitoria - la disapplicazione della direttiva, giacché si tratta di un vincolo meramente programmatico, la cui attuazione è resa incerta dall'espressa clausola di compatibilità con i saldi di finanza pubblica, e che comunque non assicura, in tempi ragionevolmente prevedibili, la riconduzione del precariato scolastico entro la cornice imposta dalla direttiva europea.
E' vero che l'accordo quadro, al n. 10 delle considerazioni generali, fa salva la possibilità per ciascuno Stato di tener conto di «circostanze relative a particolari settori e occupazione» lasciando, dunque, margini per discipline ragionevolmente derogatorie rispetto ai suoi stessi principi, se giustificate da effettive peculiarità; a queste sembra richiamarsi il legislatore italiano con i più recenti interventi legislativi laddove il peculiare assetto derogatorio viene fondato sulla necessità di «garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo» (art. 10, comma 4-bis, d.lgs. n. 368/2001).
La possibilità di tenere in considerazione le anzidette esigenze non interferisce, tuttavia, con l'obbligo per gli Stati membri di introdurre almeno una delle misure elencate al punto 1 della clausola 5 della Direttiva, in assenza di misure equivalenti già in vigore, potendo, viceversa, legittimare la previsione di reazioni sanzionatorie adeguatamente modulate e distinte per particolari settori e categorie di lavoratori.
4. Le considerazioni che precedono inducono a ritenere che la normativa interna sui contratti a termine della scuola, inidonea a scongiurare l'improprio utilizzo di tali contratti per occasioni permanenti di lavoro, sia in contrasto con i principi fissati dalla normativa europea. Se ne trae un'immagine, alquanto sconfortante, che accredita quanto sostenuto da taluni studiosi, che la violazione delle norme imperative nel pubblico impiego produce sempre effetti in favore dello Stato e dei suoi abusi, mai in favore dei diritti fondamentali degli abusati.
Il contrasto non può essere risolto mediante la disapplicazione della fonte interna incompatibile per le seguenti ragioni.
Due sono i principi frutto di elaborazione giurisprudenziale preordinati alla soluzione dei conflitti tra fonti interne e fonti comunitarie, il principio della diretta efficacia del diritto comunitario e quello del primato o primautè del diritto comunitario.
Sulla base del primo, qualora una disposizione dei Trattati istitutivi o degli atti costituenti il c.d. diritto comunitario derivato presenti determinate caratteristiche, essa produce effetti diretti nei confronti dei singoli. Tali effetti sono stati, fra l'altro, riconosciuti in relazione a molte disposizioni contenute nei Trattati istitutivi, alle decisioni, atti obbligatori in tutti i loro elementi, alle direttive allorché esse impongano agli Stati membri obblighi sufficientemente chiari e precisi (direttive dettagliate o self executing) ovvero chiariscano il contenuto di obblighi già previsti dal trattato ovvero, ancora, pongano a carico degli Stati obblighi di astensione dall'approvare determinati atti o dal compiere specifiche azioni. Con riferimento a questa tipologia di direttive, l'efficacia diretta nell'ipotesi del mancato tempestivo recepimento riguarda - si è chiarito - i rapporti tra cittadini e Stato (effetto verticale) cosicché, decorso inutilmente il termine fissato per l'attuazione della direttiva, il singolo è legittimato ad esigere dinanzi agli organi di giurisdizione nazionale la tutela dei diritti precisi e incondizionati che da essa derivano; ciò si afferma anche nell'ipotesi in cui la direttiva sia stata mal trasposta (vd., tra le altre, Corte giust., sent. 5 febbraio 1963, Caso Van Gend Loos, C-26/62, che ha riconosciuto efficacia diretta all'art. 12 del Trattato, ora abrogato, che vietava agli Stati l'imposizione di dazi doganali, e Corte giust., sent. 4 dicembre 1974, Caso Van Duyn, C-41/74). La Corte ha, viceversa, escluso ogni effetto orizzontale, ossia ogni efficacia dell'atto nei rapporti interprivati.
E' stato, inoltre, enunciato l'importante principio secondo cui in materia di direttive non autoesecutive lo Stato membro che non abbia emanato i necessari provvedimenti attuativi incorre in una responsabilità risarcitoria, più esattamente di natura indennitaria, essendo obbligato alla riparazione del danno da ciò derivato al singolo, sia esso persona fisica o giuridica; è necessario che si verifichino determinate condizioni, ossia che la direttiva preveda l'attribuzione di diritti ai singoli, che tali diritti possano essere individuati in base alle disposizioni della direttiva, che, pertanto, la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra violazione e danno subito (Corte giust., sent. 19 novembre 1991, Caso Francovich e Bonifaci, cause riunite C-6/90 e C-9/90 e Corte giust., sent. 5 ottobre 2004, Pfeiffer, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, in cui si legge che «risulta da una costante giurisprudenza della Corte che, in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia recepito tempestivamente la direttiva sia che l'abbia recepita in modo non corretto»; la Cassazione, dopo un'iniziale opposizione, si è adeguata alla giurisprudenza comunitaria, in particolare con la sentenza n. 7630/2003). Solo in presenza dell'effetto diretto, opera il meccanismo della disapplicazione o non applicazione della norma interna incompatibile cosicché gli organi dello Stato, non solo il giudice ma qualsiasi funzionario pubblico, hanno il dovere di far riferimento alla fonte comunitaria quale regola per la fattispecie concreta (Corte giust., sent. 9 marzo 1978, Caso Simmenthal, C-106/77, chiarisce che «in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l'effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere "ipso jure" inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche - in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell'ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri - di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie; l'orientamento è stato recepito dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 170/1984, c.d. sentenza Granital, che, con riferimento ai regolamenti comunitari, precisa che «L'effetto connesso con la sua vigenza è perciò quello, non già di caducare, nell'accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale. In ogni caso, il fenomeno in parola va distinto dall'abrogazione, o da alcun altro effetto estintivo o derogatorio, che investe le norme all'interno dello stesso ordinamento statuale, e ad opera delle sue fonti»).
Dunque, in ipotesi del genere, il giudice disapplica la norma interna con effetti limitati al caso singolo potendo la sua rimozione avvenire solo ad opera di un intervento di abrogazione o di una declaratoria di incostituzionalità.
Si è, poi, individuato l'obbligo di interpretazione conforme delle norme nazionali, ossia l'obbligo di procedere ad un'interpretazione delle stesse il più possibile in conformità con il diritto comunitario, ispirandosi al testo e alle finalità dell'atto in rapporto allo scopo anche quando questo sia sprovvisto di efficacia diretta (cfr. Corte giust., sent. 10 aprile 1984, Von Colson, causa 14/83, Corte giust., sent. 13 novembre 1990, Marleasing, causa C-106/89).
In ipotesi di interpretazione conforme, il giudice nazionale applicherà comunque la norma interna, interpretata però alla luce di quanto disposto dalla normativa comunitaria.
Ciò detto, va escluso nel caso in esame che la direttiva sia in grado di produrre effetti diretti. Non è revocabile in dubbio il fatto che la clausola 5 dell'Accordo quadro non abbia un contenuto incondizionato e sufficientemente preciso al punto da essere direttamente invocabile dal singolo in un giudizio; la Corte di giustizia ha in più occasioni evidenziato come gli Stati membri dispongano di un margine di discrezionalità nell'attuazione della clausola, dato che possono scegliere di ricorrere ad una o più tra le misure enunciate al n. 1, lett. a)-c), di tale clausola, o, ancora, a misure equivalenti in vigore (Corte giust., sent. 23 aprile 2009, Angelidaki e altri, cause riunite da n. da C-378/07 a C-380/07, e Corte giust. 15 aprile 2008, caso Impact, C-268/06 che ha riconosciuto l'efficacia diretta alla sola clausola 4 relativa alla parità di trattamento tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato per le condizioni di lavoro).
5. Il contrasto tra normativa interna e fonte europea priva di effetti diretti non è rimediabile attraverso l'interpretazione conforme stante il carattere chiuso e in sé esaustivo della normativa di settore da cui origina, e l'inequivocabile volontà legislativa - da ultimo ribadita con l'art. 9, comma 18, D.L. n. 70/2011 convertito nella legge n. 106/2011 - di mettere siffatta normativa al riparo da ogni «contaminazione» con regole e principi di genesi o derivazione europea.
A fronte del contrasto rilevato e del carattere vincolante della normativa interna non resta al giudice di merito altra strada da percorrere che non sia quella dell'incidente di costituzionalità. Invero, in virtù del richiamo ex art. 117 Cost. al rispetto, oltrechè della Costituzione e degli obblighi internazionali, dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario nell'esercizio della potestà legislativa statale e regionale, la direttiva assurge al rango di norma interposta, di rango subordinato alla Costituzione ma intermedio tra questa e la legge ordinaria, ed a parametro per la valutazione di costituzionalità del precetto interno.
La violazione della direttiva 1999/70/CE ridonda, pertanto, in vizio di legittimità costituzionale della fonte interna, da identificarsi nell'art. 4, comma 1, legge n. 124/99, nella parte in cui la disposizione consente la copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento, che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo, così da determinare una successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo determinato, e comunque svincolata dall'indicazione di ragioni obiettive e/o dalla predeterminazione di una durata massima o di un numero certo di rinnovi.
6. In questi termini deve sollevarsi, d'ufficio, questione di legittimità costituzionale.
La questione è rilevante per l'esito del processo in corso, giacché la ricorrente risulta assunta con contratti a termine in successione (e tali devono reputarsi anche i contratti che si ripetono nel tempo con intervalli ridotti: cfr. Corte giust., ord. 12 giugno 2008, Vassilakis, causa C-364/07,), stipulati anche ai sensi dell'art. 4, comma 1, legge n. 124/99, per una durata complessiva di oltre trentasei mesi, e ciò in difetto di specifiche e valide indicazioni su durata massima dei contratti o rapporti e numero dei loro rinnovi ed in assenza di ragioni giustificatrici obiettive (che non possono risolversi in esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro, in fabbisogni tendenzialmente immutabili o dalla durata non preventivabile).
Si rende necessario, ad avviso di questo Tribunale, l'intervento del Giudice delle leggi perché la normativa interna esaminata possa conformarsi al rispetto dei principi fissati a livello europeo, e particolarmente al rispetto del principio espresso al n. 6 delle considerazioni generali dell'accordo quadro, secondo cui «i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento».
Peraltro, non si possono non rimarcare gli effetti perversi di un sistema qual è quello descritto che, da un lato, vede di fatto impedito, da almeno un decennio, il canale concorsuale di immissione in ruolo dei docenti, dall'altro e in punto di diritto, preclude agli interessati la conversione del rapporto in nome del principio concorsuale così alimentando la costante violazione, da parte delle autorità scolastiche, della dignità del lavoro.
Si tratta, effettivamente, di un paradosso che la stessa normativa avalla, a discapito dei diritti fondamentali dei lavoratori, oltrechè delle loro legittime aspirazioni; infatti, da un lato, l'Amministrazione non bandisce i concorsi preordinati al soddisfacimento dell'ordinario, e durevole, fabbisogno di personale, dall'altro, utilizza per lo stesso fine un mezzo improprio trincerandosi dietro la regola costituzionale del concorso pubblico per evitare la condanna alla conversione di quei rapporti di lavoro che solo nominalmente sono qualificati come a tempo determinato.
La previsione di una responsabilità risarcitoria si risolve, a ben vedere, in una vuota enunciazione di principio; invero, la stessa normativa prima analizzata, concedendo all'Amministrazione scolastica ampi margini di manovra, rende difficile la realizzazione del presupposto al quale è correlata ex art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165/2001 la predetta responsabilità, ossia la prestazione lavorativa in violazione di disposizioni imperative. Ne consegue l'impossibilità di prospettare pregiudizi nella sfera patrimoniale direttamente rivenienti dall'improprio utilizzo dei contratti a termine nell'ipotesi, non infrequente, di una sostanziale continuità degli stessi, ferma restando la pretesa al riconoscimento degli scatti di anzianità e delle mensilità di luglio ed agosto; non residua, a quel punto, che un profilo, piuttosto evanescente, di perdita della chance dell'immissione in ruolo - si consideri in senso ostativo il vantaggio dell'avanzamento nella graduatoria a quel fine - e un danno nella sfera non patrimoniale soggetto ad un onere probatorio particolarmente gravoso.
In definitiva, un sistema così congegnato non assicura al lavoratore pubblico della scuola una tutela effettiva e/o realmente satisfattiva, equivalente a quella di cui gode, a parità di condizioni, un lavoratore privato né esplica un'efficace funzione deterrente sull'Amministrazione in relazione all'improprio utilizzo del contratto a termine, come richiede la normativa europea.
Un'eventuale pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale schiuderebbe le porte alla domanda di risarcimento dei danni, proposta in via subordinata rispetto alla richiesta conversione (e comunque logicamente pregiudiziale, rispetto alla domanda di mero allineamento stipendiale). Fermo restando che, alla luce delle puntualizzazioni della giurisprudenza comunitaria, il raggiungimento degli obiettivi della direttiva potrebbe essere assicurato da una misura risarcitoria purché concreta, effettiva e proporzionata. Tale sarebbe se il legislatore riconoscesse un quantum che insieme rappresenti un adeguato ristoro del danno costituito dalla impossibilità di fruire di un'occupazione stabile alle dipendenze della pubblica amministrazione, possibilità invece attribuita ai dipendenti di aziende private illegittimamente assunti a termine (vd. l'art. 32, comma 5, legge n. 183/2010), e contemporaneamente costituisca una valida misura dissuasiva contro l'abusivo ricorso alle assunzioni a termine.
P.Q.M.
Non definitivamente pronunciando: dichiara rilevante, e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale, che d'ufficio solleva, dell'art. 4 comma 1, legge n. 124/99, nella parte in cui la disposizione consente la copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento, che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo, così da determinare una successione potenzialmente illimitata di contratti a tempo determinato, e comunque svincolata dall'indicazione di ragioni obiettive e/o dalla predeterminazione di una durata massima o di un numero certo di rinnovi, e ciò per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., in, riferimento alla clausola 5, punto 1, dell'accordo quadro CES, UNICE e CEEP su lavoro a tempo determinato, alla quale ha dato attuazione la direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999;
dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
sospende il processo in corso;
dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza, pronunciata e letta in udienza, sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
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Provvedimento puibblicato nella G.U. 07 novembre 2011, n. 44.
09-11-2012 00:46
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