Il ristorante non puo' diventare pizzeria se il contratto prevede il divieto di trasformare l'attivita' svolta nel locale
Corte di Cassazione Sez. Terza Civ. - Sent. del 29.03.2012, n. 5056
Presidente Trifone - Relatore Armano
Svolgimento del processo
Con sentenza del 1-12-09 la Corte di appello di Milano ha confermato la decisione del Tribunale di risoluzione del contratto di un immobile concesso in locazione ad uso ristorante da B.G. a M.K. per inadempimento del conduttore alla clausola contrattuale che prevedeva il divieto di ad eseguire modifiche ai locali non autorizzate per iscritto, sanzionato con una clausola risolutiva espressa. Propone ricorso M.K. con tre motivi.
Resiste con controricorso B.G.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione art. 1456 codice civile.
Sostiene il ricorrente che la Corte ha ritenuto applicabile la clausola risolutiva espressa, senza considerare che le opere effettuate dal conduttore non avevano comportato modifica ai locali ed agli impianti. In conseguenza dell'inapplicabilità della clausola risolutiva, la Corte avrebbe dovuto valutare la condotta del conduttore alla luce dell'art. 1582 codice civile ed accertare se le opere effettuate avevano comportato per il locatore una diminuzione del godimento del bene immobile.
2. Con il secondo motivo si denunzia difetto di motivazione in ordine all'applicazione dell'art.9 del contratto in relazione art. 1456 codice civile.
Sostiene il ricorrente che le opere effettuate non potevano qualificarsi come modifica dei locali e degli impianti, locuzione riferibile solo ad opere edilizie che comportino modifiche alla consistenza ed alla distribuzione dei locali.
3. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell'art. 1587 codice civile. Sostiene il ricorrente che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che l'uso come pizzeria dell'immobile costituisse uso diverso da quello stabilito in contratto,in quanto l'uso come pizzeria è ontologicamente assimilabile a quello di ristorante.
4. I primi tre motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico - giuridica.
La valutazione della natura delle opere realizzate dal conduttore come rientranti nel concetto di modifica dell'immobile e degli impianti, di cui all'art. 9 del contratto è una valutazione di fatto che spetta al giudice del merito e che, adeguatamente motivata, non può essere di nuovo valutata dal giudice di legittimità.
Il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell1 “iter” formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ. In caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, ovvero di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. Cass. civ., Sez. lavoro, 22 febbraio 2006, n. 3881 5. La Corte di merito ha accertato che il conduttore aveva realizzato un forno a legna per la cottura delle pizze, il rialzamento del pavimento per circa mq 2 su cui aveva poggiato il forno ed un bancone, una canna fumaria non autorizzata che si innestava in una canna fumaria condominiale, una canna fumaria di esalazione dei fumi che terminava nel sottotetto.
Ha ritenuto che tali opere, modificative dell'immobile locato, erano state effettuate senza autorizzazione scritta, in violazione di quanto previsto dalla clausola 9 del contratto, e che quindi era operante la clausola risolutiva espressa; che tale inadempimento era di non scarsa importanza in considerazione della gravi conseguenze che tali opere avevano comportato, quali l'emissione di ordinanze della Asl che avevano imposto la costruzione di una canna fumaria esterna al fabbricato. Della linea argomentativa così sviluppata il ricorrente non segnala alcuna caduta di consequenzialità logico giuridica,mentre l'impugnazione si risolve in una inammissibile prospettazione dei fatti alternativa a quella del giudice di merito.
6. Non ricorre la dedotta violazione dell'art. 1456 codice civile in quanto, in presenza dell'accertata natura modificativa delle opere realizzate senza autorizzazione scritta, era operante la clausola risolutiva espressa.
7. Infondato è il riferimento del ricorrente all'art. dell'art.1582 codice civile, che prevede la tutela del conduttore rispetto ad innovazioni apportate dal locatore che diminuiscano il godimento dell'immobile locato, e non viceversa.
8. La Corte ha ritenuto che le opere effettuate, oltre alla violazione contrattuale, comportavano anche la violazione dell'art. 1587 c.c. in quanto l'immobile era stato congresso per il solo uso ristorante mentre era stato adibito anche a pizzeria.
9. Tale argomento da rilievo ad un ulteriore inadempimento del conduttore e la censura del ricorrente che lo investe, pur rubricata come violazione di legge,in realtà contiene una censura di merito, in quanto egli assume che la sua condotta non è qualificabile come uso diverso da quello determinato dal contratto.
10.L'accertamento sul punto effettuato dalla Corte di appello è sorretto da adeguata motivazione in quanto l'uso come pizzeria con forno a legna è sicuramente un uso diverso da quello di ristorante e non costituisce semplice ampliamento del tipo di cibi serviti, ma un attività diversa, tanto che per il suo esercizio, come risulta dalla sentenza impugnataci erano rese necessarie istallazioni di più canne fumarie per l'esalazione di fumi ed odori, comportanti anche nuove autorizzazioni sanitarie.
11. Con il quarto motivo si denunzia violazione dell'art. 1362 codice civile in relazione all'applicazione dell'art.1456 codice civile e difetto di motivazione sul punto.
Sostiene il ricorrente che la riproduzione della clausola 9 nel secondo contratto stipulato nel 2004, quando le parti ben conoscevano che era stato realizzato il forno, si riferiva alle opere successive al 2004.
12. Il motivo è infondato.
Con specifico riferimento ai limiti del sindacato di legittimità sulla interpretazione dei contratti, questa Corte ha affermato che “in tema di interpretazione del contratto - che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione - ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa” (Cass., n. 28479 del 2005; Cass., n. 18180 del 2007). In sostanza, l'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un'attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.
13. Nel quadro di questi principi deve escludersi che, nella specie, siano sussistenti i vizi denunciati.
La Corte di appello,in relazione ai due contratti di locazione sottoscritti dalle parti,il primo concluso con la madre della ricorrente in data 30 maggio 2000, e quello successivo stipulato in data 30-6-2004, con la ricorrente e la madre, ha ritenuto che si tratta di un rapporto unico e che con il secondo contratto, dal contenuto del tutto simile al primo, si sia realizzata solo una novazione soggettiva; che in entrambi contratti era indicato l'uso “come ristorante” e non come “pizzeria” ed era stata inserita la clausola numero 9, che prevedeva il divieto di modifiche senza autorizzazioni scritta la clausola risolutiva; che la circostanza della riproduzione nel secondo contratto della clausola risolutiva rafforzava il divieto per il conduttore di apportare modifiche ai locali senza autorizzazione scritta del locatore; nessun rilievo aveva la circostanza che l'appellata o i suoi congiunti avessero consumato n pizze nel suddetto locale”.
14. La Corte nell'interpretazione della comune volontà delle parti ha seguito il primo e principale strumento indicato dall'art. 1362 codice civile, rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto.
15.Deve escludersi che, nella specie, sia sussistente il denunciato vizio motivazionale.
La Corte d'appello ha compiutamente enunciato le ragioni del proprio convincimento, illustrando i passaggi logici che la hanno condotta alla decisione e gli argomenti addotti dal ricorrente,che non indica lacune argomentative, ovvero illogicità consistenti nell'attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, o punti inficiati da mancanza di coerenza logica, non appaiono idonei a contrastare la motivazione della sentenza impugnata. Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione liquidate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per spese,oltre accessori e spese generali come per legge.
Depositata in Cancelleria il 29.03.2012
02-04-2012 00:00
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