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Sentenza

Onorari dell'avvocato. Se il giudice determina il valore della causa non serve i...
Onorari dell'avvocato. Se il giudice determina il valore della causa non serve il parere di congruita' del Consiglio dell'Ordine.
Corte di Cassazione Sez. Seconda Civ. - Sent. del 09.02.2012

 

Schettino Presidente
Piccialli Relatore

 

Svolgimento del processo

Su ricorso di M. e S.S., quali eredi dell'avvocato M.S., che aveva rappresentato e difeso L.F. in una controversia svoltasi nei confronti della società S. s.p.a ed altri soggetti innanzi al Tribunale di Roma, il Presidente del Tribunale di Bari emise decreto ingiuntivo in data 1.6.05 nei confronti del suddetto cliente, per il pagamento della somma di € 637.633,35, pari a due terzi (in ragione delle quote ereditarie degli istanti)delle residue spettanze professionali; a tale provvedimento” si oppose il F. deducendo l'esaustività dell'avvenuto pagamento dalla controparte ammesso, di € 40.000.000, in virtù di espresso accordo, in considerazione dei rapporti di amicizia con il professionista, ed in subordine l'erroneità della parcella posta a base dell'ingiunzione.
Costituitisi gli S., contestarono la sussistenza dell'accordo suddetto e ribadirono l'esattezza della parcella, segnatamente con riferimento all'indicazione del valore della causa, a loro avviso non indeterminabile, ma determinato in € 204.398.253,82, pari a quello di € 395.770.206.929 accertato in corso di causa; con consulenza tecnica di ufficio, sulla base della quale la domanda della società attrice era stata quantificata; insistevano, altresì,gli opposti nella richiesta di rimborso del parere di congruità espresso dall'ordine professionale.
All'esito del giudizio, nel corso del quale venne concesso sequestro conservativo, confermato
in sede di reclamo, sui beni del F. per l'importo di € 65.000,00, ed il rito trasformato in
quello speciale di cui agli artt. 29 e 30 L. 794 del 1942, l'adito tribunale con ordinanza in
data 15/26.6.2007 revocò il decreto ingiuntivo, liquidò a ciascuno degli opposti, in ragione dei
rispettivi diritti ereditari, la somma di € 19.000,31, oItre agli interessi legali decorrenti dal
22.5.03, previa determinazione delle spettanze dovute all'avvocato L.S. in € 699,77 per
spese, € 8579,79 per diritti ed € 51.592,32 per onorario, oltre I.V A.,C.A.P. e contributo
forfettario per complessivi € 75.109,19, e detrazione dell'acconto pari ad € 20.658,27,
compensando infine interamente le spese processuali.
Tale decisione, risulta basata sulle seguenti essenziali ragioni:
a) mancata prova dell'accordo dedotto dagli opponenti;
b) determinabilità del valore della causa, in concreto individuato sulla scorta dell'accertamento contenuto nella consulenza tecnica di ufficio;
c) conseguente liquidazione dei diritti di procuratore secondo il corrispondente scaglione
tabellare;
d) applicabilità tuttavia, agli effetti della liquidazione degli onorari, delle disposizioni
correttive contenute nei commi secondo e quarto dell'art.6  D.M n 585/94, comportanti la
liquidazione a carico del cliente in ragione del valore effettivo della causa, diverso da quello
presunto a norma degli artt. 10 e ss. c.p.c, da ritenersi nella specie palesemente sproporzionato
all'interesse connesso alla specifica posizione del F. in un contesto nel quale la difesa
di quest'ultimo si era fondata sulla tesi, poi accolta in sentenza, dell'estraneità del medesimo
ai fatti di causa, per essere cessato dalla carica di amministratore prima del periodo in cui si
era verificato il dissesto della società;
d) conseguente più adeguata applicazione dei criteri relativi alle controversie di valore
indeterminabile, sia pure applicando i massimi tariffari e quadruplicando ex art. 5 co. 3 , in
ragione della straordinaria importanza della controversia, i relativi importi.
Avverso tale provvedimento gli S. hanno proposto ricorso per cassazione ex art. 111
Cost. affidato ad otto motivi.
Ha resistito il F. con controricorso contenente ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 335 c.p.c.
Deve essere esaminato con precedenza il ricorso incidentale, attesa la priorità logico - giuridica,rispetto alle questioni formanti oggetto del ricorso principale, del motivo con il quale si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 14 c.p.c., in cui il tribunale barese
sarebbe incorso nel ritenere la controversia di valore indeterminabile.
Si sostiene che, nel caso di specie, in cui la domanda risarcitoria non era stata quantificata
nell'atto introduttivo, ma soltanto all'esito della consulenza tecnica di ufficio, in mancanza di
criteri obiettivi e predeterminati, la controversia avrebbe dovuto essere considerata di valore
indeterminabile, con conseguente diretta applicabilità del relativo scaglione tabellare, agli
effetti della liquidazione sia dei diritti, sia degli onorari, senza necessità dunque di
ridimensionamento in base ai criteri correttivi di cui all' art. 6 co. 2 e 4 della tariffa
forense, approvata con D.M.585/94.
La censura è infondata, essendosi il tribunale attenuto all'indirizzo, ormai prevalente nella
più recente giurisprudenza di legittimità (v.,in particolare,Cass. 5905/04,3372/07,. 226/11),
cui questo collegio aderisce, secondo cui ai fini della determinabilità del valore della
controversia poco o punto rileva la circostanza che l'attore non abbia determinato ab initio il
quantum della propria domanda, riservandosi di farlo successivamente (come molto spesso si
verifica nelle controversie risarcitorie), allorquando la pretesa sia comunque suscettibile, in
ragione dell'obiettiva valutabilità del “bene della vita” oggetto della richiesta di
determinazione economica.
Anche in questi casi sussiste, infatti, la possibilità di quantificazione, alla stregua della quale il
valore da attribuirsi alla causa va desunto dall'accertamento compiuto in corso di causa,
precipuamente finalizzato alla concreta determinazione economica di quella richiesta, che la
parte aveva omesso di precisare, tuttavia rimettendosi alle successive risultanze istruttorie.
Considerato che il concetto di indeterminabilità non coincide con quello di indeterminatezza
iniziale della domanda, in questo secondo caso il quantum della pretesa, che, nelI'ambito della
competenza del giudice adito, ben può essere esplicitato fino alla precisazione delle
conclusioni, è quello risultante dalla definitiva formulazione della stessa.
Il ricorso incidentale va, pertanto, respinto.
Con il primo motivo del ricorso principale viene dedotta violazione e falsa applicazione degli
artt.10 e 14 c.p.c., dell'art. 6 co. 2 e 4 D.M. n. 585/94, anche con riferimento all'art. 12 delle
“preleggi', censurandosi la ritenuta applicabilità, sulla base di interpretazione normativa non
rispettosa del dato “semantico” della disposizione dei criteri correttivi del valore della
controversia contenuti nelle norme tariffarie in questione, ad una fattispecie nella quale detto
valore sarebbe stato determinabile in base a criteri codicistici precisi ed obiettivi, desumibili
dalla domanda,e non anche presuntivi, come richiesto daI tenore letterale del secondo comma
del citato art. 6. A tal riguardo si sostiene che il potere di adeguamento della liquidazione degli onorari, nei rapporti tra avvocato e cliente,”al valore effettivo della controversia quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile”, sarebbe limitato ai soli casi in cui la determinazione del valore della controversia sia dal codice di rito ancorata a parametri legali di natura presuntiva (come nei casi previsti dall'art. 15, per i beni immobili, e dall'art. 13, per le prestazioni alimentari e le rendite perpetue), e non anche al dato concreto ed effettivo desumibile dal quantum domandato.
La censura non merita accoglimento, proponendo un'interpretazione eccessivamente
restrittiva della disposizione, che pur traendo spunto da alcune pronunzie di legittimità ( tra
cui S.U. n. 5615/98, tuttavia non vincolante ex art.374 c.p.c, non essendo stato il principio
affermato in funzione della risoluzione del contrasto, costituente oggetto precipuo della
decisione, ma soltanto recepito, sulla base di mero richiamo a precedenti pronunzie
sezionali), deve ritenersi superata dalla più recente giurisprudenza di questa Corte, nella quale,
sulla base di una lettura del citato comma secondo, adeguatamente coordinata con quella del
quarto (”nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del
valore effettivo della controversia deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti”, si è affermato e consolidato diverso principio,di
generale applicazione (v. in particolare nn. 13229110, 15685/06), secondo il quale, nei rapporti
tra avvocato e cliente ( diversamente che ai fini della liquidazione delle spese a carico della
parte soccombente, nei quali,ai sensi del primo comma, il valore della lite si determina
secondo i criteri codicistici, salva l'adozione di quello del decisum, nelle cause di pagamento
e risarcimento di danni), sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari
al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta
sproporzione con quello derivante dall'applicazione delle norme del codice di rito.
Tale interpretazione, aderente al criterio finalistico, secondo cui il dato letterale va
opportunamente coordinato con la ricerca dell' intenzione del legislatore (art. 12, co. 1 u.p., delle “preleggi”), deve ritenersi preferibile, siccome più aderente all'esigenza del combinato disposto delle due norme tariffarie risulta palesemente improntato vale a dire all'osservanza di quel “principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell'opera professionale effettivamente prestata”, che le Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 19014/07) hanno ritenuto appunto desumibile dall' interpretazione sistematica delle disposizioni in questione. La portata generale di tale principio informatore della materia risulterebbe palesemente frustrata dalla restrittiva accezione ermeneutica proposta nel motivo di ricorso, che relegandone l'applicazione soltanto a limitati settori del contenzioso civile, escluderebbe ogni possibilità,da parte del giudice, di porre rimedio a quelle situazioni ricorrenti nella pratica giudiziaria, caratterizzate dall' evidente sproporzione tra pretese economiche manifestamente esorbitanti ed il valore effettivo del bene o della prestazione controversa. E' da ritenersi, pertanto, che nel richiamo al “valore presunto a norma del codice di procedura civile”, la disposizione tariffaria abbia semplicemente inteso
riferirsi a tutte le regole dettate dal codice di rito, ivi compresa quella ex artt. 10 e 14
correlata all'indicazione del quantum nella domanda nelle cause relative a somme di
danaro o beni mobili, per la determinazione valore della controversia, attribuendo al giudice
una generale facoltà discrezionale, ove ravvisi la suesposta manifesta sproporzione tra il
formale petitum e l'effettivo valore della controversia, desumibile dai sostanziali interessi in
contrasto, di adeguare la misura dell'onorario all'effettiva importanza della prestazione, in
relazione alla concreta valenza economica della controversia.
Il motivo va, conclusivamente, respinto.
La reiezione del primo motivo comporta quella anche del secondo, con il quale si deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 24 L. 794/42,4,5,6, D.M. 585/94, 10 e 14 c.p.c., per
assunta violazione della regola di inderogabilità dei minimi tariffari, in assenza del necessario
parere del competente Consiglio dell'Ordine.
E' agevole al riguardo osservare che il potere discrezionale, in precedenza evidenziato,di
individuazione dell'effettivo valore della controversia, diverso da quello desumibile dai
criteri codicistici, comporta la conseguente applicabilità della scaglione tabellare ritenuto in
concreto applicabile entro i cui limiti il giudice è tenuto ad operare la liquidazione
dell'onorario, senza necessità di munirsi del sopra menzionato parere, non comportando tale
operazione alcuna violazione dei limiti, che sarebbero stati applicabili in assenza
dell' esercizio di tale facoltà, che proprio perché prevista dalla tariffa forense, non può
integrare una violazione della stessa.
Con il terzo motivo si deduce,in via gradata, violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e
14 c.p.c. e dell'art. 6 co. 2 e 4 D.M., per aver il giudice di merito, nell'esercizio del potere di cui
alla citate disposizioni tariffarie, instaurato un improprio raffronto tra il valore determinato ( o
determinabile) della controversia a norma del codice di rito e quello, ritenuto non
determinabile, degli interessi della parte convenuta nel processo, che in quanto non valutabile
economicamente, non avrebbe potuto essere comparato al primo e ritenuto quello effettivo.
Il motivo è fondato, evidenziando una palese illogicità dell'apparato argomentativo della
decisione, che si traduce in una falsa applicazione delle sopra citate, pur astrattamente
applicabili, disposizioni tariffarie. L'effettività del valore della controversia, cui il giudice può attenersi ai fini della liquidazione degli onorari, ove l'applicazione dei criteri codicistici possa condurre, tenuto conto della particolarità del caso, risultati iniqui ed inadeguati rispetto ai concreti interessi in gioco, esige I'individuazione di una corrispondente ed altrettanto concreta individuazione della valenza economica della causa, che, superiore o inferiore a quella dichiarata o
desumibile dai criteri anzidetti, deve essere comunque determinata, non potendo un raffronto
comparativo essere instaurato tra due entità economiche disomogenee, l'una certa e l'altra
incerta. Il giudice di merito (l'esercizio del cui potere discrezionale in materia deve risultare
non arbitrario ed adeguatamente motivato, la già citata Cass.n.15685/06), nel caso di specie,
dopo aver ritenuto la controversia di valore determinabile, ha, con inadeguata motivazione
correlata non al raffronto con un ipotetico diverso valore, rispetto a quello formalmente
desumibile dagli art. 10 e 14 c.p.c., bensì alle difese (estraneità del F. alle condotte di
mala gestio ascritte, in considerazione della non coincidenza temporale delle stesse con il
breve esercizio di mansioni amministrative nell'ambito della società attrice) fatte valere
dal convenuto ( e poi accolte) ai fini della reiezione della domanda risarcitoria, ha ascritto il
connotato dell'indeterminabilità (così facendolo rientrare dalla “finestra”, dopo averlo fatto
uscire dalla “porta” ) all'intera controversia, sulla base della sola eccezione del convenuto
e, peraltro, senza comunque operare quella necessaria comparazione tra le due sostanziali
entità economiche definite, che l'art. 6 co. 2 e 4 cit. esige.
Un valore effettivo non può essere indeterminabile, per la contraddizione che non lo
consente.
L'accoglimento di tale motivo comporta l'assorbimento dei rimanenti, logicamente
subordinati (il quarto, quinto e sesto, deducenti vizi vari della motivazione, il settimo e
l'ottavo censuranti la riduzione, conseguente a quella degli onorari, del rimborso della tassa di
parere dell' ordine professionale).
La su impugnata sentenza va,conclusivamente, cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio
per nuovo esame ad altra sezione del tribunale di provenienza, cui si demanda anche il
regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il principale, nei limiti di cui in motivazione, rigetta quello
incidentale, cassa l'ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le
spese del presente giudizio,ad altra sezione del Tribunale di Bari.

 

Depositata in Cancelleria il 09.02. 2012-02-15
Avv. Antonino Sugamele

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