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Sentenza

Questione di legittimità costituzionale dell’art. 81 bis delle disp. di att. al ...
Questione di legittimità costituzionale dell’art. 81 bis delle disp. di att. al cpc, così come modificato dalla legge n. 148/2011, per violazione degli articoli 3 e 111 della Costituzione
Tribunale di Varese

Sezione I civile

Ordinanza 28 giugno 2012

(giudice dr. G. Buffone)

CB con Avv.ti SP e GP c/ S con Avv.ti MB e GB e c/ L (contumace)

ORDINANZA

avente ad OGGETTO: azione per la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.

IN FATTO

Con atto di citazione notificato in data 23 settembre 2011 e depositato in Cancelleria in data 26 settembre 2011, C. B. assumeva di avere promesso di acquistare dalla costruttrice X. Immobiliare un immobile sito in Varese alla via Brunico n. 50, con contestuale conferimento di incarico alla Y. Immobiliare di curare la mediazione per la vendita di proprio immobile, sito in Cugliate Fabiasco alla via Verdi n. 21. Assumeva che, dopo la stipula dei contratti, era emerso che il locale oggetto di promessa di acquisto era inidoneo ad ottenere il certificato di agibilità/abitabilità. Da qui la citazione introduttiva del giudizio con cui richiedeva dichiararsi risolto il contratto e condannarsi le due società convenute (la Y. e la X.) al risarcimento di tutti i danni patiti, oltre alle spese sostenute per la complessiva operazione negoziale. La parte convenuta Y. Immobiliare si costituiva resistendo alla domanda; eccepiva l'assenza di sue responsabilità contrattuali e richiedeva, in via riconvenzionale, il pagamento del corrispettivo spettante per l'attività di mediazione svolta.

All'udienza di prima comparizione, del 20 gennaio 2012, nessuno compariva per la X. Immobiliare che veniva dichiarata contumace. Le parti costituite richiedevano la concessione dei termini ex art. 183 comma VI c.p.c. Il giudice concedeva i termini richiesti e fissava l'udienza in data 22 giugno 2012 per l'ammissione delle prove. All'udienza del 22 giugno 2012 le parti insistevano per l'ammissione delle richieste istruttorie. Sentite sul calendario del processo, nulla osservavano.

Quanto alle richieste istruttorie della parte attrice, i capitoli nn. 3 e 4 sono irrilevanti ai fini della decisione. Il cap. 6 ha contenuto negativo, come tale non ammissibile. Il cap. 7 chiama il teste a confermare un atto scritto non contestato in causa. Stesso dicasi per il cap. 11, il cap. 12. I capitoli 13 e 14 chiamano il teste a riferire su assegni, come tali non rilevanti per il giudizio. In conclusione sono rilevanti, perché influenti per il giudizio, i capitoli 1, 2, 5, 8, 9, 10, da ammettere con l'escussione dei testi G. B. e B. B. Sugli stessi capitoli viene ammesso l'interrogatorio formale dei legali rappresentanti delle parti convenute. Quanto alle richieste istruttorie della parte convenuta costituita, i capitoli 1 e 2 sono inammissibili per difetto di specificità. Il cap. 3 difetta di rilevanza. Il cap. 5 richiede prova scritta del fatto (trattasi di provvedimenti amministrativi). Il cap. 6 è inammissibile poiché trattasi di testimonianza de relato partium. Va, dunque, ammesso il solo capitolo 4 con i testi G. B. e B. B., pure indicati dalla parte convenuta. Quanto ai profili tecnici, oggetto di contestazione, il Tribunale riserva di provvedere a consulenza tecnica d'Ufficio, se emergente come necessaria all'esito delle prove.

In conclusione, l'istruttoria deve avere ad oggetto: le prove orali dell'attore, le prove orali del convenuto, gli interrogatori formali dell'attore, l'eventuale CTU ex officio. Dovendosi svolgere istruttoria, questo giudice dovrebbe dare luogo alla redazione del calendario del processo, in ossequio all'art. 81-bis disp. att. c.p.c. Vi è, però, che, nel caso di specie, nel contesto di questo ufficio, l'obbligo di provvedere sempre e comunque al calendario del processo, produce effetti di pregiudizio per il procedimento qui sub iudice e per gli altri processi pure chiamati per l'udienza. In data odierna, sono chiamati, in tutto, 32 processi, di cui 6 per l'ammissione delle prove. Orbene, il dover stendere un calendario, senza consentire al giudice discrezionalmente di disattenderlo, in ragione del Ruolo, produce, vista la minaccia della sanzione disciplinare, un effetto di paradossale “allungamento” dei tempi: il giudice, temendo di non poterlo rispettare, tende a stabilire scansione temporali ben più lunghe di quelle che, fisiologicamente, e senza la minaccia di Legge (di illecito disciplinare), avrebbe invece pianificato. La legge che voleva realizzare l'accelerazione e la prevedibilità dei tempi del processo, paradossalmente, produce invece aumento dei tempi stessi, in modo irragionevole. Questo perché l'obbligo, astrattamente disegnato, non è concretamente collocato nel contesto degli uffici giudiziari italiani in cui, diversamente da altre magistrature, non vige una norma ad hoc per i carichi esigibili cosicché i Ruoli (particolarmente gravosi) impongono attività di udienza in cui i fascicoli trattati contemporaneamente possono arrivare anche a 100 ed oltre. Ad esempio, nell'udienza odierna, erano, come detto, 32.

In concreto, la differenza effettiva è, nel caso di specie, evidente. Se questo giudice non dovesse apporre il calendario, tenuto conto anche del fatto che i difensori non ne hanno chiesto l'apposizione, verrebbe fissata udienza per l'escussione di tutti i testi e gli interrogatori formali, in data 24 ottobre 2012. All'esito della prova, ove non necessaria la CTU (su cui vi è riserva), inviterebbe le parti a precisare le conclusioni, con udienza fissata per l'incombente in data 8 marzo 2013. Dovendo pianificare il calendario, con un ruolo gravoso, questo magistrato tende, invece, ad applicare il principio di precauzione, per riuscire a rispettare le scansioni del calendario stesso, tenuto conto del fatto che diverse e molteplici possono essere le variabili sopravvenute. Verrebbe, dunque, fissata udienza in data 24 ottobre 2012 per i soli testi; udienza in data 8 marzo 2013 per gli interrogatori formali e, sin da ora, udienza interlocutoria per l'eventuale CTU in data 26 giugno 2013; con contestuale fissazione dell'udienza per la precisazione delle conclusioni in data 27 dicembre 2013 (garantendo, quindi, la ragionevole durata – tre anni dall'iscrizione a Ruolo – ma agendo per far fronte al rischio di dovere incontrare variabili sopravvenute). A bene vedere, la collocazione della norma astratta (81-bis disp. att. c.p.c.) nella realtà concreta del Tribunale italiano, produce effetti irragionevoli. Proprio in tempi recenti, la Ecc.ma Corte delle Leggi ha affermato che non è precluso al Legislatore introdurre una norma frutto di scelte discrezionali purché si tratti di una opzione normativa rispondente a criteri di ragionevolezza, “avuto riguardo alle conseguenze del suo innesto nella complessiva disciplina della materia” (Corte Cost., sentenza 12 gennaio 2012, n. 1, Pres. Quaranta, est. Frigo). Ebbene, reputa questo ufficio che la norma qui censurata, al momento dell'innesto nella materia processuale civile, come resa viva dalla “realtà” effettiva del Tribunale, produce uno strappo al principio di ragionevolezza, in quanto causa un allungamento dei tempi del procedimento, una irrazionale gestione delle singole procedure e preclude al giudice di attingere al bacino della propria governance giudiziale per garantire il celere ed efficiente governo di tutte le cause sul Ruolo.

Il Tribunale, ciò detto, ritiene di dovere rimettere gli atti alla Consulta, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 81-bis disp. att. cod. proc. civ., come modificato dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (art. 1-ter), nella parte in cui prevede che il giudice “fissa” il calendario del processo (comma I), così introducendo un obbligo per il magistrato, in relazione alle sanzioni previste dal comma II, per violazione dell'art. 3 Cost. (vulnus al principio di ragionevolezza) e per violazione dell'art. 111 Cost. (vulnus al principio di ragionevole durata).

In punto di rilevanza e non manifesta infondatezza

OSSERVA

quanto segue.

1. In punto di rilevanza, la questione è da considerarsi senz'altro rilevante. Giova in primo luogo rilevare che la citazione è stata notificata in data 23 settembre 2011 e, dunque, dopo l'entrata in vigore della Legge 148/2011 che ha apportato le modifiche di cui si discute, all'art. 81-bis disp. att. c.p.c. Giova poi ribadire che – nel giudizio cui incidentale l'odierna pronuncia - deve procedersi ad istruttoria. Se il calendario non fosse obbligatorio, come invece deve ritenersi sia, il Tribunale ben potrebbe discrezionalmente motivare nel senso di non provvedere a redigerlo, tenuto conto del carico del Ruolo e, se del caso, del consenso dei difensori. Che il calendario sia obbligatorio, è testimoniato dalla Legge 148/2011. Prima della sua entrata in vigore, nel vecchio testo dell'art. 81-bis c.p.c., buona parte della giurisprudenza aveva, per l'appunto, ritenuto discrezionale l'incombente (1) ; il Legislatore, per rimarcare invece l'obbligatorietà, ha introdotto un secondo comma rafforzativo del primo in cui l'inciso “FISSA” (e non “può fissare”) determina, in una esegesi complessiva, una vera e propria imposizione. Pertanto: il “nuovo” art. 81-bis cit. si applica alla controversia nel caso di specie; nella controversia de qua deve procedersi ad istruttoria; il giudice, stante l'art. 81-bis c.p.c., provvedendo sulle richieste istruttorie sarebbe tenuto alla apposizione del calendario del processo.

1.1. Sempre in punto di rilevanza, questo giudice è consapevole del tenore letterale dell'art. 23 comma II, della l. 11 marzo 1953, n. 87, il quale ammette il giudizio incidentale di costituzionalità “qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale”, così sembrando escludere la possibilità di giudizi aventi ad oggetti norme processuali concernenti il mero svolgimento del rito: vi è, però, che, almeno dalla consacrazione del principio del “Giusto Processo” in seno all'art. 111 Cost., dovrebbe ritenersi sottintesa la rilevanza della questione anche là dove il giudizio non possa essere definito “ragionevolmente” indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale”, valorizzando il diritto dell'individuo non ad un qualsiasi processo ma a quello “Giusto” che tale non è se norme irrazionali ne impediscono la definizione entro il termine di ragionevole durata e con sacrificio intollerabile di posizioni giuridiche tutelate. Definizione del giudizio, insomma, non solo nell'an ma anche nel quomodo.

In punto di non manifesta infondatezza, la questione non si palesa manifestamente infondata in relazione ai profili che vengono a breve ad essere censurati ed in relazione a quelli già esposti.

2. Quanto all'oggetto della questione, trattasi dell'art. 81-bis disp. att. cod. proc. civ., come modificato dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (art. 1-ter), dove, l'inciso “FISSA” del primo comma, interpretato alla luce del II comma, determina l'obbligatorietà del calendario del processo e non anche la discrezionalità. Dovrebbe, dunque, essere dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 81-bis c.p.c. nella parte in cui prevede che il giudice “FISSA” e non “può fissare” il calendario del processo.

2.1. Sempre in punto di ammissibilità della questione, una interpretazione adeguatrice risulta infruttuosa. Il giudice a quo è onerato di sperimentare la cd. interpretatio secundum constitutionem (Corte Costituzionale, ordinanza 10.02.2006 n° 57), sussistendo in capo al rimettente la necessità di motivare sull'impossibilità di interpretare la norma in senso conforme alla Costituzione (cfr. Corte Cost., 19/10/2001, n. 336 in Giur. Costit., 2001, f. 5; Corte Cost. ord., 21/11/1997, n. 361 in Giur. Costit., 1997, fasc.6). Trai i diversi significati giuridici astrattamente possibili, cioè, il Giudice deve selezionare quello che sia conforme alla Costituzione; il sospetto di illegittimità costituzionale, infatti, è legittimo solo allorquando nessuno dei significati, che è possibile estrapolare dalla disposizione normativa, si sottragga alle censure di incostituzionalità (Corte Cost., 12/03/1999, n. 65 in Cons. Stato, 1999, II, n. 366). E, tuttavia, se è vero che in linea di principio, le leggi si dichiarano incostituzionali perchè è impossibile darne interpretazioni "secundum Constitutionem" e non in quanto sia possibile darne interpretazioni incostituzionali, è anche vero che esiste un preciso limite all'esperimento del tentativo salvifico della norma a livello ermeneutico: il giudice non può “piegare la disposizione fino a spezzarne il legame con il dato letterale”. Ed, in tal senso, di fatto, vi sarebbe il rischio – dinnanzi ad una redazione così chiara della norma – di invadere una competenza che al Giudice odierno non compete, se non altro perché altri Organi, nell'impalcatura Costituzionale (come l'adita Corte delle Leggi), sono deputati ad espletare talune funzioni ad essi esclusivamente riservate. Ma vi è di più: l'interpretatio secundum constitutionem presuppone, indefettibilmente, che l'interpretazione “altra” sia “possibile”, cioè, praticabile: differentemente, si creerebbe un vulnus alla certezza del diritto poiché anche dinnanzi a norme “chiare” ogni giudicante adito potrebbe offrire uno spunto interpretativo diverso.

Svolte le considerazioni riportate, reputa l'odierno Giudicante che il dato normativo non si possa prestare ad interpretazioni diverse da quella emergente dalla mera lettura del testo: proprio perché, al cospetto di un tentativo così fatto prima della Legge 148/2011, con il suddetto saggio di legificazione, il Legislatore ha di fatto smentito l'interpretazione militante verso la discrezionalità e addirittura introdotto la sanzione disciplinare per la violazione dell'obbligo di fissare il calendario. Rimane, pertanto infruttuoso il doveroso tentativo da parte dell'odierno Giudice di individuare un'interpretazione compatibile con la Costituzione (Corte Cost. ord. 427/2005; ord. n. 306 del 2005).

3. Così introdotta, nel rito, la questione sollevata, nel merito sono diversi i profili sotto i quali la disposizione è sospettata di incostituzionalità. In primo luogo essa sembra violare l'art. 3 della Charta Chartorum per violazione del principio di ragionevolezza. Fissando la calendarizzazione delle udienze, il giudice di merito prefigura alle parti il percorso procedimentale cui le stesse saranno sottoposte, consentendo loro di conoscere in via anticipata la durata del processo ma, soprattutto, mirando al precipuo scopo di garantire che tale durata sia ragionevole. La funzione del calendario è, comunque, quella di contribuire alla ragionevole durata del processo civile anche se, in Dottrina, si è sostenuto che la fissazione del calendario del processo “non serve ad accelerare i tempi del processo, bensì solo a renderli prevedibili”. Dopo l'introduzione della prima versione dell'art. 81-bis c.p.c., ad opera della Legge 18 giugno 2009 n. 69, la Dottrina si è interrogata circa la discrezionalità o obbligatorietà della fissazione del calendario del processo. La giurisprudenza di merito per prima intervenuta, ha ritenuto che il calendario del processo debba intendersi necessariamente in termini di “discrezionalità”. Ma trattasi di opinione non più sostenibile dopo l'intervento del Legislatore del 2011. Da qui il problema di un adempimento obbligatorio di impossibile attuazione nei ruoli carichi.

L'adempimento de quo che si richiede al magistrato deve inevitabilmente essere collocato nel contesto concreto dell'Ufficio in cui il giudice si trova a operare. Si vuol dire che il numero delle cause pendenti sul ruolo del giudice influenza in modo preponderante l'attività gestionale dei procedimenti cosicché, secondo una formula inversamente proporzionale, maggiori saranno le cause iscritte al ruolo - e che il giudice si trova a dover gestire - minore sarà la possibilità oggettiva di pianificare e programmare lo svolgimento delle singole udienze per ogni processo. Altrimenti detto: la minore “governabilità” del ruolo inevitabilmente comporta una maggiore esigenza di flessibilità e duttilità che fa iato con un elemento di programmazione quale il calendario, poiché intriso di inevitabile rigidità, come la dottrina, sino ad ora unanimemente, ha riconosciuto. Ed allora imponendo l'uso del calendario, nel senso di obbligare il giudice ad apporlo sempre e comunque, a prescindere dal contesto concreto in cui l'attività giurisdizionale è esercitata, si corre il rischio di andare a pregiudicare proprio quelle esigenze di celerità e di organizzazione che la legge 69 del 2009 ha inteso tutelare. Per altro verso questa interpretazione produce risultati distonici. Come ha insegnato la giurisprudenza costituzionale, una norma è in sé incostituzionale, poiché irragionevole, là dove tradisca, in modo insanabile, la ratio legis che ne ha giustificato la introduzione nel sistema normativo. E, allora, se il calendario del processo persegue la finalità, vuoi di consentire la prevedibilità dei tempi del processo, vuoi di contenere la durata del procedimento entro tempi ragionevoli, si dà luogo ad una aporia dichiararne l'obbligatorietà pur laddove la sua applicazione rigida ed obbligatoria in uno specifico contesto giudiziario porta di fatto ad un risultato del tutto inverso e contrario. Si pensi al consumo di tempo ed attività che si richiede al giudice chiamato a gestire un ruolo di migliaia di cause per pianificare per ognuna di esse, man mano che sono in rotazione, un calendario di tempi ed udienze, “sentiti i difensori”. È chiaro che la stessa ordinanza ex articolo 183, comma VII, c.p.c. rischia di dover essere emanata solo successivamente ad una difficile attività di programmazione e dunque con ulteriori ritardi nell'eventuale scioglimento delle riserve. Per non parlare dell'inevitabile prevenzione che va ad innescarsi nei giudici con Ruolo particolarmente gravoso: se è vero che il calendario (obbligatorio) va rispettato anche a rischio di rilievi disciplinari, allora il magistrato è indotto, “in prevenzione”, a pianificare tempi più lunghi proprio per evitare di dovere incorrere in continue proroghe e rinvii determinati, come gli operatori del diritto ben sanno, dalla oggettiva grande difficoltà che si ricollega all'attività gestionale di un ventaglio di cause ben superiore a carichi esigibili. Vi è ancora ed infine che l'obbligatorietà del calendario non consente neanche ciò che può apparire più razionale e ragionevole ovvero scegliere i processi in cui adottare una calendarizzazione, tenuto conto di eventuali urgenze o dei temi oggetto del contendere o ancora della natura giudica dei diritti coinvolti.

4. Norme violate. Per quanto sin qui osservato, si ritiene che la norma censurata si ponga in contrasto con l'art. 111 Cost. e con il principio di ragionevolezza, difeso dall'art. 3 della Charta Costituzionale, per il difetto di coerenza tra l'art. 81-bis disp. att. c.p.c. e il fine perseguito dalla disposizione. Al riguardo, non è invano richiamare chi, Autorevolmente, afferma che “quando una norma non è in sintonia con la finalità che la ispira, con la sua ratio, non si può negare che essa non sia espressione di razionalità” (e, così, la giurisprudenza costituzionale: v., ex multis, le pronunce: 345 e 390/2007 in cui si avverte un difetto di “coerenza tra il contenuto della norma e la finalità perseguita attraverso la sua previsione”).

5. Petitum. Per quanto sin qui osservato, è auspicabile un intervento della Corte adita che dichiari costituzionalmente illegittimo l'art. 81-bis disp. att. disp. c.p.c. nella parte in cui prevede che il giudice “fissa” [e non: PUO' FISSARE] il calendario del processo.

Alla luce di tutte le considerazioni svolte, il Tribunale di Varese, sezione Prima civile,

P.Q.M.

visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87;

Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 81-bis disp. att. cod. proc. civ., come modificato dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (art. 1-ter), per violazione degli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui prevede che il giudice “FISSA” il calendario del processo, così sancendone l'obbligatorietà in ogni caso,

Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti del processo, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Così deciso in Varese, lì 28 giugno 2012

Il Giudice

Giuseppe Buffone
Avv. Antonino Sugamele

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