Appena nata durante 5 emostrasfuzioni di plasma per essere sottoposta ad intervento chirurgico contrae l'epatite C.
Cassazione civile sez. III
Data:
15/01/2013 ( ud. 27/11/2012 , dep.15/01/2013 )
Numero:
796
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIFONE Francesco - Presidente -
Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere -
Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere -
Dott. GIACALONE Giovanni - rel. Consigliere -
Dott. FRASCA Raffaele - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12478/2007 proposto da:
M.F. (OMISSIS), R.A.
(OMISSIS), M.S. (OMISSIS) in
persona dei genitori esercenti la patria potestà M.
F. e R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TARO
56, presso lo studio dell'avvocato RAZZANO PAOLA, rappresentati e
difesi dall'avvocato CAPIROSSI Massimo giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
A.V.I.S. ASSOCIAZIONE VOLONTARI ITALIANI DEL SANGUE in persona del
suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 77, presso lo studio dell'avvocato DEL
BUFALO Paolo, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato
BALBO DI VINADIO EMANUELE giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
TORO ASSICURAZIONI S.P.A., AZIENDA OSPEDALIERA MATERNO INFANTILE OIRM
S. ANNA, ASSITALIA S.P.A. , GESTIONE LIQUIDATORIA REGIONE PIEMONTE;
- intimati -
sul ricorso 15986/2007 proposto da:
GESTIONE LIQUIDATORIA DELLA REGIONE PIEMONTE in persona del Direttore
Generale p.t. dell'azienda ospedaliera OIRM S. ANNA in funzione di
commissario liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell'avvocato CONTALDI
MARIO che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato GALLENCA
GIUSEPPE giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
M.F., TORO ASSICURAZIONI S.P.A. AZIENDA OSPEDALIERA
OIRM S. ANNA, M.S., ASSITALIA S.P.A., A.V.I.S.
ASSOCIAZIONE VOLONTARI ITALIANI DEL SANGUE, R.A.;
- intimati -
sul ricorso 16002/2007 proposto da:
TORO ASSICURAZIONI S.P.A. 13432270158 in persona del Presidente e
Amministratore Delegato Dott. D.P.L., elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE CARLO FELICE 103, presso lo studio
dell'avvocato BERCHICCI GIANCARLO, rappresentata e difesa
dall'avvocato FOSSATI MASSIMO giusta delega in atti;
- ricorrente -
e contro
AVIS ASSOCIAZIONE VOLONTARI ITALIANI DEL SANGUE, M.
S., M.F., AZIENDA OSPEDALIERA MATERNO INFANTILE
O.I.R.M. S. ANNA, ASSITALIA S.P.A., GESTIONE LIQUIDATORIA DELLA
REGIONE PIEMONTE, R.A.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 534/2006 della CORTE D'APPELLO di TORINO,
depositata il 28/03/2006, R.G.N. 1604/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
27/11/2012 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIAGALONE;
udito l'Avvocato GIUSEPPE GALLENCA;
udito l'Avvocato GIANLUCA CORLEONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GOLIA Aurelio, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso
principale e rigetto del ricorso incidentale non condizionato,
rigetto del ricorso incidentale condizionato.
Fatto
IN FATTO E IN DIRITTO
1. - M.F. e R.A., agendo sia in proprio che quali genitori-legali rappresentanti della minore M. S., convenivano in giudizio l'Azienda Ospedaliera(OMISSIS) e la Gestione Liquidatoria dell'USL (OMISSIS) chiedendone la solidale o alternativa condanna al risarcimento dei danni correlati alla contrazione del virus dell'epatite C da parte della minore in conseguenza di cinque emotrasfusioni eseguite tra il (OMISSIS). Mentre la Gestione Liquidatoria non si costituiva.
l'Azienda Ospedaliera si costituiva chiedendo il rigetto della domanda e promuovendo la chiamata in giudizio dell'AVIS e dell'Assitalia per essere manlevata in caso di soccombenza. L'AVIS, nel costituirsi, promuoveva - a propria volta - la chiamata quale ulteriore terza della Toro Assicurazioni, propria compagnia assicuratrice, che pure si costituiva. Il Tribunale dichiarava la carenza di legittimazione passiva dell'Azienda Ospedaliera e della Gestione Liquidatoria e, per l'effetto, la carenza di legittimazione passiva dell'AVIS, dell'Assitalia e della Toro.
2. - Con la sentenza oggetto delle presenti impugnazioni, depositata il 28.3.2006, la Corte d'Appello di Torino, in parziale riforma di quella di primo grado, ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva della Gestione liquidatoria, ma ha respinto la domanda risarcitoria. In particolare, ha affermato:
2.1. - in via preliminare, nessun rapporto processuale era stato instaurato in primo grado tra gli attori e l'AVIS, come si evinceva dal raffronto fra le conclusioni di primo grado, come precisate all'udienza del 20.3.01, con richiamo a quelle di citazione; solo con l'atto d'appello, i M. avevano formulato domande dirette nei confronti dell'AVIS, così come delle altre chiamate, trattandosi all'evidenza di domande nuove e come tali inammissibili;
2.2. - il Giudice di prime cure aveva escluso erroneamente la legittimazione passiva della Gestione Liquidatoria, che è l'organo destinato a prolungare la soggettività dell'ente soppresso, secondo il complesso (e per vero confuso) sistema normativo intervenuto verso la metà degli anni 90 in sede di riforma del sistema sanitario nazionale con il passaggio dalle unità Sanitarie Locali alle nuove Aziende. Secondo il prevalente insegnamento, è verissimo che la Regione quale peculiare soggetto successore a titolo particolare ex lege del rapporto controverso poteva intervenire in giudizio, ma poichè tale successione è avvenuta con l'istituzione di procedure liquidazione in capo ad apposite gestioni (facenti capo a commissari liquidatori nella persona de direttore generale delle nuove Aziende comprendenti le USL soppresse, L. n. 549 del 1995, ex art. 2, comma 14), queste hanno autonoma soggettività e legittimazione;
2.3. - nel merito, la domanda di condanna al risarcimento dei danni non poteva essere accolta. M.S. ha contratto il virus dell'epatite cronica di tipo C tra il (OMISSIS), tra i quattro e i nove giorni dalla nascita, a seguito di cinque trasfusioni di plasma cui era stata sottoposta, in preparazione e in occasione di un intervento chirurgico. Alla stessa era stato riconosciuto l'indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992. Vi era stata anche un'indagine in campo penale, conclusasi con l'archiviazione. 11 nesso causale tra le trasfusioni di plasma e la contrazione dell'infezione si poteva ritenere in base a un criterio probabilistico, in base alla ricostruzione della storia clinica di M.S. (dalla sua storia familiare e personale non emergevano altre possibilità suggestive per il contagio). Del resto, la stessa Commissione dell'ospedale militare di Medicina Legale di (OMISSIS), dopo la visita nel (OMISSIS) aveva ritenuto soddisfatti i criteri medico-legali per una correlazione tra le trasfusioni e l'infermità, liquidando l'indennizzo in ottemperanza alla L. n. 210 del 1992. Tuttavia, la probabile origine dalle trasfusioni dell'infezione dell'epatite C contratta da M.S., pur essendo stato riconosciuto l'indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, non poteva essere fonte di responsabilità, perchè, secondo quanto accertato dalla CTU, il virus in questione è stato individuato e donato nel (OMISSIS) e solo dal (OMISSIS) sono divenuti disponibili i tests di screening, ossia successivamente alle trasfusioni indicate in causa. Come rilevato in un importante precedente giurisprudenziale sul punto (Cass. n. 11609 del 31 maggio 2005), poichè non erano conosciuti dalla scienza medica mondiale i virus HIV, HBV e HCV e quindi i relativi tests di identificazione, l'evento infettivo da detti virus era già astrattamente inverosimile in quanto sconosciuto: conseguentemente, all'interno delle serie causali può darsi rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l'omissione causante e non successivamente, non appaiono del tutto inverosimili (non può quindi rilevare l'omessa effettuazione dei predetti tests). Nella fattispecie poi, la non conoscenza oggettiva dei virus in questione e l'impossibilità di accertarne l'esistenza, se non da una data certa, rilevavano anche sotto il profilo di esclusione della colpevolezza. La responsabilità da omissione sorge, secondo l'ordinario criterio della colpa, ogni volta che il danno poteva essere prevenuto ed evitato, con giudizio ex ante fondato sulla prevedibilità dello stesso: la prevedibilità ed evitabilità del danno costituiscono requisiti essenziali nel contesto dei criteri per l'imputazione a titolo di colpa e per giudicare la natura colposa della condotta. Da qui la necessità che il fatto sia prevedibile, perchè ciò che è imprevedibile è anche, per definizione, non prevenibile. Nel caso di specie, sarebbero mancati la prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso, difettando sia la conoscenza del virus sia a fortiori quella dei metodi (e quindi la possibilità materiale) per rilevarne resistenza.
2.4. - respinta quindi la domanda risarcitoria, la Corte aveva anche respinto la richiesta dei M. volta alla rinnovazione della CTU, per non aver ti loro consulente replicato ad altra memoria di parte, rilevando che la CTU si era svolta nel contraddittorio delle parti, posto che, dopo la visita di S., alla sola presenza dei genitori, il CTU aveva incontrato i consulenti di parte, assenti peraltro il secondo consulente dei M. e quello dell'Assitalia, mentre era presente il Dott. C..
2.5. - quanto alla necessarictà o meno della sottoposizione di M.S. alle trasfusioni, il CTU nominato aveva compiutamente risposto ai quesiti formulati, dando conto delle obiezioni sollevate, e dopo l'esame di tutta la precedente documentazione, comprese le relazioni degli appellanti. Dalla relazione risulta che a M.S. era stata diagnosticata, dopo due giorni dalla nascita, una stenosi intestinale, rivelatasi, all'atto dell'intervento, causata da malformazione genetica. La CTU aggiungeva che, peraltro, che S. doveva affrontare un intervento chirurgico non definibile in partenza, poichè fino all'apertura dell'addome, non era conosciuta la portata della malformazione, che essa non aveva potuto ricevere alimentazione per bocca e neppure con un sondino nasogastrico. Ella era pertanto carente di ogni apporto proteico ed il fegato di un neonato non è capace di sintesi a partenza da amminoacidi. La CTU aggiungeva che vi era quindi il rischio di deficit di fattori della coagulazione, specie di quelli della vitamina E dipendenti, già responsabili di sindromi emorragiche in neonati normali. La CTU aveva anche compiutamente risposto alle osservazioni del CT di parte attrice dott. C. svolte in sede di operazioni peritali, replicando che la somministrazione di plasma nella situazione di un neonato, quale era S., del tutto impossibilitata all'assunzione di proteine per via naturale e nella necessità di affrontare un intervento chirurgico non differibile, era atto necessario.
3. - Propongono ricorso per cassazione i M., per i seguenti motivi:
3.1. - Omessa/insufficiente/contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla necessarietà della trasfusione plasmatica e chiede alla Corte "se il Giudice, in caso di adesione alle conclusioni della C.T.U..
a) deve indicare le ragioni che lo inducono a disattendere le critiche e le diverse allegazioni difensive di parte, quando queste siano specifiche e particolareggiate;
b) non può recepire acriticamente le conclusioni del CTU quando l'operato di costui sia stato posto in discussione con specifiche censure, potenzialmente idonee ad incidere sulla soluzione della controversia, avendo egli (Giudice) in questo caso l'obbligo di prendere in esame tali rilievi sia per verificarne la fondatezza mediante il rinnovo dell'indagine tecnica, sia per disattenderli con adeguata motivazione;
c) deve, quando all'operato del consulente tecnico vengano avanzati specifici rilievi in un momento successivo al deposito della relazione, se il giudice ritenga di doversi uniformare al parere peritale, prendere in esame tali contrarie argomentazioni, che non hanno potuto ricevere risposta dal consulente ed esporre le ragioni per le quali le giudica infondate, sempre che tali contrarie argomentazioni siano precise e puntuali e corroborate da elementi probatori decisivi in senso favorevole alla tesi del deducente.
d) La libertà del Giudice di condividere o di disattendere le risultanze della consulenza tecnica trova il medesimo limite garantistico - ai sensi del precetto generale sancito dall'art. 111 Cost., comma 1 - nel dovere di fornire comunque un'adeguata motivazione al suo apprezzamento, in stretto rapporto con un'attenta valutazione di tutti gli elementi concreti sottoposti al suo esame.
e) In quanto peritus peritorum il Giudice è comunque tenuto a riesaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo dall'ausiliare, alla luce dei dettami della scienza specializzata nonchè delle valutazioni in tema di causalità giuridica".
3.2.a. - Omessa/insufficiente/contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla prevedibilità/prevenibilità dell'evento dannoso, in quanto la dichiarazione di non conoscenza del virus dell'epatite C (non-A e non- B) nel 1989 e quindi della trasmissione dell'infezione sarebbe assolutamente infondata e priva di giustificazione.
3.2.b. -- Violazione/falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento all'art. 113 c.p.c., nonchè agli artt. (N.d.R.: non specificati, ma verosimilmente riferibile a quelli indicati nella trattazione del motivo) e chiede alla Corte se:
a) l'attività di manipolazione di plasma sanguigno ha natura di attività pericolosa, in quanto da sempre esso può essere veicolo di malattie ed infezioni, e va disciplinata ai sensi dell'art. 2050 c.c.;
b) la conseguente presunzione di colpa che sorge a carico dell'esercente un'attività potenzialmente rischiosa per la collettività comporta che all'attività stessa debba essere imposto un elevato standard di diligenza, poichè l'esonero da responsabilità e riconosciuto soltanto quando il convenuto dia prova di avere impiegato ogni cautela, anche la più remota od ancora sperimentale, idonea ad impedire il fatto dannoso;
c) l'avere conosciuto dell'esistenza del virus dell'epatite non-A e non-B e della possibilità di trasmetterlo attraverso il sangue, e il non avere adottato tutte le cautele di trattamento per il sangue possibili e conosciute all'epoca della trasfusione, atte a scongiurare la trasmissione dell'agente patogeno, pur in assenza di norme cogenti in questo senso non sottrae (n.d.r. da responsabilità) chi confezioni, raccolga, distribuisca e somministri il sangue stesso;
d) la"conosccnza" del virus, non coincide con l'identificazione del genoma del medesimo nè con la conseguente preparazione del vaccino, che ben può venire ad esistenza dopo - e tra l'altro quasi sempre è così - la scoperta dell'agente patogeno e che non cautela dal rischio di trasfusione di sangue prelevato anteriormente alla messa a punto de vaccino, evitabile solo con trattamenti effettuati sul sangue medesimo.
3.3. - Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al combinato disposto di: L. n. 502 del 1992 (art. 21, commi 1 e 2; art. 3, comma 1 bis; art. 5); L. n. 724 del 1994 (art. 6); L. n. 549 del 1995 (art. 214); L.R. Piemonte n. 8 del 1995 (artt. 38, 39, 40, n. 2 e 46); L.R. Piemonte n. 69 del 1996 (art. 5); L.R. Piemonte n. 39 del 1994 (artt. 1, 5 e 11).
In relazione a tale motivo, chiede alla Corte se:
a) le Aziende Ospedaliere, sono subentrale integralmente alle USL:
b) i patrimoni delle due entità pubbliche sono stati separati ed inventariati;
c) la gestione separata delle USL attiene ai soli rapporti obbligatori di valuta;
d) alla gestione separata (stralcio o liquidatoria) non è stata conferita personalità giuridica, se non per la gestione separata del portafoglio (responsabilità patrimoniale):
e) con riferimento alla USSL (OMISSIS), la sostituzione è stata integrale e diretta, senza stralcio del patrimonio.
i) l'Azienda ospedaliera (OMISSIS) era e rimane l'unico contraddittore sostanziale nelle cause di risarcimento del danno da trasfusione, anche a voler sostenere che l'onere risarcitorio debba essere sopportato da altro soggetto;
g) la Gestione liquidatoria della Regione Piemonte, laddove legittimata passivamente al risarcimento, tale sarebbe soltanto in quanto detentrice del portafoglio sul quale far gravare il diritto risarcitorio e non in quanto titolare del rapporto giuridico sottostante, passato all'Azienda Ospedaliera.
3.4. - Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 102, 106 e 345 c.p.c. e chiede alla Corte se "'nei confronti del soggetto che sia stato chiamato in causa dal convenuto nella qualità di soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall'attore, la domanda attrice si estende automaticamente, senza necessità di espressa istanza nè di estendere formalmente le conclusioni nei confronti di tale soggetto e tale domanda può essere formulata ex nova in appello".
4. La Gestione liquidatoria resiste con controricorso e chiede rigettarsi il ricorso principale. Propone ricorso incidentale perchè la sentenza impugnata:
4.1.- quanto alla ritenuta propria legittimazione passiva, sarebbe viziata da violazione di legge con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al combinato disposto del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, L. n. 724 del 1994, art. 6, L. n. 549 del 1995, art. 2 e - ancora - con l'art. 100 c.p.c. e chiede che la Corte risponda negativamente al quesito se un organo della Regione stessa, carente di soggettività propria, possa assumere la qualità di legittimato processuale passivo in luogo della Regione per il solo fatto che gli sia attribuita la capacità di gestire rapporti economici facenti capo alla Regione:
4.2. - quanto al nesso di causalità fra trasfusione e infezione, avrebbe violato l'art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 2043 e 1218 cod. civ., con riferimento agli artt. 2697 e 2727 e seguenti stesso codice ed all'art. 40 cod. pen. e chiede che questa Corte dia risposta negativa al quesito se possa ritenersi raggiunta sufficiente certezza in ordine all'esistenza di un nesso di causalità fra una trasfusione ed una infezione allorquando fra tale pratica terapeutica (causa) e l'accertamento dell'infezione (effetto) siano intervenuti altri fatti che avrebbero potuto causare il medesimo effetto.
5. - Resiste con controricorso anche la Toro Assicurazioni e chiede respingersi il ricorso principale. In via condizionata, propone ricorso incidentale deducendo:
5.1. - Violazione ed errata applicazione dell'art. 345 c.p.c. con riferimento al rapporto sostanziale e processuale tra essa Toro e la Gestione liquidatoria e chiede alla Corte "se il convenuto, rimasto contumace in primo grado, si sottragga o meno, ove si costituisca in appello, al divieto di domande nuove sancito dall'art. 345 c.p.c. e, quindi se possa o meno, in tale grado di giudizio, avanzare domande sostanzialmente riconvenzionali, contro l'attore, ovvero contro altri convenuti non proposte benchè proponibili avanti al Giudice di prime cure";
5.2. - Violazione ed errata applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione ai rapporti processuali e sostanziali intercorrenti tra la Compagnia e l'AVIS, e chiede alla Corte "se tenuto conto propriamente del principio precettivo contemplato dall'art. 112 c.p.c., il Giudice di merito, possa o meno attribuire ad una delle parti un bene non richiesto o, comunque, emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda e, cioè, che tragga fondamento da fatti costitutivi mai allegati a conforto della stessa";
5.3. - Omesso esame, da parte della Corte territoriale, delle eccezioni proposte dalla predetta Compagnia, in relazione alla pretesa di garanzia nei suoi confronti azionata dall'AVIS, e chiede alla Corte:
5.3.a. - se, nell'ipotesi in cui la medesima assicurazione o l'assicurazione di rischi relativi alle stesse cose sia ripartita tra più assicuratori per quote determinate, ciascun assicuratore sia tenuto - o meno - al pagamento dell'indennità assicurata soltanto in proporzione alla rispettiva quota anche se umico sia il contratto sottoscritto da tutti gli assicuratori;
5.3.b. - se l'assicuratore per la responsabilità civile sia o meno tenuto a manlevare il proprio assicurato dalle richieste risarcitorie avanzate da terzi danneggiati soltanto nei limiti del massimale di polizza contrattuale pattuito".
6. - Resiste con controricorso anche l'AVIS e chiede respingersi il ricorso principale.
L'AVIS, la Gestione liquidatoria e la Toro hanno presentato memoria a norma dell'art. 378 c.p.c..
7. - I ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
8. - Il primo e il quarto motivo del ricorso principale dei M. ed il ricorso incidentale della Toro Assicurazioni si rivelano inammissibili ex art. 366 bis c.p.c. per inidoneità della formulazione dei relativi momenti di sintesi e quesiti di diritto.
8.1. - Infatti, l'art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata depositata il 28.03.2006), prevede le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la declaratoria d'inammissibilità del ricorso, ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ. (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata); è richiesta un'illustrazione che. pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in un'esposizione chiara e sintetica del fatto controverso - in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria - ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09). Infatti, il momento di sintesi, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). E' necessaria la chiara indicazione delle ragioni per le quali le dedotte insufficienze della motivazione la rendano inidonea a sorreggere la decisione, di modo che manca l'adeguata sintesi, che circoscriva puntualmente i limiti della doglianza, in modo da non ingenerare incertezze nella formulazione del ricorso e nella valutazione della sua ammissibilità (Cass. S.U. n. 20603/2007 e 16528/2008: Cass. n. 27680/2009, ord.). L'individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta, perciò. impropriamente rimessa all'attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470/08), che, invece, deve essere posta in condizione di comprendere dalla sola lettura del momento di sintesi quale sia l'errore commesso dal giudice di merito (Cass. n. 24255/2011).
Inoltre, ove ci si trovi in presenza dei motivi previsti dall'art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ciascuna censura, all'esito della sua illustrazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 bis, deve tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall'art. 384 cod. proc. civ., all'enunciazione del principio di diritto ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza. Il quesito di diritto si rivela inidoneo in alcuni casi, in quanto non può consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell'interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l'enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all'esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand'anche le ragioni dell'errore e della soluzione che si assume corretta siano invece - come prescritto dall'art. 366 c.p.c., n. 4 - adeguatamente indicate nell'illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all'art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell'abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v.
Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007. n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l'errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare. Il quesito deve tassativamente contenere, pena la sua inidoneità, adeguati riferimenti in fatto (circa l'oggetto della questione controversa, nè circa la sintesi degli sviluppi della controversia sullo stesso, nè la precisa indicazione delle effettive ragioni della decisione oggetto delle critiche dei ricorrenti), ed esporre chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s'invoca l'applicazione, non limitandosi ad una enunciazione di carattere generale ed astratto che, in quanto priva di chiare e specifiche indicazioni sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consenta di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Inoltre, il quesito di diritto non può risolversi in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536; Cass. 25/3/2009 n. 7197).
8.2. - Nella specie, in particolare, quanto al primo motivo di ricorso dei M. (ex art. 360 c.p.c., n. 5), il relativo momento di sintesi non evidenzia con chiarezza le ragioni per cui la necessità della trasfusione plasmatica sia stato fatto controverso tra le parti nel processo di merito, nè la sua decisività ai fini del giudizio. Piuttosto, il ricorrente formula tutta una serie di generici ed astratti quesiti in ordine ad altrettante pretese omissioni motivazionali del giudice d'appello - specificamente riguardanti le conclusioni cui è pervenuta la CTU nel senso della necessità della trasfusione medesima - tutti privi di esplicita correlazione con la fattispecie concreta e che non consentono a questa Corte di comprendere ictu oculi la parte della decisione di cui il ricorrente censura il vizio logico motivazionale e per quali motivi. Pertanto, questa Corte non è messa in grado di valutare dalla sola lettura del momento di sintesi, per effetto dell'errata formulazione del medesimo, quale sia l'errore commesso dal giudice di merito e quindi di valutarne con ragionevole certezza l'ammissibilità e a fortiori la fondatezza.
8.3. - In relazione al quarto motivo di ricorso dei M., che censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di norme processuali (artt. 102, 106 e 345 c.p.c.), il quesito di diritto si rivela inadeguatamente formulato sulla base delle su esposte coordinate interpretative. Esso si rivela del tutto astratto e generico, privo di ogni riferimento alla concreta vicenda processuale e quindi rende impossibile per questa Corte la formulazione di una regula iuris da applicare in concreto e che sia suscettibile di essere ripetuta in ulteriori ipotesi.
8.4. - I tre motivi formulati dal ricorrente incidentale Toro Assicurazioni si rivelano tutti inammissibili.
I primi due - che censurano ex art. 360 c.p.c., n. 3), la violazione delle norme processuali di cui agli artt. 345 e 112 c.p.c. - presentano evidenti difetti di formulazione dei relativi quesiti di diritto, anch'essi inidonei a determinare l'espressione di una regula iuris da parte di questa Corte, essendo de tutto tautologici, privi di qualunque legame descrittivo con la fattispecie concreta e non consentendo di valutare ictu oculi i riflessi della pronuncia sulla decisione del giudice di merito (il loro corpo non specifica, a titolo meramente esemplificativo, quali sarebbero le domande nuove formulate e accolte contrariamente a quanto disposto dall'art. 345 e quale sia stata la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato). Essi non rispecchiano, in sostanza, lo schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08): tutto ciò non emerge dalla presente formulazione in quanto manca la descrizione precisa del fatto ed altresì il confronto tra regula iuris invocata dal ricorrente e principio applicato dal giudice di merito. E, ciò quand'anche le ragioni dell'errore e della soluzione che si assume corretta si possano invece ritenere adeguatamente indicate nell'illustrazione del motivo ex art. 366 c.p.c., n. 4) non potendo la norma di cui all'art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell'abrogazione tacita della norma in questione (Cass., 20 giugno 2008 n. 16941).
Quanto al terzo motivo formulato dal ricorrente incidentale Toro Assicurazioni, è anch'esso inammissibile. In primo luogo, si deve ribadire che il ricorso per cassazione è mezzo di impugnazione a critica vincolata, basato sui motivi tassativamente previsti ex art. 360 c.p.c. e pertanto non è possibile censurare l'omesso esame di eccezioni proposte nel grado precedente senza aggancio specifico a uno dei su esposti motivi. Inoltre, la formulazione dei quesiti di diritto è inidonea, essendo essi del tutto privi di qualunque legame con il concreto e specifico contesto negoziale del rapporto assicurativo e di qualunque riferimento alla fattispecie concreta.
tanto che non consentono l'enunciazione di una regula iuris applicabile al caso di specie.
9, - Seguendo l'ordine logico delle questioni, vanno ora trattati congiuntamente il terzo motivo del ricorso principale dei M. e il primo motivo del ricorrente incidentale Gestione Liquidatoria, in quanto ambedue attinenti alla legittimazione passiva della Gestione medesima. Essi sono infondati, perchè la Corte territoriale ha, sul punto, fatto buon governo dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, sostanzialmente affermando la legittimazione passiva non dell'Azienda Ospedaliera OIRM S. Anna, ma della Gestione Liquidatoria della USL (OMISSIS), che è l'organo destinato a prolungare la soggettività dell'ente soppresso, secondo il sistema normativo intervenuto verso la metà degli anni 90 in sede di riforma del sistema sanitario nazionale con il passaggio dalle unita Sanitarie Locali alle nuove Aziende. Secondo il prevalente insegnamento (Cass. n. 9315 del 2010), la successione ex lege delle Regioni è avvenuta con l'istituzione di procedure liquidazione in capo ad apposite gestioni (facenti capo a commissari liquidatori nella persona del direttore generale delle nuove Aziende comprendenti le USL soppresse, L. n. 549 del 1995, ex art. 2, comma 14). le quali hanno autonoma soggettività e legittimazione. Per le obbligazioni anteriori al 31 dicembre 1994 la legittimazione passiva non grava sulle ASL, istituite con D.Lgs. n. 502 del 1992, ma sulle gestioni stralcio, individuando l'ufficio responsabile delle stesse. Poi, con L. n. 549 del 1995, l'art. 2, comma 14, ha disposto che le Regioni attribuiscono ai direttori generali delle ASL le funzioni di commissari liquidatori delle soppresse USSLL e così le gestioni a stralcio di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 1, sono trasformate in Gestioni Liquidazione e il D.L. n. 553 del 1995, art. 2, comma 1, ha confermato che la contabilità economico - finanziaria e patrimoniale e la contabilità finanziaria delle USSLL e delle Aziende ospedaliere, per gli anni precedenti al 1995, sono garantite dalla Regioni che ne assumono le obbligazioni. Pertanto, le ASL non sono subentrate nei rapporti delle UUSSLL perche l'istituzione delle gestioni stralcio aveva lo scopo di tenere separate le attività di accertamento e le obbligazioni delle USL da quelle delle neo istituite ASL. In sintesi, per effetto della L. n. 724 del 1994, art. 6, si è realizzata una successione "ex lege" della Regione nei rapporti obbligatori già di pertinenza delle USL, attraverso la creazione di apposite gestioni stralcio, fruenti della medesima soggettività dell'ente soppresso (prolungata durante la fase liquidatoria): la legittimazione processuale attiva e passiva spetta alla USL soppressa, la cui soggettività continua nella gestione stralcio per tutta la fase liquidatoria. rappresentata dal commissario della neo istituita ASL. Pertanto, si deve confermare la correttezza della decisione della Corte torinese, che ha affermato sussistente la legittimazione passiva della Gestione Liquidatoria.
10. - Il secondo motivo del ricorso incidentale proposto dalla Gestione Liquidatoria - con cui si censura un vizio di violazione e falsa applicazione di legge in ordine all'accertamento del nesso di causalità tra la trasfusione praticata a M.S. e il contagio da epatite C. prospettando la possibile interferenza di fattori causali alternativi- appare infondato e da rigettare.
Infatti, esso fa valere sotto il profilo della violazione di legge ex art. 360 n. 3) una censura logica che in realtà potrebbe in astratto rientrare soltanto nel vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5). In ogni caso, il motivo così riqualificato in base al principio di conservazione, è comunque da rigettare in quanto la Corte territoriale ha ben illustrato e motivato che il nesso causale tra le trasfusioni di plasma e la contrazione dell'infezione si può ben ritenere in base a un criterio probabilistico, in base alla ricostruzione della storia clinica di M.S. (in quanto dalla sua storia familiare e personale non emergono altre possibilità suggestive per il contagio): pertanto, il presente accertamento di fatto sulla sussistenza materiale del nesso causale in base al noto criterio del "more probably that not" che presiede alla causalità civile appare congruamente motivato dai giudici d'appello e come tale incensurabile nel merito in sede di legittimità.
11. - E' invece fondato, nei termini di seguito precisali, il secondo motivo del ricorso dei M., che censura ai sensi dell'art. 360, nn. 3) e 5) la decisione della Corte di Appello in punto di prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso, sia sotto il profilo del vizio di motivazione (in quanto la dichiarazione di non conoscenza del virus dell'epatite C nel (OMISSIS) e quindi della trasmissione dell'infezione sarebbe assolutamente infondata e priva di giustificazione), sia sotto il profilo di plurime violazioni di legge.
11.1. - La Corte d'Appello di Torino ha ritenuto la non prevedibilità e prevenibilità del rischio di contagio da HCV e quindi dell'evento dannoso subito da M.S.. La dichiarazione di non conoscenza del virus dell'epatite C nel 1989 e quindi della trasmissione dell'infezione-asseritamente infondata e priva di giustificazione - influirebbe senz'altro nel caso di specie sulla configurabilità della responsabilità civile per danno da emotrasfusione. La Corte d'Appello, facendo esplicito e puntuale riferimento a Cass. n. 11609 del 2005. ha osservato che la probabile origine dalle trasfusioni dell'infezione dell'epatite C contratta da M.S. non poteva essere fonte di responsabilità, perchè, secondo quanto accertato dalla CTU, il virus in questione è stato individuato e donato nel (OMISSIS) e solo dal (OMISSIS) sono divenuti disponibili i tests di screening, ossia successivamente alle trasfusioni indicate in causa. Poichè non erano conosciuti dalla scienza medica mondiale i virus HIV, HBV e HCV e quindi i relativi tests di identificazione (stante quindi la mancata conoscenza oggettiva dei virus in questione e l'impossibilità di accertarne l'esistenza, se non da una data certa) la colpevolezza doveva essere esclusa, non sussistendo la prevedibilità ex ante ed evitabilità del danno ai fini di un'imputazione della condotta a titolo di colpa.
In sostanza, la responsabilità per colpa dei sanitari era stata esclusa dalla Corte territoriale sulla base dell'osservazione che l'evento era imprevedibile, in quanto gli operatori sanitari non potevano conoscere la capacità infettiva di detti virus prima della comunità scientifica.
11.2. - Tuttavia, tale capo della decisione non resiste alle censure mosse, in quanto, in punto di diritto, non si rivela in armonia con la successiva evoluzione della giurisprudenza di questa Corte in argomento (Cass. n. 9315 del 2010; Cass. n. 17685 del 2011).
11.3. - Infatti, l'iter motivazionale della Corte piemontese trascura che l'esecuzione della trasfusione senza neppure effettuare il test per accertare la presenza di infezioni del sangue è gravemente colpevole ed in violazione del D.M. 18 giugno 1971, art. 65, e segg.
e D.P.R. n. 1256 del 1971, art. 44, perchè all'epoca erano già conosciuti a decorrere dal 1978 sia l'epatite B (virus HBC) che dal 1985 l'AIDS (il virus HIV), i cui test erano già disponibili: tate accertamento avrebbe impedito anche il contagio di altri virus ancora sconosciuti (tra cui il virus IICV dell'epatite C). dunque l'evento era prevedibile e prevenibile. La più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. SS.UU. n. 581 del 2008), infatti - in conformità con la dottrina e con parte della giurisprudenza di merito - ha ritenuto che non sussistano tre eventi lesivi (come se si trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti), ma un unico danno- evento prevedibile ed evitabile (lesione dell'integrità fisica e segnatamente del fegato), per cui è unico il nesso causale:
trasfusione con sangue infetto - contagio con sangue infettivo - lesione dell'integrità fisica. Pertanto, già e soltanto a partire dal 1978 (data di conoscenza dell'epatite B), è configurabile la responsabilità in ordine al contagio degli altri due virus ( M.S. è stata sottoposta a trasfusioni ematiche nel 1988). che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell'integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto, il cui controllo è stato omesso.
11.4. - Si deve convenire, pertanto, con quanto affermato dal ricorrente, nel senso che le cautele prescritte in materia trasfusionale non sono poste a tutela contro il rischio specifico di un determinato virus (noto o meno che sia alla comunità scientifica), bensì contro il rischio della lesione dell'integrità psico-fisica valutata nella sua unitaria complessità, in considerazione della potenzialità nociva intrinseca del sangue umano. Come icasticamente affermato dalle stesse SS.UU. n. 581 del 2008, il rischio di contagio - lungi dall'essere imprevedibile e inevitabile - è "antico come la necessità delle trasfusioni": il verificarsi dell'infezione, in base ai principi di regolarità causale, lungi dall'essere evento eccezionale ed autonomo rispetto alla trasfusione, è conseguenza possibile e perciò prevenibile di una terapia necessaria. Ciò assorbe la questione se la scoperta e conoscenza del virus coincida o meno con l'identificazione del genoma e la conseguente preparazione del vaccino, nonchè l'asserito errore temporale della Corte d'Appello che ha ritenuto, in base a un proprio accertamento di fatto, non ancora esistenti i tests per la diagnosi dell'epatite C al tempo della trasfusione.
11.5. - Per quanto concerne l'invocata applicabilità dell'art. 2050 c.c. - che prevede una presunzione di colpa e quindi un elevato standard di diligenza (nel senso di gravare il danneggiarne della prova di aver adottato ogni cautela necessaria ad evitare il danno) - si osserva:
a) essendo la domanda risarcitoria proposta nei confronti di una struttura ospedaliera pubblica ed essendo intervenuto un contratto di assistenza sanitaria tra i M. e l'Azienda Ospedaliera (OMISSIS), la responsabilità della struttura è governata dalla norme di cui all'art. 1218 c.c., e segg., e non dalle norme in materia di illecito aquiliano ex art. 2043 c.c., e segg., tra cui l'art. 2050 c.c.;
b) ai fini dell'applicazione del relativo regime di responsabilità, rileva normalmente la fonte del rapporto obbligatorio individuata ai sensi dell'art. 1173 c.c. (in tal caso contratto e non fatto illecito).
11.6. - Tuttavia, pur non applicandosi l'art. 2050 c.c. con la relativa presunzione di colpa, è configuratole, sussistendone in concreto le circostanze, una negligente omissione delle cautele necessarie da parte dei medici che hanno praticato le trasfusioni, causalmente rilevante ai fini della produzione dell'evento dannoso (contagio da epatite C), con conseguente possibilità di ravvisare la responsabilità della struttura ospedaliera.
11.7. - Infatti, come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ., sez. 3, n. 9315 del 2010), in materia di colpa professionale e nesso di causalità per il contagio derivato dalla trasfusione di sangue infetto, è ius reception (SS. UU. n. 576, 578, 581, 582 e 584/2008) che già a decorrere dagli anni 60/70 sussistevano obblighi normativi (L. n. 592 del 1967; D.P.R. n. 1256 del 1971 che all'art. 44 prescriveva di controllare se il donatore di sangue era stato affetto da epatite virale vietandone in tal caso la trasfusione ad altri; L. n. 519 del 1973; L. n. 833 dei 1973) di controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto. Già a decorrere dalla metà degli anni 60, erano esclusi dalla possibilità di donare il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e della GPT - indicatori della funzionalità epatica - erano alterati rispetto ai renges prescritti; già a partire dalla data di rilevazione diagnostica dell'epatite B (1978) era obbligatoria la ricerca della presenza dell'antigene B in ogni singolo campione di sangue o plasma e già dal 1985 era obbligatoria la ricerca del virus HIV. Si evince altresì (e la giurisprudenza di merito ne aveva dato diffusamente conto) come fosse già noto dalla fine anni 60-inizi anni 70 il rischio di trasmissione di epatite virale, la rilevazione (indiretta) dei virus, essendo possibile già mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell'anti-HbcAg (Cass. n. 6241 del 15 luglio 1987: Cass. n. 8069 del 20 luglio 1993).
11.8. - Era dunque configurabile, secondo le leges artis, già ai tempi della trasfusione praticata a M.S., per il medico e la struttura sanitaria nella quale operava, già nel 1988, l'obbligo di non effettuare trasfusioni non testale, dovendo egli ricorrere anche a strutture esterne, se non disponibili strumentazioni adeguate per le rilevazioni di laboratorio presso il centro dove era ricoverata la paziente. Pertanto, l'inosservanza della normativa innanzi richiamata, del protocollo e delle linee guida delle leges artis - disposta proprio allo scopo di evitare i rischi specifici di contagio che nella fattispecie si sono verificati (e pertanto, come anzidetto, prevedibili) - non configura una responsabilità extracontrattuale nell'esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 c.c., ma un grave inadempimento contrattuale del sanitario (imputabile anche alla struttura ospedaliera ex art. 1228 c.c, Cass. n. 13957 del 2007) e può essere prospettata come causa del contagio di M.S., poichè se fosse stato testato il sangue del donatore la trasmissione della malattia non si sarebbe verificata (SS. UU. n. 581 del 2008).
11.9. - In sintesi, ricorrendo sia la grave condotta inadempiente dei sanitari (che hanno omesso il controllo dovuto), sia il nesso causale tra inadempimento ed evento contagioso (che la Corte d'Appello ha ricostruito in termini probabilistici con l'esclusione di fattori eziologici alternativi per il contagio), sia il danno-evento prevedibile ed evitabile, è configurabile una responsabilità per inadempimento ex artt. 1218 e 1228 c.c. della struttura ospedaliera.
Pertanto, respinte tutte le altre ccnsure, va accolto il secondo motivo del ricorso dei M.. La sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata alla medesima Corte territoriale, in diversa composizione, affinchè proceda a nuovo esame dell'impugnazione dei M. alla luce dei principi di diritto di cui al par. 11, non sussistendo, diversamente da quanto prospettato al punto 5 del ricorso principale, i presupposti per una pronuncia di carattere rescissorio ai sensi dell'art. 384 c.p.c., in quanto appaiono necessari ulteriori accertamenti di fatto. Il giudice di rinvio provvederà in ordine alle spese. incluse quelle de presente giudizio di legittimità.
PQM
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi. Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, respinge gli altri motivi e rigetta i ricorsi incidentali. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Torino in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2013
11-04-2013 18:32
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