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Sentenza

Compra del marmo scadente, ma non denunzia i vizi entro 8 giorni....
Compra del marmo scadente, ma non denunzia i vizi entro 8 giorni.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 24 aprile – 21 maggio 2013, n. 12384
Presidente Goldoni – Relatore Carrato

Osserva

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 22 gennaio 2013, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c.: “Con atto del 7 novembre 1994, il sig. B. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo di pagamento n. 2024/'94 emesso nei suoi confronti dal Presidente del Tribunale di Taranto in data 5 ottobre 1994, ad istanza di T.S. , e lo conveniva in giudizio davanti al Tribunale della stessa città per ottenere la revoca del provvedimento monitorio, con la condanna dell'opposto al pagamento delle spese del giudizio. Deduceva il ricorrente la non corrispondenza, non solo della quantità del materiale fornito a quella riportata nella fattura, ma anche della qualità dello stesso, rispetto a quella pattuita. Si costituiva il sig. T. , eccependo la mancata contestazione, nei termini di cui all'art. 1495 c.c., dei vizi lamentati ed il difetto della prova scritta per la validità della dedotta transazione.
Con sentenza del 28 agosto 2005, depositata il 10 gennaio 2006, il Tribunale di Taranto revocava il decreto ingiuntivo e condannava il T. alla rifusione, in favore dell'opponente, delle spese e competenze del giudizio. Avverso tale sentenza, proponeva appello il T. , articolandolo in tre motivi: - mancato esame dell'eccezione di decadenza; - errata valutazione delle consulenze tecniche d'ufficio e delle deposizioni testimoniali; - ingiusta condanna alle spese del giudizio. La Corte d'Appello di Lecce - Sez. distaccata di Taranto, con la sentenza n.11/2011 (depositata il 12 gennaio 2011 e non notificata), accoglieva l'appello, rigettando l'opposizione del B. , sulla base della mancata o intempestiva denunzia dei vizi della cosa venduta, ritenendo assorbita ogni altra questione istruttoria e di merito. Con ricorso per cassazione (notificato il 12 settembre 2011 e depositato il 22 settembre 2011), il B.M. impugnava la richiamata decisione, deducendo un unico motivo.
Si costituiva in questa fase, con controricorso, l'intimato T.S. , invocando la dichiarazione di infondatezza del ricorso.
Ritiene il relatore che, nella specie, avuto riguardo all'art. 380 bis c.p.c. in relazione all'art. 375 n. 5) c.p.c., siano ravvisabili i presupposti per pervenire al rigetto del ricorso per sua manifesta infondatezza e, quindi, per la sua conseguente definizione nelle forme del procedimento camerale.
Il ricorrente, con l'unico e complesso motivo di ricorso formulato, ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., per assunta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1495 e 2697 c.c., nonché per omessa, contraddittoria e, comunque, insufficiente motivazione circa il punto decisivo della controversia, riguardante la sussistenza della prova sulla tempestiva denunzia dei vizi della cosa venduta.
Nello specifico, il ricorrente ha denunciato l'omessa valutazione, da parte della Corte d'Appello, del comportamento tenuto dal T. nella cronologia dei fatti, al fine di individuare il momento della scoperta dei vizi della cosa alienata, della loro contestazione e del riconoscimento degli stessi da parte del venditore. In particolare, il B. ha inteso sottolineare come, nel caso di specie, si trattasse di vizi occulti, dal momento che il materiale accatastato ed imballato non poteva essere ispezionato al momento della consegna, ragion per cui il termine per la denunzia, posto dall'art. 1495 c.c. in otto giorni dalla consegna, sarebbe dovuto decorrere dalla scoperta dei vizi.
Ritiene, tuttavia, il relatore che il dedotto postulato implica un apprezzamento di fatto che è sottratto al sindacato di legittimità della Corte, se adeguatamente e logicamente motivato.
Si è, infatti, affermato che (cfr., ad es., Cass. n. 5251 del 2004) "in tema di garanzia per vizi della cosa venduta, l'occultamento degli stessi, per assumere rilevanza, deve consistere non nel semplice silenzio serbato dal venditore, ma in una particolare attività illecita, funzionale, con adeguati accorgimenti, a nascondere il vizio della cosa.
L'accertamento dell'apparenza e riconoscibilità dei vizi costituisce, poi, un apprezzamento di fatto, come tale sottratto al sindacato di legittimità per tutto ciò che non attiene al procedimento logico - giuridico seguito dal giudice di merito".
Sulla base di tale presupposto si rileva che la suddetta doglianza appare, all'evidenza, destituita di fondamento.
La Corte territoriale, infatti, ha correttamente ed esaustivamente osservato, conformemente alla consolidata giurisprudenza di legittimità, che "la mancata o intempestiva denunzia dei vizi della cosa venduta nel termine di otto giorni dalla scoperta, è configurata dalla legge come una causa di decadenza del diritto del compratore alla garanzia, già sorto in suo favore con la correlativa obbligazione del venditore, per effetto immediato e diretto del perfezionamento del contratto, ed essa, pertanto, come fatto impeditivo o estintivo del diritto fatto valere, deve essere espressamente eccepita dal venditore convenuto per la risoluzione del contratto o per la riduzione del prezzo. Da ciò deriva, in applicazione delle ordinarie regole sull'incidenza dell'onere della prova, che al compratore che agisce basta provare l'esistenza del vizio, quale solo presupposto necessario per l'esercizio del diritto, mentre incombe al venditore che eccepisce la decadenza di dimostrare il fondamento dell'eccezione, vale a dire il fatto (scoperta del vizio, ricevimento della cosa) dal cui compimento la legge fa decorrere il termine di decadenza, e l'avvenuto decorso di detto termine al momento della denuncia o della citazione, e solo in tal caso spetterà al compratore dare la prova contraria, di avere cioè denunciato in precedenza ed in tempo utile il vizio".
Nel caso in esame, la Corte di secondo grado ha adeguatamente accertato in fatto (con motivazione congrua e sufficiente) che il sig. T. , nella sua qualità di venditore, aveva prodotto in giudizio la prova documentale dell'intempestiva denuncia dei vizi con la lettera del 14 ottobre 1992, con la quale il sig. B. , per il tramite del suo legale, aveva contestato la fattura recapitatagli, rispetto all'epoca della consegna-ricezione della merce, nel giugno e nell'agosto 1992 (si osserva, peraltro, che l'eccezione di decadenza del compratore dalla garanzia era già stata sollevata dal sig. T. , in qualità di opposto, sia nella sua comparsa di costituzione e risposta, sia nelle deduzioni conclusive, ma era stata ignorata dal giudice di primo grado).
Dall'altro lato, come sottolineato dalla Corte territoriale, il sig. B. aveva sì rappresentato, dapprima nel ricorso proposto ai sensi dell'art. 696 c.p.c. e poi nell'atto di opposizione all'ingiunzione del pagamento, di averne rilevato l'esistenza all'atto della consegna, di averne fatto immediata contestazione al venditore, intimato la sua sostituzione ed ottenuto, per effetto del riconoscimento dei vizi, la riduzione del prezzo, dimostrando pure, sia in via preventiva che in corso di giudizio, i lamentati vizi della mercé fornitagli, ma non aveva fornito la prova chiara e univoca della tempestiva denuncia dei vizi, nel termine di giorni otto dalla ricezione della mercé, ossia dal momento della loro rilevabilità.
Inoltre, il giudice di appello ha sufficientemente rilevato che non si poteva ritenere raggiunta la prova della denuncia dei vizi in tempo utile, in maniera tale da precludere la perdita della garanzia, con le deposizioni rese da C..D. e B.A. , rispettivamente persona incaricata della messa in opera del marmo e genitore del ricorrente, mancando i requisiti dell'univocità e della chiarezza, richiesti dalla legge ai fini dell'esaustività e della piena attendibilità della prova orale.
In definitiva, si riconferma che sussistono le condizioni, in ordine all'art. 380 bis c.p.c. per definire nelle forme camerali il proposto ricorso, rilevandosi la sua manifesta infondatezza, con riferimento all'ipotesi prevista dall'art. 375 n. 5) c.p.c. ed avuto riguardo anche al disposto dell'art. 360 bis n. 1) dello stesso codice di rito”.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, non risulta depositata alcuna ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, nella misura liquidata come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Avv. Antonino Sugamele

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