Corruzione nell'ambito delle Forze Armate. Ufficiale dell'esercito rimane coinvolto in un processo penale dal 1995 al 2010. Il Ministero condannato a risarcire 10.000 euro per irragionevole durata del processo.
Cassazione civile sez. VI
Data:
07/02/2013 ( ud. 10/01/2013 , dep.07/02/2013 )
Numero:
3026
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto - Presidente -
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere -
Dott. BIANCHINI Bruno - Consigliere -
Dott. MANNA Felice - Consigliere -
Dott. GIUSTI Alberto - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.V.A., rappresentato e difeso, in forza di
procura speciale in calce al ricorso, dall'Avv. PERUCCA Diego,
elettivamente domiciliato nello studio di quest'ultimo in Roma, Via
Conca d'Oro, n. 184/190;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso, per legge, dall'Avvocatura Generale dello
Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei
Portoghesi, n. 12;
- controricorrente -
per la cassazione del decreto della Corte d'appello di Potenza in
data 17 gennaio 2012.
udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 10
gennaio 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;
udito l'Avv. Diego Perrucca;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l'accoglimento
del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
che la Corte d'appello di Potenza, con decreto in data 17 gennaio 2012, ha rigettato la domanda di equa riparazione proposta da C.V.A. in relazione ad un procedimento penale per reati di corruzione a suo carico, ufficiale dell'esercito, iniziato dinanzi all'autorità giudiziaria di Milano con provvedimento di custodia cautelare del 24 ottobre 1995 e concluso dal GIP del Tribunale di Taranto con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato in data 21 settembre 2010;
che la Corte d'appello ha rilevato che il procedimento de quo è stato caratterizzato da una estrema complessità e delicatezza, sia per la rilevanza ed il disvalore dei fatti (corruzione nell'ambito delle forze armate), sia per le problematiche concernenti l'esatta individuazione dei luoghi di consumazione dei reati (tanto che vi sono state due declinatorie di competenza, da parte del GIP di Milano e del GIP di Roma);
che, quantificato in otto anni il periodo di durata ragionevole, la Corte d'appello ha rilevato che in realtà il reato si era prescritto sin dal novembre 2002, sicchè la mancata attivazione da parte dell'indagato per ottenere la definizione della sua posizione, rimasta impregiudicata a causa del mancato coordinamento tra l'autorità giudiziaria di Roma e quella di Taranto, non può che dipendere da uno scarso interesse alla sollecita definizione del processo da parte dell'indagato stesso, con conseguente esclusione di detto segmento temporale ai fini indennitari;
che per la cassazione del decreto della Corte d'appello il C. ha proposto ricorso, con atto notificato il 13 marzo 2012, sulla base di un complesso motivo, illustrato con memoria;
che il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio ha deliberato l'adozione di una motivazione in forma semplificata;
con l'unico mezzo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell'art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
che il motivo è fondato, nei termini di seguito precisati;
che, innanzitutto, ha errato il giudice a quo a quantificare in otto anni il periodo di durata ragionevole del processo, protrattosi in un unico grado per quindici anni;
che, infatti, secondo i criteri elaborati dalla Corte europea ed applicati da questa Corte, il periodo di durata ragionevole di un processo penale che si svolge in un grado di giudizio è, mediamente, di tre anni;
che la particolare complessità del giudizio a quo (numero degli imputati; gravità degli illeciti; difficoltà di individuare l'autorità giudiziaria competente) avrebbe potuto a ritenere giustificata, al massimo, una durata di cinque anni;
che neppure resiste alle censure del ricorrente l'ulteriore statuizione, secondo cui il periodo successivo al novembre 2002 sarebbe addebitabile all'inerzia dell'imputato, che non ha sollecitato, in proprio favore, la dichiarazione di non doversi procedere per prescrizione del reato;
che, infatti, poichè non consta che l'imputato abbia fatto uso di tecniche dilatorie o di strategie processuali sconfinanti nell'abuso del diritto, il ritardo nella stessa dichiarazione della prescrizione, maturata da molti anni, essendo ascrivibile, per stessa affermazione del giudice a quo, al mancato coordinamento tra l'autorità giudiziaria di Roma e quella di Taranto, non può essere addebitato al C.;
che, cassato il decreto impugnato, la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto;
che, nel caso di specie, determinato in dieci anni circa il periodo di irragionevole durata (dall'ottobre 1995 al settembre 2010, detratti cinque anni) e applicato il criterio di liquidazione del danno non patrimoniale invalso nella giurisprudenza di questa Corte (1.000 Euro per ogni anno di ritardo), si deve riconoscere al ricorrente l'indennizzo di Euro 10.000 a titolo di danno non patrimoniale, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero della giustizia;
che le spese del giudizio, sia di merito che di legittimità, vanno poste, nella misura liquidata in dispositivo, a carico del Ministero, in base al principio di soccombenza.
PQM
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 10.000, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo;
condanna il Ministero al rimborso delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140, di cui Euro 490 per diritti ed Euro 600 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 606, di cui Euro 100 per esborsi, oltre ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile - 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 10 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2013
22-08-2013 20:51
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