Immobile locato ad attività alberghiera: se non è garantita la sicurezza il locatore può risolvere il contratto.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 13 marzo - 13 giugno 2013, n. 14850
Presidente Finocchiaro – Relatore Petti
Dvolgimento del processo
1.La Corte di Appello di Roma con sentenza del 25 maggio 2005 ha confermato la sentenza del tribunale di Roma rigettando l'appello principale proposto dalla società Lier nei confronti della società Giano, nonché lo appello incidentale da questa ultima spiegato contro la Lier compensando le spese del grado tra le parti.
Per quanto qui ora interessa ai fini del ricorso per cassazione e delle censure rivolte alla sentenza, la Corte romana precisava:
a. che la Lier locatrice del complesso alberghiero aveva violato gli obblighi di custodia dei beni in relazione alla diligenza del buon padre di famiglia di cui allo art. 1587 n. 1 del codice civile, con riferimento alle innovazioni e ristrutturazioni apportate ai vari locali dell'immobile, secondo gli accertamenti compiuti dai vigili del fuoco, che hanno rilevato la grave irregolarità in tema di sicurezza per essere lo immobile inadeguato e non conforme alle prescrizioni di sicurezza e di prevenzione degli incendi;
b. che la valutazione concreta della entità, permanenza e reiteratezza delle inadempienza giustificava la risoluzione dei rapporti;
c. dichiarava quindi inammissibile l'appello incidentale per la incongruità delle censure poste a sostegno della decisione.
La reciprocità della soccombenza giustificava poi la compensazione delle spese del grado.
2. Contro la decisione ricorre la società Lier deducendo quattro motivi di censura illustrati da memoria, resiste la controparte con controricorso e memoria.
3. In data 20 ottobre 2012 risulta depositato nella cancelleria della III sezione una denuncia esposto a firma dello ing. A.L. che segnala fatti delittuosi già denunciati alla Procura della Repubblica di Roma. La denuncia è agli atti e se ne valuterà la irritualità processuale.
Motivi della decisione
4. Il ricorso non merita accoglimento in ordine ai dedotti motivi, peraltro contrastati dal controricorrente. Per chiarezza espositiva se ne offre una sintesi descrittiva ed a seguire la confutazione in diritto.
4.1. SINTESI DEI MOTIVI.
Nel primo motivo si deduce la nullità della sentenza della Corte di appello per la violazione dell'art.51 c.p.c. per avere preso parte quale relatore nel collegio giudicante di dr. D.M.M. , il quale aveva già conosciuto le stesse vicende controverse relative alla risoluzione dei contratti di locazione tra le parti, in vari giudizi dinanzi al tribunale di Roma di cui vengono indicati a ff 9 i numeri di ruolo; si deduce la mancanza di terzietà del giudice relatore.
Nel secondo motivo si deduce l'error in iudicando per la violazione dello art. 1587 c.c. in tema di obbligazioni in capo al conduttore. In particolare si contesta la valutazione degli addebiti considerati dalla Corte di appello, in relazione alla violazione degli obblighi di conservazione e custodia dell'immobile da parte del conduttore, che aveva apportato innovazioni tali da mutare la natura e la destinazione alberghiera del bene, così provocando evidenti danni non suscettibili di eliminazione, e si contesta il rilievo dato alla alterazione dello equilibrio economico del rapporto in pregiudizio del locatore, da ritenersi di tale gravità da giustificare la risoluzione per inadempimento. Si deduce in particolare che all'epoca della stipula della scrittura privata del 8 novembre 1999, tra la Giano srl e la Pyramis internazionale srl. Le unità immobiliare erano tutte destinate ad uso abitativo e che la conduttrice assumeva l'obbligo di procedere al cambio della destinazione di uso ed ai lavori di ristrutturazione necessari per l'adeguamento dello immobile alla struttura alberghiera. La Lier, titolare della licenza per lo esercizio della attività alberghiera si era resa parte diligente nello effettuare le varie ristrutturazioni necessarie per lo adeguamento della struttura, attivandosi per ottenere le rispettive autorizzazioni ed il rilascio dei certificati di prevenzione incendi. Si contesta in particolare che le irregolarità segnalate dai vigili del fuoco nell'accesso allo immobile a seguito di esposto della locatrice, non erano tali da determinare la violazione degli obblighi di cui allo art. 1587 del cod.civile, e che le stesse erano state rimosse conseguendo successivamente il certificato di prevenzione incensi relativo alla autorimessa in data 27 giugno 2008 in anticipo rispetto al termine ultimo di adeguamento.
Nel terzo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione dell'art.3 comma quarto del DL 28 dicembre 2006 n.300, convertito dalla legge 26 febbraio 2007 n. 17 e del D.L.31 dicembre 2007 n. 248 in relazione allo art. 360 n. 3 del codice di procedura civile, sul rilievo che la Corte di appello avrebbe disatteso la applicazione di tali norme che prorogavano nel tempo la messa in sicurezza dello stabile con termine ultimo al 31 dicembre 2010, allorché la società conduttrice aveva finalmente conseguito, in data 19 maggio 2010, i certificati di prevenzione incendi.
Nel quarto motivo, erroneamente contrassegnato come III, si deduce ancora la omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo della controversia, sul rilievo che il mancato adeguamento alla normativa antincendio non avrebbe danneggiato la proprietaria determinando una ordinanza temporanea di chiusura per non avere rispettato la normativa di prevenzione antiincendi.
5. CONFUTAZIONE IN PUNTO DI DIRITTO.
Il regime del ricorso, in relazione alla data di pubblicazione della sentenza di appello, si sottrae al regime dei quesiti previgente, ma non ai principi generali di specificità, completezza, documentazione e deposito dei documenti rilevanti al fine del giudizio.
In relazione al primo motivo è sufficiente rilevarne la infondatezza alla luce di un consolidato orientamento di questa Corte, da ultimo ribadito nello arresto del 15 dicembre 2011 n.26976, ove si precisa che il motivo di astensione di cui alla norma processuale dello art. 51 c.p.c., che la parte non abbia fatto valere come motivo di ricusazione del giudice ai sensi dello art. 52 c.p.c. non può essere invocato in seguito come ragione di gravame. Ma la infondatezza è ribadita anche sotto il profilo della assoluta genericità delle censure che esprimono soltanto un mero sospetto di mancanza di terzietà, dimenticando che la decisione collegiale avviene a maggioranza o alla unanimità del collegio giudicante.
In relazione ai restanti motivi, che possono venire in esame congiunto, in quanto tutti concorrono a ridimensionare la gravità degli addebiti di inadempimento, si osserva che la tesi non contrasta la chiarissima ratio decidendi espressa dalla Corte di appello a ff 7 e seguenti della analitica e congrua motivazione, ma tende a limitare il dimensionamento della gravità alla possibile sanatoria di un illecito amministrativo, prevista da una serie di leggi permissive che recano termini di proroga per favorire la vita delle imprese alberghiere anche a rischio di incendio. La Corte di appello, nel correggere la motivazione del primo giudice in relazione alla normativa di cui allo art. 1587 n. 1 del codice civile, osserva come la norma stessa racchiuda due precetti che vincolano la parte conduttrice: quello di osservare la diligenza media nell'uso della cosa e quello di servirsi della cosa per lo uso pattuito. Tale uso nel caso di esercizio della attività alberghiera pone in prima linea il bene della sicurezza delle persone, impiegati, frequentatori e clienti, che utilizzano il complesso alberghiero, e contestualmente il rispetto delle norme edilizie, urbanistiche, igienico sanitarie, per quanto attiene alle modificazioni, innovazioni ed il rilascio di autorizzazioni e concessioni, tra cui quella infine rilasciata dopo lunghi anni di attesa.
La Corte, a ff 8 e 9,della motivazione motiva congruamente,con corretti riferimenti giurisprudenziali, sugli obblighi del conduttore in relazione alla particolare destinazione del complesso immobiliare, e constata che dal verbale dei vigili del fuoco sia emersa una situazione di precarietà e di rischio: a. per il restringimento dei corridoi dei piani di accesso alle camere; b. per la inidoneità della apertura delle porte resistenti al fuoco; c. per il sovraffollamento del sesto piano, in relazione alla sala ristorante e colazione a 90 posti rispetto a quelli consentiti; d. per la presenza di materiali di rivestimento privi di certificazione ai fini della reazione al fuoco; d. per la lunghezza superiore ai limiti di legge dei corridoi ciechi ubicati al primo e secondo piano.
Da tali accertamenti, che non vengono in contestazione specifica, la Corte trae la valutazione della gravità dello inadempimento che comporta una grave alterazione dello equilibrio contrattuale, esponendo la società locatrice al rischio che lo immobile non adeguatamente protetto potesse subire danni per tale ragione e che potendo tali danni estendersi alle persone che occupano l'immobile, la proprietaria potesse esserne chiamata a rispondere, anche sul piano penale e di responsabilità civile.
Correttamente la Corte ha ritenuto irrilevante la legislazione di proroga delle misure di messa in sicurezza, che ben potevano essere tempestive, anche in relazione al protrarsi dello inadempimento nel corso della lite, quando l'attività alberghiera proseguiva con utili consistenti per lo albergatore.
I tre motivi risultano infondati in quanto non sono idonei ad inficiare il giudizio di rilevanza della gravità dell'inadempimento considerato in relazione ad un ampio contesto di obblighi di garanzia in favore del personale, dei clienti e dei frequentatori di un albergo per lungo tempo insicuro, e non sussiste alcuna violazione nella applicazione delle norme che regolano l'adempimento contrattuale anche in relazione ad una disciplina speciale che attiene ad una politica legislativa di proroga, che non incide sul rispetto del sinallagma dello equilibrio contrattuale e sul rispetto che il custode albergatore deve nutrire per la sicurezza ed incolumità dei beni della vita, tra cui la salute.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, in favore della società resistente, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente LIER srl a rifondere alla Giano srl le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per spese.
15-06-2013 23:18
Richiedi una Consulenza