L’esecuzione spontanea all'ordine contenuto nella sentenza di primo grado non significa acquiescenza e rinunzia all'appello.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 16 aprile - 4 giugno 2013, n. 14120
Presidente Triola – Relatore Proto
Svolgimento del processo
Con citazione del 29/4/1999 V.M..L. conveniva in giudizio G..R. proprietario di un immobile che egli aveva a sua volta acquistato da certo L..P. e Lo.Gi. i quali, a loro volta, erano stati convenuti in giudizio, in separato processo, da tale A..B. che reclamava la proprietà dello stesso immobile.
L'attrice, premesso di avere stipulato con il R. (intestatario dell'immobile e coniugato con A..Z. , cautelativamente pure convenuta in giudizio, ma in regime di separazione dei beni) un preliminare di vendita e premesso che il promittente venditore si era rifiutato di adempiere, chiedeva la pronuncia di sentenza sostitutiva del contratto non concluso.
La Z. rimaneva contumace.
Il R. si costituiva e sosteneva di essersi rifiutato di adempiere perché la L. non aveva accettato di assumersi il rischio di una possibile evizione da parte del Borghi (coniuge della stessa L. ) il quale, come detto, rivendicava la proprietà da coloro che avevano venduto l'immobile al R. ; proponeva domanda riconvenzionale di risoluzione di diritto per inadempimento dell'attrice.
Con sentenza pubblicata il 29/4/2003 il Tribunale di Brescia accoglieva la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto e trasferiva l'immobile subordinatamente al pagamento del prezzo; rigettava la domanda riconvenzionale di risoluzione di diritto.
Dopo la pubblicazione della sentenza e prima della notifica dell'appello di R. e Z. (notificato con citazione del 16/10/2003) la promittente venditrice comunicava al R. , con raccomandata del 26/6/2003, che il prezzo di acquisto era a sua disposizione presso una banca e il R. (che in precedenza aveva rifiutato l'offerta reale del prezzo) provvedeva a incassare il prezzo in data 30/6/2003.
Il R. e la Z. proponevano appello formulando, secondo quanto risulta dalla sentenza di appello le seguenti domande:
- rigetto della domanda di adempimento ex art. 2932 c.c.;
- inefficacia del contratto per mancato avveramento della condizione sospensiva e condanna della L. al rilascio dell'immobile e al risarcimento danni;
- risoluzione di diritto del contratto con conseguenziali pronunce;
- determinazione della somma di Euro 154.937,07 oltre interessi, quale somma dovuta a titolo di corrispettivo.
La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 28/2/2007 dichiarava:
- inammissibile l'appello proposto da A..Z. per difetto di interesse, in quanto in regime di separazione dei beni con il coniuge acquirente e pertanto estranea all'acquisto;
- inammissibile ai sensi dell'art. 329 comma 1 c.p.c. l'appello proposto da G..R. perché egli aveva prestato acquiescenza alla sentenza di primo grado spontaneamente incassando le somme a lui offerte a titolo di prezzo per l'acquisto del bene promesso in vendita, con ciò dimostrando la volontà di fare acquiescenza alla sentenza, pur non essendo tenuto a ricevere il pagamento atteso il carattere della pronuncia e la sua inidoneità ad essere oggetto di esecuzione forzata; la Corte di merito osservava, inoltre, che non era possibile ravvisare altra motivazione alternativa all'accettazione del prezzo e che neppure il R. aveva dato alcuna spiegazione.
G..R. e A..Z. propongono ricorso affidato ad un unico motivo e depositano memoria.
Resiste con controricorso L.M.M. e deposita memoria.
Motivi della decisione
1. Con l'unico motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione dell'art. 329 c.p.c. e, formulando il quesito di diritto, chiedono se la sentenza impugnata ha violato l'art. 329 c.p.c. nella parte in cui ha dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione per intervenuta acquiescenza tacita avendo individuato l'acquiescenza nella riscossione della somma alla quale il Tribunale aveva subordinato il trasferimento dell'immobile.
I ricorrenti sostengono che l'incasso, da parte del promittente venditore, della somma alla quale la sentenza di primo grado aveva subordinato il trasferimento dell'immobile costituiva atto privo dei caratteri di univocità e incompatibilità necessari ad integrare acquiescenza non essendo incompatibile con la volontà di avvalersi dell'impugnazione e non potendo considerarsi come manifestazione della volontà di non impugnare.
2. Il motivo non censura l'ulteriore statuizione di inammissibilità, per carenza di interesse, dell'appello proposto dalla Z. (sulla quale quindi si è formato il giudicato), ma la ritenuta inammissibilità dell'appello del R. per sua acquiescenza alla sentenza di primo grado, ravvisata nel compimento di atti (l'accettazione del corrispettivo della vendita) incompatibili con la volontà di avvalersi dell'appello.
Questa Corte (Cass. 11/7/2005 n. 14489) in un caso analogo nel quale il promittente venditore aveva accettato la somma a lei attribuitagli dal tribunale quale prezzo dell'immobile di cui al preliminare di vendita e successivamente aveva proposto impugnazione, aveva affermato che dalla sola riscossione della somma al pagamento della quale il tribunale aveva subordinato il trasferimento della proprietà dell'immobile non può in alcun modo desumersi che il promittente venditore abbia dimostrato, in termini non equivoci, di prestare acquiescenza alla sentenza stessa.
Il precedente è conforme al consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale l'acquiescenza alla sentenza esclusiva dell'impugnazione consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione, da parte del soccombente, della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita, quest'ultima ravvisabile quando l'interessato abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè atti che siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione (cfr. Cass. SS.UU., n. 8453/98).
Orbene, con riferimento alla presente controversia, si deve osservare che il mero adeguarsi alla statuizione del giudice, ancorché non immediatamente esecutiva, rivela, in generale, un atteggiamento passivo, di per sé ambiguo e sicuramente non incompatibile con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge.
La prestazione ricevuta poteva pur sempre essere restituita in caso di accoglimento delle domande dell'accipiens e, dunque, non si produceva un effetto irreversibile.
La volontà abdicativa deve risultare da atti o fatti che sia sotto un profilo logico che sotto un profilo giuridico siano incompatibili con l'impugnazione, mentre nel caso concreto, l'accipiens ha mantenuto un atteggiamento meramente passivo di fronte all'altrui iniziativa accettando il denaro che gli era offerto e questa passiva accettazione non risulta incompatibile sul piano logico e giuridico con la volontà di impugnare, tanto più considerando che il promittente venditore, il quale aveva già immesso il promissario acquirente nella detenzione del bene, avanzava pretese creditorie dal promissario acquirente.
3. In conclusione il motivo di ricorso deve essere accolto e deve essere cassata la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Brescia che si atterrà al seguente principio di diritto:
In mancanza di accettazione espressa, l'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 comma 1 cod. proc. civ., può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato, abbia posto in essere atti dai quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia e cioè quando sia possibile affermare che gli atti sono incompatibili, sotto il profilo logico o giuridico, con la volontà di avvalersi dell'impugnazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia.
06-06-2013 22:12
Richiedi una Consulenza