La curatela fallimentare agisce in revocatoria ordinaria. Notifica effettuata al militare in servizio. Rinnovata.
Cassazione civile sez. VI Data: 19/03/2013 ( ud. 06/02/2013 , dep.19/03/2013 ) Numero: 6807
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario - Presidente -
Dott. AMENDOLA Adelaide - rel. Consigliere -
Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere -
Dott. GIACALONE Giovanni - Consigliere -
Dott. DE STEFANO Franco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 11620-2011 proposto da:
P.M., P.P. (OMISSIS), elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA NEMORENSE 18, presso lo studio dell'avvocato
RIZZELLI GIUNIO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato
URSO MARCELLO, giusta mandato in calce al ricorso;
- ricorrenti -
contro
CURATORE DEL FALLIMENTO MEDIO FIN SPA (OMISSIS) in persona del
Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROMEO
ROMEI 23, presso lo studio dell'avvocato BIANCO CRISTINA,
rappresentato e difeso dall'avvocato STASI CARLO, giusta mandato a
margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 406/2010 della CORTE D'APPELLO di LECCE
dell'1.2.2010, depositata il 10/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
06/02/2013 dal Consigliere Relatore Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
E' presente il Procuratore Generale in persona del Dott. AURELIO
GOLIA.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
E' stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti.
"Il relatore, cons. Adelaide Amendola esaminati gli atti, osserva:
1. Con citazione notificata il 26 novembre 2002 la Curatela del fallimento Medio Fin s.p.a. convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Lecce P. e P.M. per ivi sentir dichiarare inefficace nei suoi confronti, ex art. 2901 cod. civ., l'atto in data 1 dicembre 1997, con il quale P.P. aveva alienato al fratello M. la nuda proprietà di un immobile.
Dedusse che P.P., amministratore di Medio Fin s.p.a., dichiarata fallita con sentenza del 9 novembre 1990, era stato condannato, nell'ambito di un procedimento penale per fatti connessi alla qualifica da lui ricoperta nell'ambito della società fallita, al risarcimento dei danni in favore della curatela; che siffatti pregiudizi erano stati quantificati dalla parte civile in L. 10.843.792.000; che era stata altresì pronunciata ordinanza provvisionale di condanna di P.P. al pagamento della somma di L. 500.000.000.
Costituitisi in giudizio, i convenuti contestarono le avverse pretese.
Con sentenza del 5 maggio 2006 il giudice adito accolse la domanda.
Proposto gravame da entrambi i soccombenti,la Corte d'appello, riunite le impugnazioni, le ha respinte.
2. Per la cassazione dei detta pronuncia ricorre a questa Corte P.P., formulando sette (rectius, sei) motivi.
Resiste con controricorso la Curatela.
3. Il ricorso è soggetto, in ragione della data della sentenza impugnata, successiva al 4 luglio 2009, alla disciplina dettata dall'art. 360 bis, inserito dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. a). Esso può pertanto essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ. per esservi rigettato.
Queste le ragioni.
4. Il primo motivo di ricorso, con il quale l'impugnante lamenta violazione degli artt. 101 e 102 cod. proc. civ., ex art. 360 c.p.c., n. 4, per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di P.G. e B.G.M., parti costituite nell'atto notarile oggetto di revoca, è inammissibile.
E' giurisprudenza costante di questa Corte, dalla quale non v'è ragione di discostarsi, che il vizio processuale derivante dall'omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari può sì essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità, ma alla duplice condizione che gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito (senza la necessità di svolgimento di ulteriori attività istruttorie) e che sulla questione non si sia formato il giudicato; ciò in quanto le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ., di acquisire mezzi di prova precostituiti in sede di legittimità sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell'atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, con esclusione delle nullità originate da vizi del processo (confr. Cass. civ. 28 febbraio 2012, n. 3024; Cass. civ. 9 agosto 2007, n. 17581).
Nella fattispecie il ricorrente neppure specifica in quale veste i signori P.G. e B.G.M. intervennero nell'atto di vendita oggetto della revocatoria, nè in quale parte del fascicolo processuale questo sia rinvenibile.
Ne deriva che la censura è, oltre che nuova, nel senso innanzi precisato, anche gravemente carente sotto il profilo dell'autosufficienza.
5. Il secondo mezzo, con il quale il ricorrente deduce violazione degli artt. 146, 160, 159 e 101 cod. proc. civ., ex art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento alla notifica dell'atto introduttivo del giudizio a P.M., militare in servizio, notifica avvenuta senza che fossero rispettate le formalità prescritte dall'art. 146 cod. proc. civ., svolge censure incongrue rispetto alla argomentate ragioni della decisione. Il giudice di merito ha invero ritenuto correttamente instaurato il contraddittorio sul rilievo che, disposta la rinnovazione della notifica dell'atto introduttivo a M. P., proprio in ragione della invalida esecuzione della prima, la citazione fu ritualmente notificata, merce consegna a mani proprie del destinatario il 4 ottobre 2003. Le censure sono pertanto, sul punto, aspecifiche.
6. Pure infondato è il terzo mezzo, con il quale l'impugnante denuncia violazione dell'art. 2903 cod. civ., in relazione al rigetto dell'eccezione di prescrizione sollevata dai convenuti, rigetto argomentato dal giudice di merito con il rilievo che, vertendosi in tema di litisconsorzio necessario, la tempestiva, valida instaurazione del contraddittorio nei confronti di uno dei litisconsorti - nella fattispecie P.P. - rendeva ammissibile la domanda anche nei confronti del fratello M..
Trattasi di critiche infondate, avendo la Corte territoriale fatto coerente e corretta applicazione del principio di diritto, ripetutamente affermato da questa Corte, anche a sezioni unite, secondo cui, in caso di litisconsorzio necessario, l'integrazione del contraddittorio prevista dall'art. 102 cod. proc. civ., comma 2 ha effetti di ordine sia processuale che sostanziale, nel senso che sana l'atto introduttivo viziato da nullità per la mancata chiamata in giudizio di tutte le parti necessarie ma è altresì idonea ad interrompere prescrizioni e ad impedire decadenze di tipo sostanziale nei confronti anche delle parti necessarie originariamente pretermesse, di talchè la valida notifica dell'atto introduttivo nei confronti di uno dei litisconsorti, è idonea a interrompere la prescrizione anche nei confronti dell'altro (confr. Cass. civ. sez. un. 7 novembre 2011, n. 23068; Cass. civ. 22aprile 2010, n. 9523).
7. Il quarto mezzo (erroneamente rubricato come quinto), con il quale si prospetta violazione di norme di diritto in relazione alla omessa istruzione del procedimento e all'immotivato rigetto delle istante istruttorie, non riportando il contenuto delle istanze istruttorie, in tesi, ingiustamente non ammesse, è irrimediabilmente carente sotto il profilo dell'autosufficienza.
Si ricorda, in proposito, che il ricorrente che, in sede di legittimità, denuncia la mancata ammissione di una prova da parte del giudice di merito ha l'onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della stessa, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, la Corte di cassazione dev'essere in grado di compiere sulla sola base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (confr. Cass. civ. sez. un. 22 aprile 2010, n. 9523).
8. Con il quinto motivo (erroneamente rubricato come sesto) il ricorrente lamenta violazione dell'art. 2901 c.c. e segg. nonchè vizi motivazionali, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.
Le cesure si appuntano contro la positiva valutazione della ricorrenza dei presupposti per il vittorioso esperimento dell'azione revocatoria, assumendosi, al riguardo, che il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno delle emergenze istruttorie e affermato in manie affatto apodittica, la ricorrenza sia dell'eventus damni che del consilium fraudis. Anche tali critiche sono prive di pregio.
La Corte d'appello ha in proposito opportunamente ricordato che P.P. era stato incontestabilmente condannato al risarcimento dei danni in favore della curatela, di talchè la persistenza del credito a tutela del quale questa aveva agito in revocatoria era fuori discussione. Ha aggiunto che, alienando la nuda proprietà dell'immobile donatogli dai genitori, P.P. aveva certamente diminuito le proprie garanzie patrimoniali, rendendo quanto meno più difficile l'esazione del credito; che, mentre era innegabile la conoscenza del pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni dei creditori, in capo all'alienante, direttamente coinvolto nel dissesto della società da lui amministrata, il rapporto di parentela esistente tra le parti e lo scalpore suscitato dal fallimento di Medio Fin consentivano di ritenere pienamente raggiunta la prova della partecipalo fraudis del fratello.
9. Siffatto iter motivazionale resiste alle critiche svolte in ricorso le quali, attraverso la surrettizia evocazione di violazioni di legge e di vizi motivazionali, in realtà inesistenti, mirano a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove preclusa alla Corte Regolatrice. Valga al riguardo considerare che sia l'eventus damni, che la conoscenza del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni del creditore sono oggetto di un giudizio devoluto al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità ove, come nella fattispecie, congruamente motivato (confr. Cass. civ. 17 agosto 2011, n. 17327; Cass. civ. 7 ottobre 2008, n. 24757).
10. L'ultimo motivo, con il quale viene denunciata violazione di norme di diritto sul valore della controversia, è, a prescindere dai profili di inammissibilità connessi alla mancata esplicitazione delle disposizioni di legge asseritamente inosservate, infondato.
Il giudice di merito ha correttamente affermato, in relazione alla doglianza volta a far valere la pretesa, erronea liquidazione delle spese di causa, che, proposta domanda revocatoria, il valore della causa si determina sulla base del credito a tutela del quale si agisce, ricordando poi che nella fattispecie questo era pari a oltre cinque milioni di Euro. L'affermazione è, ancora una volta, conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nell'azione revocatoria, il valore della causa si determina non già sulla base dell'atto impugnato, bensì sulla base del credito per il quale si agisce in revocatoria, poichè l'azione revocatoria non ha carattere di azione di nullità ma solo funzione conservativa, essendo volta a paralizzare l'efficacia dell'atto impugnato per assicurare al creditore danneggiato l'assoggettabilità all'azione esecutiva dei beni alienati o comunque resi indisponibili dal debitore (confr. Cass. civ. 17 marzo 2004, n. 5402)".
11. Si osserva preliminarmente che non può essere accolta l'istanza di rinvio proposta dai difensori, considerato che in data 3 dicembre 2012 venne presentata analoga richiesta, specificamente motivata con l'assunto che la transazione, il cui contenuto era già stato concordato, doveva essere formalizzata e ratificata dagli organi della Curatela.
Ora, l'inutilità dell'accordato differimento della trattazione del ricorso induce il collegio a disattendere la nuova istanza.
Tanto premesso e precisato, ritiene la Corte di condividere in pieno il contenuto della sopra trascritta relazione, alla quale nessuna delle parti ha del resto neppure replicato.
Ne deriva che il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
P.Q.M.
La Cote rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 19.600,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre IVA e CPA, come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2013
27-04-2013 12:50
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