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Sentenza

La determinazione dell'assegno divorzile va effettuata verificando l'inadeguatez...
La determinazione dell'assegno divorzile va effettuata verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontata ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso.
Autorità
    Cassazione civile  sez. I   
Data:
    13/02/2013 ( ud. 17/01/2013 , dep.13/02/2013 ) 
Numero:
    3508

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA CIVILE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. SALME'    Giuseppe                          -  Presidente   -  
    Dott. DOGLIOTTI Massimo                           -  Consigliere  -  
    Dott. GIANCOLA  Maria Cristina                    -  Consigliere  -  
    Dott. DIDONE    Antonio                      -  rel. Consigliere  -  
    Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria                      -  Consigliere  -  
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 18506/2008 proposto da: 
                      D.S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente 
    domiciliato  in  ROMA,  VIA  PANAMA  110,  presso  l'avvocato   MERLA 
    Giovanni, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine  del 
    ricorso; 
                                                           - ricorrente - 
                                   contro 
                    F.C.   (C.F.   (OMISSIS)),   elettivamente 
    domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 94, presso l'avvocato DE  MARIA 
    Salvatore, che la rappresenta e difende, giusta procura in  calce  al 
    ricorso notificato; 
                                                     - controricorrente - 
    avverso  il  decreto  della CORTE D'APPELLO di  ROMA,  depositato  il 
    16/04/2008; n. 53604/07 R.G. Reg. Affari Civili Diversi; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    17/01/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE; 
    udito,  per  il ricorrente, l'Avvocato GIOVANNI MERLA che ha  chiesto 
    l'accoglimento del ricorso; 
    udito, per la controricorrente, l'Avvocato SALVATORE DE MARIA che  ha 
    chiesto l'inammissibilità o il rigetto del ricorso; 
    udito  il  P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
    FIMIANI Pasquale, che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

    1.- D.S.P.A. ha impugnato con reclamo alla Corte di appello di Roma il decreto emesso in data 19.2.2006 dal Tribunale di Velletri nella parte in cui ne aveva respinto la richiesta di modificare le condizioni del divorzio da F.C. - come stabilite dal Tribunale di Roma con sentenza n. 3596/85 e successivamente modificate dal medesimo Tribunale con decreto del 27.5.1993 - sotto l'aspetto della revoca dell'assegno in favore di quest'ultima previsto, determinato nella somma mensile di L. 150.000 oltre rivalutazione monetaria.

    Il reclamante lamentava che il primo giudice - il quale aveva nel contempo accolto la richiesta della ex moglie di adeguare l'assegno dovutole alla svalutazione monetaria intervenuta, rideterminando l'importo dell'assegno predetto in Euro 180,00 mensili - avesse escluso mutamenti nel rapporto fra le condizioni reddituali degli ex coniugi tali da giustificare l'accoglimento della sua richiesta, e ribadiva il concreto miglioramento conseguito per la F. dal sopravvenuto pensionamento (che aveva comportato la percezione da parte sua di una pensione mensile pari a circa Euro 2.000,00 nonchè del TFR correlato) e dalla raggiunta indipendenza economica delle figlie, una delle quali ancora con lei convivente.

    La F. si è costituita ribadendo da un lato la correttezza delle determinazioni espresse dal Tribunale in ordine al rigetto della domanda avanzata dal D.S. e richiamando d'altro lato le argomentazioni da lei svolte nel giudizio di primo grado in ordine al rilevante mutamento verificatosi dopo il divorzio nella condizione economica dell'ex coniuge, il quale percepiva un reddito pari a circa Euro 160.000,00 annui e ha chiesto pertanto l'accoglimento della sua domanda di aumentare l'assegno di divorzio fino alla somma di Euro 500,00 mensili, formulata dinanzi al Tribunale. Con il provvedimento impugnato (depositato il 16.4.2008) la Corte di appello di Roma ha respinto il reclamo principale del D.S. e quello incidentale della F..

    Contro il provvedimento della Corte di appello D.S.P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

    Resiste con controricorso l'intimata.

    Nel termine di cui all'art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato memoria.

    2.1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia "violazione e falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, nel testo introdotto dalla L. 8 marzo 1987, n. 74, in relazione al testo previgente del medesimo art. 5; il tutto in riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3".

    Formula il seguente quesito ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.: "Se una volta riconosciuto un assegno divorzile alla luce del vecchio testo della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5; nella ricorrenza quindi dei tre criteri stabiliti da detta norma per l'attribuzione del medesimo assegno e cioè la ricorrenza del criterio assistenziale, del criterio sanzionatorio o risarcitorio e del criterio indennitario, in sede di domanda di revisione dell'assegno divorzile, e più significatamene in presenza di una domanda di eliminazione del predetto assegno, attesa la modifica sostanziale della L. 1 dicembre 1970, art. 5 e la introduzione del solo criterio assistenziale ai fini dell'attribuzione dell'assegno divorzile, il Giudice debba operare ex novo una valutazione in ordine alla sussistenza - o meno - dei requisiti richiesti dal nuovo art. 5 per l'attribuzione di un assegno divorziale, verificando se alla luce del solo criterio assistenziale sussista il diritto del coniuge titolare di un assegno divorziale al mantenimento dello stesso".

    2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia "Violazione e falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, nel testo introdotto dalla L. 8 febbraio 1987, n. 74, art. 5, carente o erronea motivazione su un punto essenziale della controversia il tutto in relazione in riferimento all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e n. 5".

    Formula il seguente quesito ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.: "Se il Giudice, investito di una domanda di modifica ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, con richiesta di eliminazione dell'assegno divorzile per sopravvenuta insussistenza dei requisiti previsti per l'attribuzione di detto assegno dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, debba procedere a una indagine e accertare la sussistenza di tali requisiti operando una valutazione comparativa fra l'attuale situazione patrimoniale e reddituale del richiedente l'assegno e la situazione patrimoniale e reddituale dello stesso esistente al momento della cessazione della convivenza al fine di accertare se sussista - o meno - una diminuzione del tenore di vita esistente all'epoca della cessazione della convivenza o se invece tale diminuzione non sussista, venendo così meno il diritto all'attribuzione di un assegno divorziale".

    3.- Osserva la Corte che è vero che "in tema di assegno di divorzio, i criteri per la concessione e la determinazione dell'assegno stesso previsti dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10 - che ha introdotto nella L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5 i commi dal 6 al 9, in sostituzione dell'originario comma 4 - vanno applicati, dalla data dell' entrata in vigore della legge, anche ai rapporti patrimoniali fra coniugi già divorziati, quando tali rapporti formino oggetto di domanda di revisione della L. n. 898 del 1970, ex art. 9" (per tutte v. Sez. 1, Sentenza n. 13256 del 10/12/1991). Sennonchè, la predetta questione, come formulata nel ricorso e nel relativo quesito di diritto, non è stata dedotta in sede di merito, talchè il motivo è inammissibile.

    Infatti, compito della Corte di Cassazione è la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte nella lite. Pertanto, è preclusa la proponibilità di nuove questioni di diritto o di temi di contestazione diversi da quelli proposti nel giudizio di merito benchè in questo proponibili, a meno che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio, ovvero, nell'ambito delle questioni trattate, di profili nuovi di diritto compresi nel dibattito, sempre che siano fondati sugli stessi elementi di fatto già dedotti (Sez. U, Sentenza n. 1591 del 17/07/1965; Sez. U, Sentenza n. 438 del 27/02/1964).

    Nella concreta fattispecie, invece, come risulta dal decreto impugnato, il ricorrente lamentava in sede di reclamo che il tribunale avesse escluso mutamenti nel rapporto fra le condizioni reddituali degli ex coniugi e ribadiva il concreto miglioramento conseguito per la F. mentre non ha mai dedotto la necessità di rivalutare l'adeguatezza dei redditi di quest'ultima rispetto al tenore di vita matrimoniale in forza del nuovo L. n. 898 del 1970, art. 5. Questione implicante un diverso accertamento in fatto e, come tale, non deducibile per la prima volta in sede di legittimità. D'altra parte con il provvedimento impugnato la Corte di appello ha evidenziato che con la sentenza n. 3596/85 il Tribunale di Roma, nell'affermare il diritto della resistente a vedersi riconosciuto un assegno di divorzio, ha posto a base di tale statuizione la diversa consistenza reddituale dei coniugi, individuando la F. come soggetto sfavorito rispetto all'ex marito, che percepiva maggiori redditi da lavoro rispetto a quelli che la donna ricavava dall'impiego presso l'INPS, sperequazione ancora esistente, atteso che nè la circostanza del sopravvenuto pensionamento della resistente - che anzi aveva presumibilmente comportato una contrazione dei redditi da stipendio in precedenza goduti - nè quella della percezione del trattamento di fine rapporto (in quanto destinato a compensare proprio tale contrazione) assumevano utile rilievo nella concreta fattispecie, al pari del resto della sopravvenuta indipendenza economica delle figlie, atteso che l'assegno di divorzio era finalizzato al mantenimento personale della F., mentre risultava previsto dalla citata sentenza n. 3596/85 uno specifico contributo da parte del padre per le necessità di vita della prole La corte di merito, dunque, ha ribadito "l'immutata ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento, del diritto all'assegno in questione da parte della resistente" e ha confermato il decreto impugnato con il quale il primo giudice aveva rapportato in via equitativa la misura dell'assegno in precedenza stabilita alla svalutazione monetaria sopravvenuta, mai corrisposta dal D.S..

    Con ciò la corte di merito ha applicato il principio giurisprudenziale consolidato per il quale, se è vero che la determinazione dell'assegno divorzile va effettuata verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontata ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto, nondimeno, "ai fini di tale accertamento, correttamente il tenore di vita precedente viene desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e dalle disponibilità patrimoniali" (Sez. 1, Sentenza n. 15610 del 12/07/2007).

    Pure correttamente, poi, la corte di merito ha applicato il principio per il quale "in relazione ad una domanda di revisione della misura dell'assegno di divorzio, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, con la quale vengono fatti valere gli effetti negativi della svalutazione monetaria sull'assegno, determinato in misura fissa in sede di divorzio, il giudice deve accertare non soltanto i cambiamenti intervenuti nella situazione economica delle parti, ma anche l'incidenza della svalutazione monetaria sulle rispettive posizioni" (Sez. 1, Sentenza n. 12317 del 25/05/2007).

    Dunque, in ogni caso non sussistono le violazioni di legge denunciate, mentre il vizio di motivazione denunciato con il secondo motivo è inammissibile sia perchè si risolve in censure in fatto inammissibili in sede di legittimità sia per violazione dell'art. 366 bis c.p.c..

    Invero, è ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d'impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, soltanto "qualora lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all'altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto" (Sez. U, Sentenza n. 7770 del 31/03/2009). Talchè anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

    Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

    Le spese del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.

    In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 gennaio 2013.

    Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2013
Avv. Antonino Sugamele

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