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Sentenza

Legittimo il licenziamento del dipendente che, mentre lavora per il proprio dato...
Legittimo il licenziamento del dipendente che, mentre lavora per il proprio datore, prepara un’attività di impresa in concorrenza con quella per cui riceve un salario.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 maggio – 9 agosto 2013, n. 19096
Presidente Vidiri – Relatore Blasutto

Svolgimento del processo

Con sentenza del 14 aprile 2010 la Corte di appello di Salerno, riformando la sentenza di primo grado, ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato dalla soc. CE.DI.SA. s.p.a. al proprio dipendente C.S. , il quale aveva avuto una partecipazione alla società Pegasus s.r.l. svolgente attività medico associata con oggetto concorrenziale con quello della società resistente, in violazione dell'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 cod. civ..
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte di appello ha osservato che la violazione dell'obbligo di fedeltà, configurabile in caso di attività anche solo progettuali per la costituzione di una società operante in concorrenza con l'impresa del datore di lavoro, era nella specie sussistente, in quanto la costituzione della società Pegasus s.r.l. era già avvenuta ed era potenzialmente produttiva di danno per la parte datoriale, in ragione del suo oggetto sociale; che i testi avevano pure riferito di un inizio di attività del centro medico, anche se l'attestato igienico sanitario fu rilasciato in epoca successiva al licenziamento; che la contestazione disciplinare risaliva al novembre 2001, epoca in cui era già terminato l'allestimento dei locali della società, ai cui lavori edili aveva partecipato come muratore uno dei dipendenti della società CE.DI.SA. su indicazione del C. .
Per la cassazione di tale sentenza C.S. propone ricorso, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso la soc. CE.DI.SA., che ha pure depositato memoria illustrativa ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Con il primo motivo si censura la sentenza per vizio di motivazione (art. 360 cod. proc. civ., n.5), specificamente con riguardo alla proporzionalità della sanzione disciplinare e alla valutazione dell'elemento soggettivo della condotta contestata. Il ricorrente, ricevuta la nota di sospensione e prima della contestazione disciplinare, aveva dismesso ogni partecipazione alla società Pegasus, mentre la condotta posta in essere anteriormente era consistita in atti meramente preparatori, insuscettibili di recare danni concreti alla società datrice di lavoro.
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 2106 cod. civ. rientrando nel potere del giudice di legittimità indicare la corretta interpretazione del dovere di fedeltà e non concorrenza e dunque condurre un sindacato sulle c.d. norme elastiche.
I motivi, che involgono questioni tra loro connesse e dunque possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
La Corte di appello - con valutazione delle risultanze istruttorie congruamente motivata e come tale non sindacabile in sede di legittimità - ha dato atto della potenzialità lesiva dell'attività imprenditoriale concorrenziale della neo costituita soc. Pegasus, in considerazione della sovrapponibilità del suo oggetto sociale con quello della soc. CE.DI.SA., della vicinanza della sede operativa della società concorrente e del mancato riscontro probatorio dell'assunto difensivo secondo cui la società Pegasus non avrebbe mai effettivamente operato.
L'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato va collegato ai principi generali di correttezza e buonafede ex artt. 1175 e 1375 cod.civ. e pertanto impone al lavoratore di tenere un comportamento leale nei confronti del proprio datore di lavoro, astenendosi da qualsiasi atto idoneo a nuocergli anche potenzialmente, per cui, ai fini della violazione dell'obbligo di fedeltà incombente sul lavoratore ex art. 2105 cod.civ., è sufficiente la mera preordinazione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro anche solo potenzialmente produttiva di danno (Cass. sent. n. 12489 del 2003).
Integra violazione del dovere di fedeltà di cui all'art. 2105 cod. civ., ed è potenzialmente produttiva di danno, la costituzione, da parte di un lavoratore dipendente, di una società per lo svolgimento della medesima attività economica svolta dal datore di lavoro (Cass. sent. n.6654 del 2004, n. 16377 del 2006).
L'obbligo di fedeltà impone al lavoratore di astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 cod. civ. ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno (cfr. Cass. n. 2474 del 2008); ciò in considerazione del collegamento dell'obbligo di fedeltà, di cui all'art. 2105 cod. civ., con i principi generali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., da cui deriva l'obbligo di astensione anche da qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o sia comunque idonea a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto (Cass. n. 6957 del 2005; v. pure Cass. n. 14176 del 2009).
Deve quindi affermarsi che la violazione dell'obbligo di fedeltà sussiste anche in presenza di una condotta di mera predisposizione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro, anche solo potenzialmente produttiva di danno.
Non può sostenersi - come afferma il ricorrente - che estendere la violazione dell'art. 2105 cod. civ. ad attività solo potenzialmente lesive costituirebbe un processo alle intenzioni. Deve al riguardo osservarsi che, ai fini della valutazione dell'osservanza dell'obbligo di fedeltà, quel che rileva non è solo l'attività concreta e la sua lesività attuale, ma pure la sua natura sintomatica di un atteggiamento mentale del dipendente contrastante con quella leale collaborazione che costituisce l'essenza del rapporto di lavoro subordinato (cfr. Cass. nn. 1143 e 7427 del 1995, n. 512 del 1997, n. 8208 del 1998, nn. 7990 e 13906 del 2000). Anche la sola previsione della possibilità del verificarsi di effetti dannosi per gli interessi del datore di lavoro, ossia la consapevolezza della potenzialità lesiva della condotta posta in essere, integra gli estremi dell'intenzionalità dell'infrazione.
È del tutto indifferente, ai fini dell'integrazione dell'elemento psicologico nella condotta disciplinarmente rilevante, che subito dopo la sospensione cautelare il ricorrente abbia dismesso la sua partecipazione alla neo-costituita società, essendo determinante — e non più emendabile — l'effetto costituito dal venir meno del rapporto fiduciario per avere il datore di lavoro rilevato nel proprio dipendente una propensione a non curare gli interessi dell'impresa cui appartiene.
L'idoneità dell'azione a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario va apprezzata in concreto, senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, secondo una prognosi formulata con riferimento alla situazione così come presentatasi al momento dell'azione posta in essere, in base alle condizioni prevedibili del caso particolare.
In tale contesto, è palesemente illogico asserire - come ha fatto il ricorrente - di avere agito "inconsapevolmente", ben potendo il lavoratore prefigurarsi, all'atto di costituire la società con lo stesso oggetto sociale e con sede contigua, la potenzialità lesiva della condotta posta in essere in rapporto all'interesse dell'impresa del datore di lavoro.
L'esito alterno nei gradi di merito giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.
Avv. Antonino Sugamele

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