Locazione: nullo il contratto verbale anche se l'inquilino ha denunziato il propriatrio all'Agenzia delle Entrate.
Tribunale di Roma, sez. VI Civile, sentenza 24 ottobre 2013, n. 21287
Presidente Emilio Norelli
Fatto e diritto
Con ricorso depositato il 4-12-2012, Camilletti Mirella ha esposto: ella, proprietaria di un appartamento in Roma, via N. n. 175, scala C, int. 4, ha concesso in locazione a D.C.A. una stanza di detto appartamento, con uso di servizi comuni, nel novembre 2011; il conduttore, pur avendo da subito occupato la stanza, si è sottratto alla formalizzazione per iscritto ed alla sottoscrizione del contratto e, poi, ha comunicato alla locatrice, con lettera in data 19-3-2012, di aver registrato in data 8-3-2012 un contratto di locazione verbale, invocando l'applicazione dell'art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2011. Tanto premesso, la ricorrente ha chiesto: accertare la nullità del contratto di locazione e della denuncia del contratto verbale; accertare che D.C.A. occupa senza titolo l'immobile; condannare il medesimo occupante a rilasciare immediatamente l'immobile e a pagare un'indennità di occupazione abusiva in misura pari al canone pattuito di euro 400,00 al mese, da dicembre 2011 al rilascio, previa detrazione delle somme già versate dall'occupante.
Il convenuto, ritualmente costituitosi con memoria difensiva depositata il 16-4-2013, ha resistito alla domanda attorea, deducendo ed eccependo che: effettivamente nel novembre 2011, avendo urgente necessità di reperire un alloggio, ha preso in locazione dalla Camilletti Mirella una stanza ammobiliata, con decorrenza dal 1° dicembre 2011, accettando le condizioni imposte dalla locatrice: canone di euro 400,00 al mese e deposito cauzionale di euro 200,00, subito versati (come da ricevuta, non firmata); occupata subito la stanza, egli ha pagato anche per i successivi mesi di gennaio e febbraio 2012 il corrispettivo pattuito di euro 400,00; la locatrice non gli ha mai rilasciato ricevute; in data 8-3-2012 egli ha registrato il contratto di locazione verbale e con lettera del 19-3-2012 ha comunicato alla locatrice che, in base alla normativa del d.lgs. n. 23 del 2011, il canone legale sarebbe stato di euro 72,15 al mese. Il convenuto, perciò, ha chiesto rigettarsi la domanda attorea e ha proposto domanda riconvenzionale, chiedendo: accertare l'esistenza di un contratto di locazione ad uso abitativo della durata di anni quattro più quattro, con decorrenza dal 1-12-2011; determinare il canone mensile in euro 72,15; condannare la ricorrente alla restituzione delle somme percepite in più sul dovuto.
La ricorrente ha replicato con memoria depositata il 14-10-2013.
All'odierna udienza, i difensori delle parti hanno concluso come da verbale, riportandosi ai rispettivi scritti, e discusso oralmente la causa.
La domanda attorea è fondata e va accolta per quanto di ragione.
Dalle allegazioni delle parti emerge che esse nel novembre 2011 hanno stipulato verbalmente un contratto di locazione avente ad oggetto una sola stanza di un immobile urbano ad uso abitativo e che il convenuto effettivamente occupa tale stanza dal 1° dicembre 2011. Non essendo stata dedotta da alcuna delle parti la prestazione di servizi aggiuntivi all'uso della stanza, deve escludersi che si sia in presenza di un contratto di “affittacamere” (cfr. Cass. 8 agosto 1985, n. 4403).
A norma dell'art. 1, comma 4, legge n. 431 del 1998, “per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”. Tale norma, per la sua ampia formulazione, ingloba ogni contratto di locazione immobiliare ad uso abitativo e va, dunque, applicata anche ai contratti di locazione di porzioni (una o più stanze) di unità immobiliari abitative.
Il contratto intercorso fra le parti, pertanto, è nullo per difetto di forma ad substantiam (artt. 1350, 1418 c.c.).
Nella specie, non può ritenersi applicabile l'art. 13, comma 5, della legge n. 431 del 1998, non risultando esservi “appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative” (art. 2, comma 3, legge cit.), che abbiano ad oggetto non già autonome unità abitative nella loro interezza, bensì solo porzioni (ossia singole stanze) di esse, accordi ai quali andrebbe parametrato il canone di locazione da determinarsi dal giudice “nel giudizio che accerta l'esistenza del contratto di locazione”, nei casi in cui il locatore abbia “preteso l'instaurazione di un rapporto di locazione di fatto” (art. 13, comma 5). Del resto è evidentemente incompatibile con la locazione di una sola stanza la disciplina del rinnovo del contratto di cui all'art. 2 legge cit., essendo riferibili solo alla locazione di autonome unità abitative (e non anche a quella di porzioni di esse) i “casi” ivi previsti (“in cui il locatore intenda adibire l'immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all'articolo 3, ovvero vendere l'immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo articolo 3”).
Peraltro, il convenuto non ha allegato specifiche circostanze di fatto, dalle quali si possa evincere inequivocabilmente che sia stata la locatrice a “pretendere” la instaurazione di “un rapporto di locazione di fatto”. Di tal che le prove proposte sono comunque ininfluenti.
Quanto, poi, alla registrazione ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, deve dirsi che essa non vale a sanare la nullità del contratto per difetto di forma ad substantiam (come non vale a sanare qualunque altra nullità da cui il contratto di locazione possa essere affetto ex art. 1418 c.c.): gli effetti ex lege della registrazione, di cui alla norma citata, presuppongono l'esistenza di un contratto di locazione valido ed immune da vizi sotto ogni altro profilo diverso dalla mancata registrazione nel termine di legge.
D'altro canto, non sono nella specie applicabili le disposizioni dell'art. 3, commi 8 e 9. del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, le quali si attagliano solo alle locazioni di autonome “unità immobiliari” oggetto di godimento nella loro interezza, come risulta sia dal richiamo all'art. 2, comma 1, della legge n. 431 del 1998, circa il rinnovo del contratto (di cui si è già vista l'inapplicabilità alla locazione di una singola stanza), sia dal riferimento alla “rendita catastale” circa la misura del canone legale, giacché tale rendita è determinata per ciascuna “unità immobiliare urbana”, nella sua interezza e non è suscettibile di essere frazionata (artt. 3 ss. r.d.l. 13 aprile 1939, n. 652).
Ne consegue che il convenuto, che non ha contestato di occupare la stanza invalidamente locatagli, va condannato al rilascio immediato della stessa.
Quanto al risarcimento del danno per occupazione sine titulo, va richiamata la giurisprudenza di legittimità, secondo cui, “in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno subito dal proprietario è in re ipsa. discendendo dalla perdita della disponibilità del bene e dall'impossibilità di conseguire l'utilità ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso; la determinazione del risarcimento del danno ben può essere, in tal caso, operata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, con riferimento al ed. danno figurativo e, quindi, con riguardo al valore locativo del bene usurpato” (Cass. 8-5-2006, n. 10498; Cass. 17-11-2011, n. 24100).
Orbene, nella specie, la ricorrente ha prodotto (in copia) altri due contratti di locazione (scritti e registrati), da lei stipulati con terzi, aventi ad oggetto altre due stanze del medesimo appartamento, per le quali risulta pattuito un canone mensile di euro 250,00. In mancanza di altri elementi probatori, apparendo congrua, anche in via di valutazione equitativa (artt. 1226, 2056 c.c.), detta somma mensile, il danno va liquidato in pari misura.
Il convenuto, pertanto, va condannato al pagamento della somma di euro 3.107,00 a titolo di differenze fra il risarcimento dovuto per i mesi da dicembre 2011 a ottobre 2013 (euro5.750,00 = euro 250,00 al mese x 23 mesi) e quanto da lui corrisposto alla ricorrente nello stesso periodo (euro 2.643,00 = euro 72,15 al mese x 20 mesi + euro 1.200,00 per i mesi di dicembre 2011, gennaio e febbraio 2012), oltre agli interessi legali dalle singole scadenze mensili al saldo.
E' consequenziale il rigetto della domanda riconvenzionale.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo ai sensi del DM 20 luglio 2012.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da Camilletti Mirella nei confronti di D.C.A., con ricorso depositato in data 4-12-2012, nonché sulla domanda riconvenzionale proposta da D.C.A. con memoria difensiva depositata il 16-4-2013, così decide:
a) dichiara la nullità del contratto di locazione verbale intercorso fra le parti e avente ad oggetto una stanza dell'appartamento sito in Roma, via N. n. 175, scala C, int. 4;
b) condanna D.C.A. a rilasciare immediatamente detta stanza alla ricorrente;
c) condanna D.C.A. a pagare a Camilletti Mirella, a titolo di risarcimento, la somma di euro 3.107,00 per l'occupazione da dicembre 2011 a ottobre 2013, oltre agli interessi legali dalle singole scadenze;
d) rigetta la domanda riconvenzionale;
e) condanna D.C.A. a rimborsare alla ricorrente le spese processuali, che liquida d'ufficio in complessivi euro 1.390,00, di cui euro 450,00 per esborsi ed euro 940,00 per compensi, oltre a IVA e CPA nella misura di legge.
14-11-2013 22:05
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