Militare di leva si infortuna a seguito di una caduta durante una esercitazione nell'aeroporto di Ghedi.
Corte appello Reggio Calabria Data: 07/03/2013 ( ud. 28/02/2013 , dep.07/03/2013 )
RESPONSABILITÀ CIVILE - Cose in custodia -
CORTE DI APPELLO DI REGGIO CALABRIA
La Corte di Appello di Reggio Calabria, sezione civile, riunita in
camera di consiglio e composta dai signori:
1) dott. Giovanni Battista MACRÌ - Presidente
2) dott. Augusto SABATINI - Consigliere
3) dott. Giuseppe LOMBARDO - Consigliere relatore
sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 28 febbraio 2013, ha
pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella causa civile d'appello iscritta al n. 484/2012 R. G., e
vertente
TRA
Ministero della Difesa, in persona del ministro pro tempore, cod.
fisc. ..., rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di Reggio Calabria ed elettivamente
domiciliato presso i suoi uffici in Reggio Calabria, via D.P. n. 15,
APPELLANTE
E
F.M., nato a Melito di Porto Salvo (Reggio Calabria) il ...,
residente in Manfredonia (Foggia), Largo delle C. n. 5, cod. fisc.
..., rappresentato e difeso per procura in atti dagli avvocati
Pasquale Longo del foro di Foggia e Fabio De Simone Saccà, ed
elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Reggio
Calabria, via D.G. n. 35,
APPELLATO
Fatto
Letti gli atti di causa, sentito il relatore;
rilevato che con sentenza n. 656 del 24 aprile 2012 il Tribunale di Reggio Calabria ha condannato il Ministero della Difesa al pagamento della somma di euro 11.212,62, oltre interessi, a titolo di risarcimento dei danni alla persona subiti il 24 febbraio 2000 dal militare di leva M.F. in seguito ad una caduta avvenuta nel corso di una esercitazione svolta presso l'aeroporto di Ghedi dal reparto a cui l'attore era stato assegnato;
che avverso la sentenza, con citazione notificata il 23 novembre 2012, ha proposto appello il Ministero, contestando l'affermazione della propria esclusiva responsabilità e la conseguente condanna al risarcimento dei danni;
che a sostegno del gravame l'Amministrazione lamenta la violazione del principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato e l'inammissibilità della qualificazione ex officio della domanda ai sensi dell'art. 2051 c. c., l'erroneità, in fatto e in diritto, della stessa qualificazione, l'insussistenza di qualunque sua responsabilità in base agli ordinari criteri di imputazione, e solo in via subordinata contesta il mancato riconoscimento di un concorso di colpa del F. e chiede, sempre in via subordinata, una proporzionale riduzione dell'entità della condanna;
che l'originario attore ha chiesto il rigetto dell'impugnazione e la conferma della sentenza appellata;
ritenuto che il gravame non ha una ragionevole probabilità di essere accolto, e quindi, così come ha invocato l'appellato, la causa può essere definita in esito alla prima udienza con ordinanza succintamente motivata ai sensi dell'art. 348-ter c. p. c., introdotto dall'art. 54, 1° comma, lett. a), del d. l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile nel caso di specie;
che infatti, quanto alla qualificazione della domanda, il Tribunale non ha operato alcuna indebita "correzione", come lamenta l'amministrazione appellante, ma ha considerato l'azione sussumibile sia sotto l'art. 2051 c. c., che sotto gli artt. 28 Cost., 2043 e 2049 c. c., assumendo che l'attore invochi la responsabilità del Ministero sia quale "custode" dell'area in cui si è verificato l'incidente, sia quale "autore" dell'illecito che ha prodotto il danno, attraverso l'imputazione ai suoi organi e dipendenti (e quindi alla stessa amministrazione in virtù del rapporto di immedesimazione) dei comportamenti, omissivi o commissivi, che hanno determinato la sua caduta nella buca, ovvero lo svolgimento dell'esercitazione su un'area costellata di irregolarità e di buche anche profonde, non rilevabili durante la marcia di arretramento eseguita dai militari con l'ordine di non voltarsi indietro e senza che gli stessi fossero stati avvertiti in modo specifico della presenza delle sconnessioni del terreno;
che tale qualificazione rispecchia correttamente l'individuazione dei fatti costitutivi della pretesa risarcitoria così come operata dall'attore in citazione, laddove era stata compiuta una cronistoria dei fatti, descritta la dinamica dell'incidente ("In data 24.02.2000, alle ore 15,00 circa partecipando ad una esercitazione tattica militare, improvvisamente,il sig. F.M., al quale era stato ordinato dai suoi superiori di camminare all'indietro e senza voltarsi, precipitava in una buca non visibile perché circondata da erbetta all'interno rivestita di cemento"), e riportata dettagliatamente la storia clinica relativa alle conseguenze dell'incidente, avendo infine l'attore genericamente affermato l'evidenza della responsabilità del Ministero della Difesa, "considerate le circostanze che hanno determinato il verificarsi del sinistro";
che siffatta prospettazione individuava situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee ad integrare la fattispecie contemplata sia dall'art. 2043 c. c. che dall'art. 2051 c. c. (tanto che in questo caso si ritiene consentito alla parte, che abbia invocato in primo grado la responsabilità del convenuto ai sensi dell'art. 2043 c. c., di chiedere successivamente la condanna del medesimo convenuto ai sensi degli artt. 2050 o 2051 c. c. senza incorrere nella violazione del divieto di introdurre domande nuove: Cass. 20 agosto 2009, n. 18520);
che peraltro, contrariamente a quanto assume l'appellante, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 c. c., non si fonda sulla "violazione di un obbligo di custodire", ma ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode, posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, intendendosi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta, salva la prova, che incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, inteso nel senso più ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Solo ove non sia applicabile la responsabilità di cui alla norma citata, per l'impossibilità in concreto dell'effettiva custodia del bene, il proprietario risponde dei danni subiti ai sensi dell'art. 2043 c. c., essendo in questo caso a carico del danneggiato l'onere di provare l'anomalia del bene, mentre spetta al proprietario, nella specie l'amministrazione militare, provare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quale, ad es., la possibilità, in cui l'interessato si sia trovato, di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la predetta anomalia (v. Cass. 19 maggio 2011, n. 11016);
che nel caso di specie è fuori discussione il rapporto di causalità dell'evento dannoso, e quindi delle conseguenze fisiche della caduta, con l'area appartenente all'amministrazione e destinata allo svolgimento dell'esercitazione, così come è da escludere che il F. abbia assunto iniziative o comportamenti imprudenti, ponendosi volontariamente in condizioni tali da favorire l'incidente, e quindi interrompere, anche in parte, il predetto nesso causale (v. Cass. 13 dicembre 2012, n. 22898);
che a tal proposito è significativo che la competente sezione del comitato di verifica per le cause di servizio del Ministero dell'economia e delle finanze, con delibera del 12 luglio 2006 di cui è stata prodotta copia in primo grado (all'udienza del 21 novembre 2007), ha riconosciuto dipendenti da "fatti di servizio" la grave distorsione e le lesioni dei legamenti al ginocchio sinistro subite dal F., escludendo al contempo che emergano nella vicenda "elementi causativi o concausativi riferibili a dolo o colpa grave del medesimo";
che pertanto, esclusa del tutto la possibilità di ipotizzare un concorso di colpa dell'odierno appellato come invocato dal Ministero appellante con il motivo subordinato di impugnazione, le risultanze di causa impongono di negare anche la fondatezza delle altre censure;
che in particolare, appurato che il terreno si presentava sconnesso e che la buca si trovava "tra l'erba" (teste C.V.) ed era profonda (anche se non più di 50 cm secondo l'ufficiale responsabile), è emerso che nel corso dell'esercitazione, che prevedeva lo sgombro forzato di una struttura occupata durante un attacco terroristico, al F. ed ai compagni di squadra, da poco tempo assegnati alla base di Ghedi dopo l'addestramento iniziale svolto a Viterbo, era stato ordinato di indietreggiare per il recupero della posizione corretta e tale manovra (come ha riferito il teste Calabrese e come sembra logico presumere che sia imposto ove si debba fronteggiare la sorgente del pericolo) comportava di regola l'obbligo di non voltarsi indietro;
che, contrariamente a quanto assume l'appellante, il giudice di primo grado non ha soltanto escluso, ai fini dell'esonero da responsabilità ex art. 2051 c. c., il raggiungimento della prova del caso fortuito ovvero della negligenza o imprudenza dell'appellato, ma ha anche considerato raggiunta la prova della responsabilità del Ministero ex art. 2043 c. c., addebitando all'amministrazione, oltre alla mancata predisposizione di misure idonee a neutralizzare la pericolosità del fondo dell'area in cui si svolgeva l'esercitazione (eliminazione delle sconnessioni, copertura o segnalazione delle buche), anche la negligenza dei responsabili, ai vari livelli, della sicurezza dell'esercitazione (ufficiale di guardia, capisquadra), e quindi la mancanza di una idonea informazione sulla presenza di buche ed irregolarità (che pure competeva sia all'ufficiale e ai capisquadra), tanto più necessaria in quanto - come ha riferito il teste P., nell'occasione ufficiale di guardia - i trenta militari coinvolti, da poco arrivati dalla scuola reclute di Viterbo, conoscevano appena la zona teatro dell'esercitazione (se non la prima una delle prime a cui partecipavano);
che non vale ad escludere la responsabilità dell'amministrazione il generico richiamo ai rischi dell'attività militare, ipotizzando che quanto accaduto dovrebbe farsi rientrare nell'ambito di ciò che è normalmente ad essa correlato, poiché il pericolo che nella specie si è concretizzato esula da quelli ordinariamente connessi ad una esercitazione del tipo descritto, tanto più se svolta da un reparto di giovani militari di leva appena giunti al reparto di assegnazione dopo il periodo di addestramento iniziale;
che l'amministrazione soccombente va condannata al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in dispositivo;
PQM
P.Q.M.
Visti gli artt. 348-bis e 348-ter c. p. c., dichiara inammissibile l'appello proposto dal Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, nei confronti di F.M. avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria n. 656 del 24 aprile 2012.
Condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 1.400,00 per compensi, oltre IVA e CPA.
Reggio Calabria, 28 febbraio 2013
Il presidente
(dott. Giovanni Battista MACRì)
Il consigliere relatore
(dott. Giuseppe LOMBARDO)
Dep. 7 marzo 2013
14-04-2013 19:07
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