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Sentenza

Occupazione appropriativa....
Occupazione appropriativa.
T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sez. I, 5 novembre 2013, n. 591

N. 00591/2013 REG.SEN.

N. 00113/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

Sezione Staccata di Reggio Calabria

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 113 del 2010, proposto da:
Paolo Caridi e Maria Rosaria Calù, rappresentati e difesi dagli avv.ti Domenico Gentile e Maria Grazia Bottari, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultima in Reggio Calabria, via dei Bianchi, 3;

contro

Comune di Reggio di Calabria, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio

per ottenere

la differenza tra il valore che la proprietà dei ricorrenti avrebbe avuto senza la mutilazione e l'oscuramento dovuti all'opera pubblica ed il suo valore residuo dopo il compimento di detta opera, o in alternativa la condanna del Comune alla riduzione in pristino stato ed alla restituzione dei beni occupati e ad una riparazione pecuniaria per il periodo di occupazione illegittima, oltre interessi

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2013 il dott. Caterina Criscenti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I ricorrenti, premesso di essere proprietari di un immobile urbano a cinque elevazioni, costruito su suolo acquistato con atto notar Andrea Zagami 27.3.1979, confinante con il torrente Calopinace, in catasto al fg. 112, part. 484 (fabbricato con corte), 485 e 487 (terreno pertinenziale), asseriscono che il Comune di Reggio Calabria, con delibera G.M. 21.12.1989 n. 814, approvava il progetto di una strada arginale lungo l'asta del torrente Calopinace, che interessava per mq. 90 la particella 484, l'intera particella 485, di mq. 1.160, e per mq. 252 la particella 487.

L'occupazione d'urgenza veniva disposta con decreto 12.3.2002, prot. 508, eseguito il 30.4.2002, che di fatto decadeva il 22.12.2004, con lo scadere dei termini fissati con la delibera che aveva approvato il progetto e dichiarato la pubblica utilità dell'opera.

Sostengono i ricorrenti che l'opera, compiuta prima della scadenza dell'efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, incideva profondamente sul valore del fabbricato, non soltanto per averlo privato dei fabbricati accessori e di spazi pertinenziali, ma, soprattutto, per aver privato di luce, con la costruzione di un alto muraglione d'argine, due piani dell'edificio.

Ciò premesso i ricorrenti chiedono, con ricorso notificato il 12 febbraio 2010 e depositato il 4 marzo 2010, la riduzione in pristino stato e la restituzione degli immobili occupati, con il risarcimento per il periodo di occupazione illegittima dal 22 dicembre 2004 alla restituzione ovvero, una somma che li ristori della perdita della proprietà, optando comunque per un risarcimento interamente pecuniario, corrispondente, in applicazione dell'art. 33 T. U. Espr., alla differenza tra il valore della loro proprietà prima dell'occupazione e quello successivo all'esecuzione delle opere ed alla sottrazione delle porzioni occupate, con oscuramento di due piani dell'edificio.

Il Comune di Reggio Calabria, benché regolarmente intimato, non si è costituito in giudizio.

Con ordinanza n. 340 del 9 maggio 2012 il Tribunale disponeva consulenza, chiedendo al consulente tecnico di valutare ed accertare “la differenza di valore della proprietà dei ricorrenti prima e dopo la realizzazione della strada in questione, tenendo conto sia della sottrazione delle aree di loro proprietà, sia dell'oscuramento di due piani dell'edificio esistente; il tutto con riferimento ai valori di mercato alla data del 22 dicembre 2004 e, in alternativa, pure a quelli correnti alla data del 4 marzo 2010, di deposito del ricorso”.

In data 12 settembre 2012 il consulente provvedeva al deposito della relazione e la parte ricorrente provvedeva al deposito di memoria difensiva.

In esito all'udienza pubblica del 5 dicembre 2012 il Tribunale richiedeva documentati chiarimenti alla parte, riconvocando il consulente all'udienza pubblica del 22 maggio 2013, in esito alla quale la causa è stata posta in decisione.

2. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati.

La parte ha, fin dall'atto introduttivo del giudizio, formulato alternativamente domanda di restituzione del bene e domanda di risarcimento del danno per equivalente, sebbene premettendo un'esposizione dei fatti generica, frammentaria ed imprecisa.

Il Collegio ha già più volte trattato fin dall'entrata in vigore dell'art. 43 T.U., il delicato tema delle procedure ablatorie, avviate ma non regolarmente concluse con l'adozione del decreto d'esproprio (vd. sent. n. 358 del 29 aprile 2005 e giurisprudenza successiva)

2.1. Da ultimo la questione principale, consistente nello stabilire se il soggetto proprietario di un immobile trasformato ed utilizzato senza titolo dall'amministrazione, per finalità di interesse pubblico, possa scegliere, autonomamente, di chiedere il risarcimento del danno per equivalente o la restituzione dell'immobile, e quali siano le condizioni e gli effetti dell'accoglimento della domanda risarcitoria, ha avuto ampia e convincente trattazione, sotto la vigenza dell'art. 43, da parte del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con la sentenza n. 486 del 25 maggio 2009, i cui tratti salienti di seguito riportati il Collegio condivide, siccome conformi alla linea interpretativa già adottata nelle proprie precedenti decisioni, valevole anche sotto il vigore dell'art. 42 bis.

Ammissibilità della domanda di risarcimento, anche insieme a quella di restituzione

Secondo le coordinate civilistiche, desumibili dalla lettura sistematica degli articoli 2043, 2058 e 2933 del codice civile, la riparazione del danno patrimoniale ingiusto extracontrattuale subito dal proprietario di un bene può avvenire, alternativamente, tramite la corresponsione dell'equivalente monetario, oppure mediante la reintegrazione in forma specifica, attuata mediante la restituzione, accompagnata dalla fisica e materiale riparazione o sostituzione della cosa danneggiata, distrutta o resa inservibile per l'uso.

La previsione dell'alternatività delle due forme di tutela comporta l'attribuzione al danneggiato del diritto di optare per la modalità risarcitoria ritenuta più idonea a proteggere i propri interessi e né il giudice, né tanto meno l'autore dell'illecito possono contrastare tale scelta, al di fuori dei confini posti dall'articolo 2058 del codice civile.

In particolare, non è attribuito al danneggiante il potere di paralizzare - automaticamente - la domanda risarcitoria per equivalente proposta dall'interessato, mediante la mera offerta di una riparazione in forma specifica.

La Cassazione ha da tempo affermato il principio secondo cui la scelta del tipo di risarcimento (se in forma specifica o per equivalente) spetta al danneggiato, in quanto gli strumenti di tutela del soggetto interessato rientrano nella disponibilità della parte, la quale, in base alle circostanze, può ritenere preferibile l'una o l'altra forma di realizzazione dell'interesse leso dal comportamento illecito del danneggiante. Tale principio opera anche nei casi in cui il danno discenda dalla materiale apprensione di un bene e dalla sua radicale trasformazione fisica, e il risarcimento in forma specifica miri alla restituzione del bene, ovviamente nel suo stato originario e con le medesime potenzialità di utilizzazione presenti prima dell'evento dannoso.

La disciplina specifica contenuta nell'articolo 43 del testo unico delle espropriazioni non prevede, in materia di risarcimento del danno subito dal proprietario, regole contrastanti con i principi generali espressi dal codice civile.

La specialità della normativa si innesta nel quadro sistematico della tutela risarcitoria, dettando alcune significative deroghe, le quali, tuttavia, non intaccano la persistente cogenza del principio di alternatività tra la tutela risarcitoria e la reintegrazione in forma specifica.

La lettera della disposizione, quanto la sua ratio, intendono regolare, innovativamente, le ipotesi di trasferimento coattivamente imposte al proprietario, senza nulla dire in ordine alla perdita della proprietà derivante da una scelta spontanea dell'interessato: in tale secondo caso devono applicarsi i principi comuni in materia di risarcimento del danno.

La circostanza che l'articolo 43 non faccia alcuna menzione della domanda risarcitoria proposta autonomamente dall'interessato, in luogo della richiesta restitutoria, non può significare affatto che questa forma di tutela sia stata espunta dall'ordinamento, perché essa è fondata direttamente sulle regole generali.

È pacifico, del resto, che “sul piano processuale, il risarcimento per equivalente costituisca un "minus" rispetto alla reintegrazione in forma specifica e ne rappresenti il sostitutivo legale sussidiario mediante prestazione dell'"eadem res debita", per cui la relativa domanda è contenuta in quella della reintegrazione in forma specifica” (ex plurimis Cass. 25.11.1983, n. 7080), con la conseguenza che, anche se il danneggiato chiede la reintegrazione in forma specifica, il giudice gli può accordare il risarcimento per equivalente, senza violare il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, mentre non è possibile il contrario.

Il fatto, dunque, che l'art. 43 contenesse un riferimento testuale alla domanda di restituzione del bene utilizzato senza titolo dall'amministrazione, mediante la realizzazione di un'opera pubblica, comporta il riconoscimento, sistematico, dell'azione diretta ad ottenere il risarcimento per equivalente e non certo la sua negazione. La previsione della forma di tutela più ampia e satisfattiva (in forma specifica), presuppone, evidentemente, la sussistenza dei mezzi di tutela “minori” (il risarcimento per equivalente).

Ammissibilità della rinuncia alla proprietà immobiliare.

Si pone però il problema se la domanda risarcitoria per equivalente, diretta ad ottenere una riparazione patrimoniale calibrata sul valore venale del bene del danneggiato, postuli che il danneggiato sia stato definitivamente privato del diritto di proprietà.

Il Collegio ritiene corretta l'affermazione circa il necessario collegamento tra la perdita delle proprietà e il diritto al risarcimento integrale del valore del bene.

Però se è vero che tale azione non può più basarsi sull'affermata esistenza di un meccanismo normativo che collega il trasferimento della proprietà al fatto materiale della realizzazione dell'opera, come era la c.d. accessione invertita, è anche vero che il decreto di acquisizione sanante non è l'unica modalità idonea a determinare la perdita del diritto di proprietà.

A fronte della piena disponibilità delle facoltà economiche e patrimoniali dei soggetti privati, la “rinuncia” al diritto di proprietà immobiliare trova, infatti, piena cittadinanza nel sistema generale civilistico, senza incontrare alcun significativo ostacolo di ordine letterale o sistematico.

E in linea con la giurisprudenza della Cassazione in materia di occupazione “usurpativa”, formatasi proprio in relazione a quelle fattispecie in cui, diversamente dai casi di occupazione appropriativa, permane il diritto del proprietario ad ottenere la restituzione del bene e la reintegrazione in forma specifica, nonostante l'intervenuta realizzazione materiale dell'opera pubblica, la domanda di risarcimento del danno per equivalente si accompagna, esplicitamente o implicitamente, alla formale dichiarazione della rinuncia al diritto di proprietà, sospensivamente condizionata all'accoglimento dell'azione proposta dinanzi al giudice (sull'abdicazione del diritto dominicale per effetto della domanda risarcitoria, vd. anche CGA, 10 novembre 2010 n. 1410).

Valore della rinuncia nella vigenza dell'art. 42 bis

Ritiene correlativamente il Collegio non condivisibile la tesi secondo la quale l'art. 43, prima, o il 42 bis, ora, contempli, espressamente, un solo modo attraverso cui può verificarsi la perdita del diritto di proprietà dell'interessato, connessa alla realizzazione di un bene per finalità di interesse pubblico: l'adozione del provvedimento di acquisizione sanante, subordinato alla valutazione discrezionale dell'amministrazione.

Se lo scopo palese della disposizione - sul quale vi è totale consenso tanto in dottrina quanto in giurisprudenza - è quello di cancellare dall'ordinamento il modo di acquisto “automatico” dell'occupazione appropriativa, giudicato incompatibile con il sistema di protezione della proprietà provata, essa però non ha inteso affatto eliminare una forma di tutela ulteriore del privato, attivata spontaneamente dal soggetto interessato e agevolmente ricavabile dai principi del risarcimento del danno per equivalente, sempre ammesso dal codice civile.

La discrezionalità dell'amministrazione emerge solo quando essa intenda, attraverso l'adozione dell'atto di acquisizione sanante, impedire la restituzione del bene, ma non vi è spazio per una discrezionalità di segno opposto e negativo, che possa consentire all'amministrazione, contro i principi di diritto civile, di paralizzare la richiesta meramente risarcitoria dell'interessato.

Quindi, la norma non contiene alcuna previsione esplicita o implicita, diretta a vietare la rinuncia al diritto di proprietà sul suolo utilizzato per la realizzazione di un'opera pubblica in assenza di valido ed efficace titolo.

Effetti della rinuncia.

Spetta, dunque, ai ricorrenti il risarcimento per la perdita del diritto di proprietà, determinato, però, non già con riferimento alla data di ultimazione dell'opera pubblica, secondo il meccanismo dell'accessione invertita, ormai espunto dal nostro ordinamento, ma a quella, diversa, in cui l'Amministrazione adotta un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis T.U. espr., oppure, in mancanza (come nel caso di specie), a quello in cui il proprietario, optando per il solo risarcimento del danno per equivalente, abbandona implicitamente il proprio diritto di proprietà in favore dell'amministrazione, la quale da tempo utilizza e continua ad utilizzare il bene per fini pubblici, pur senza regolarne la sua definitiva apprensione. Circostanza che nel caso di specie è aggravata dal fatto che i beni risultano appresi nell'ambito di una più ampia attività ablatoria che – secondo quanto accertato in corso di causa – non ha ricevuto una regolamentazione solo per gli odierni ricorrenti.

3. Ciò premesso e sulla base delle risultanze della consulenza disposta da questo giudice, si ritiene fondata la domanda di risarcimento dei danni per la perdita del diritto di proprietà nei limiti di seguito specificati.

In primo luogo, nonostante la rivendicazione dei ricorrenti, non può essere oggetto di rinuncia e, dunque, di risarcimento, l'area ricadente sulla part. 487, perché essa si è accertato appartenere ad altri soggetti (Calù Ferdinando e Labate Francesca), che, peraltro, l'avrebbero già ceduta volontariamente al Comune.

Il risarcimento va piuttosto limitato all'intera particella 485 di mq. 1160 per un valore che, al 2004, è fissato dal consulente in € 4,50 al mq e che può essere attualizzato equitativamente ad oggi ad € 5,00 al mq, nonché a mq. 90 della part. 484, il cui valore è dallo stesso consulente ad oggi ritenuto pari ad € 51,65 al mq.

Ne consegue che va riconosciuto ai ricorrenti la complessiva somma di €. 10.448,50 (€ 4.648,50 + € 5.800,00).

Per il periodo di occupazione senza titolo, ossia dal 22 dicembre 2004 al 3 marzo 2010, può essere computato a titolo risarcitorio una somma pari all'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato come sopra, rivalutato anno per anno dal 2004 al 2010 solo per la part. 485 (avendo precisato e ribadito il consulente l'eccessività del valore indicato nel piano particellare per la part. 484).

3. Nessun'altra voce di danno va riconosciuta.

L'unica voce espressamente reclamata in ricorso, riguardante la diminuzione di valore del fabbricato edificato, abusivamente, sulla part. 484, per “oscuramento di due piani dell'edificio”, non può trovare ingresso.

Secondo il pacifico insegnamento della giurisprudenza, già condiviso da questo Tribunale (sent. n. 82 del 31 gennaio 2013) in tema di espropriazione per pubblica utilità, gli immobili costruiti abusivamente non sono suscettibili di indennizzo, a meno che alla data dell'evento ablativo non risulti già rilasciata la concessione in sanatoria (cfr. Cass. civ., I, 14 dicembre 2007, n. 26260; Id, 30 novembre 2006, n. 25523; 9 aprile 2002 n. 5046; 7 dicembre 1999, n. 13656).

Dal momento che l'edificio abusivo è incommerciabile (art. 17, co. 1, l.n. 47/85 trasfuso nell'art. 46 DPR n. 380/2001), nessuna indennità o risarcimento può essere riconosciuta al proprietario per il caso di espropriazione per pubblica utilità, ancorchè quest'ultima non si compia secondo lo schema legale e non venga conclusa con il formale decreto d'espropriazione, non essendo assimilabile alle “procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali”, che sono le sole espressamente consentite su beni abusivi dall'ultimo comma dell'art. 46 cit.

Sarebbe, infatti, del tutto illogico che quello stesso immobile privo di valore sul mercato in quanto incommerciabile (e potenzialmente soggetto ad obbligo di demolizione in quanto abusivo con acquisizione dell'area di sedime al pubblico demanio senza oneri per la P.A.), divenga risarcibile in sede di espropriazione.

Peraltro, nel caso di specie, i proprietari dell'immobile abusivo, che risulta solo in parte completato, più che un nocumento dall'opera pubblica, hanno ricevuta da essa un vantaggio, avendo l'amministrazione comunale provveduto alla realizzazione di una strada arginale lungo l'asta del torrente Calopinace, così di fatto proteggendo e salvaguardando le aree e gli immobili ad esso prossimi.

4. Considerato l'esito complessivo della lite, si dichiarano non ripetibili le spese della lite, ad eccezione di quelle per la consulenza che vanno poste a carico dell'Amministrazione resistente

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

- dichiara l'acquisto della proprietà intervenuto il 4 marzo 2010 da parte del Comune di Reggio Calabria – per abdicazione implicita da parte dei ricorrenti - dei fondi siti in Reggio Calabria in catasto al foglio 112, part. 485 di mq. 1160 e part. 484 per soli mq. 90;

- condanna il Comune di Reggio Calabria al pagamento a favore dei ricorrenti della somma complessiva di €. 10.448,50, oltre rivalutazione monetaria da aprile 2010 fino alla data di deposito della presente sentenza ed interessi legali sulla sorte capitale annualmente rivalutata dalla medesima data fino al soddisfo;

- condanna, altresì, il Comune di Reggio Calabria al pagamento in favore dei ricorrenti, per il periodo di occupazione senza titolo (22 dicembre 2004 – 3 marzo 2010), di una somma pari all'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato come sopra, rivalutato anno per anno dal 2004 al 2010 limitatamente alla part. 485;

- dichiara non ripetibili le spese della lite, ad eccezione di quelle per la consulenza che, liquidate con separato provvedimento, vanno poste a carico dell'Amministrazione resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 22 maggio e del 25 settembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Ettore Leotta, Presidente

Caterina Criscenti, Consigliere, Estensore

Valentina Santina Mameli, Referendario

 		
 		
L'ESTENSORE		IL PRESIDENTE
 		
 		
 		
 		
 		

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/11/2013

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO
Avv. Antonino Sugamele

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