Se il termine per proporre impugnazione non è scaduto si possono fare due appelli consecutivamente? Si.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 1 - 17 ottobre 2013, n. 23585
Presidente Berruti – Relatore Amendola
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 20 settembre 2005 Milano Assicurazioni s.p.a. propose appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Acri che aveva deciso sulla domanda di risarcimento danni proposta da M.L. nei suoi confronti, nonché nei confronti di Europ Car Lease s.r.l..
Nell'inerzia dell'appellante, il gravame venne iscritto a ruolo a cura dell'appellato diligente. Costituitasi a sua volta in giudizio, l'impugnante chiese che l'appello venisse dichiarato improcedibile, ex art. 348, comma 1, cod. proc. civ..
Con atto distinto dal primo, notificato l'8 ottobre successivo, la medesima società assicuratrice propose appello di identico contenuto avverso la medesima pronuncia.
I procedimenti, riuniti, sono stati decisi dal Tribunale di Cosenza con sentenza del 5 ottobre 2007 che, in parziale accoglimento della proposta impugnazione, ha condannato i convenuti al pagamento in favore dell'attore, della somma di Euro 2.714,60, oltre interessi.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte M.L. , formulando due motivi.
Parte intimata non ha svolto alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
1 Con il primo motivo l'impugnante denuncia violazione degli artt. 165, 348 e 358 cod. proc. civ., ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ..
Oggetto delle critiche è l'affermazione del giudice di merito secondo cui l'eccezione di improcedibilità andava rigettata, ex art. 358 cod. proc. civ., essendo stato il gravame riproposto nell'osservanza del termine lungo e prima che venisse dichiarato improcedibile, di talché l'appello, unitariamente inteso, era da reputarsi ammissibile. Sostiene l'esponente che, così statuendo in ordine alla sorte di due identici atti di appello, il Tribunale di Cosenza avrebbe ritenuto l'art. 348 cod. proc. civ., di fatto assorbito dall'art. 358 cod. proc. civ., laddove l'automaticità della sanzione della improcedibilità, conseguente alla mancata costituzione nei termini dell'appellante, comportava la natura meramente dichiarativa della sentenza che di quel vizio accertava la sussistenza e la conseguente consumazione del potere di impugnazione della parte che in esso era incorsa.
2 Le censure sono infondate.
L'assunto da cui parte il ricorrente - che la sanzione dell'improcedibilità opera automaticamente allo scadere del termine stabilito per la costituzione dell'appellante e che, avendo la sentenza che lo rileva natura meramente dichiarativa, il relativo vizio avrebbe ormai irrimediabilmente consumato il potere di impugnazione - è contrario alla consolidata giurisprudenza di legittimità. Questa Corte ha invero ripetutamente affermato che la regola dettata dall'art. 348, primo comma, cod. proc. civ., nel testo sostituito, con efficacia dal 30 aprile 1995, dall'art. 54 della legge 26 novembre 1990, n. 353, secondo cui la mancata costituzione dell'appellante nel termine di cui all'art. 165 cod. proc. civ. (richiamato dall'art. 347 cod. proc. civ.), determina automaticamente l'improcedibilità dell'appello, significa solo che, verificatasi l'omissione, resta esclusa sia l'applicazione del regime di cui all'art. 171, primo comma, in relazione all'art. 307, primo comma, cod. proc. civ., e, quindi la possibilità di una riassunzione del processo entro l'anno dalla scadenza del termine di cui all'art. 166 per la costituzione dell'appellato, in caso di mancata costituzione di entrambe le parti; sia, per l'ipotesi di costituzione dell'appellato nel termine di cui all'art. 166, l'applicazione dell'art. 171, secondo comma, dello stesso codice e, quindi, la possibilità per l'appellante di costituirsi fino alla prima udienza; sia infine, per il caso di ritardata costituzione di entrambe le parti, la trattazione tout court dell'appello (confr. Cass. civ. 19 aprile 2010, n. 9265; Cass. civ. 24 gennaio 2006, n. 1322).
In tale contesto, è stata quindi ritenuta conforme ai principi costituzionali del giusto processo, volti a rimuovere, anche nel campo delle impugnazioni, gli ostacoli frapposti da inutili formalismi alla compiuta realizzazione del diritto di difesa, l'esegesi che, valorizzando gli spunti offerti dal disposto dell'art. 358 cod. proc. civ., riconosce alla parte la possibilità di proporre una seconda impugnazione, purché tempestiva, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità o improcedibilità della prima (confr. Cass. civ. 18 luglio 2011, n. 15721; Cass. civ. 19 aprile 2010, n. 9265). E al riguardo è opportuno ricordare che, per consolidato diritto vivente, la notifica di un'impugnazione equivale a conoscenza legale della decisione impugnata, con conseguente decorrenza, da quel momento, del termine breve di cui all'art. 325 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 23 maggio 2011, n. 11308; Cass. civ. 12 novembre 2010, n. 22957).
Ne deriva che correttamente il giudice di merito, malgrado l'improcedibilità del primo appello (notificato il 20 settembre 2005), ha esaminato quello proposto il 5 ottobre successivo.
3 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39, ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ..
Le critiche si appuntano contro le seguenti affermazioni del Tribunale:
a) la sentenza appellata era incorsa in confusione, considerato che, a fronte del giudizio del consulente medico legale, che aveva negato l'esistenza di postumi permanenti e aveva riconosciuto solo trenta giorni di ITT e quaranta di ITP, aveva risarcito il danno biologico da invalidità temporanea sulla base dell'art. 4 della legge n. 39 del 1977, che disciplina il risarcimento da mancata o diminuita percezione di reddito, contraddittoriamente affermando, peraltro, che il danno patrimoniale non era stato dimostrato; b) conseguentemente l'importo giornaliero di Euro 115,67, riconosciuto dal giudice di prime cure, era assolutamente esorbitante; e) corretto era invece il riferimento ai criteri fissati dall'art. 5 della legge n. 57 del 2001, relativamente al danno biologico connesso a lesioni pari o inferiori alla misura del 9%; d) tenuto conto dell'ultimo d.m. del 12 giugno 2007, il danno biologico da invalidità temporanea andava ragguagliato alla somma di Euro 40,72 al giorno.
4 Secondo il ricorrente del tutto erroneamente il giudice di merito avrebbe ritenuto inapplicabile il disposto dell'art. 4 della legge n. 39 del 1977, posto che tale norma individua nel reddito del soggetto leso il parametro per quantificare il ristoro delle lesioni dallo stesso subite, adottando un criterio riconosciuto compatibile con i precetti costituzionali anche dal Giudice delle leggi (confr. Corte cost. 24 ottobre 1995, n. 445).
5 Le doglianze non hanno pregio.
L'art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39 (peraltro abrogato dal comma 1 dell'art. 354 del Codice delle assicurazioni di cui al d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, nei limiti e con la decorrenza indicate nel successivo comma 4), prevede, in maniera non tassativa, taluni criteri di quantificazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa (confr. Cass. cv. 14 novembre 2011, n. 23761; Cass. civ. 30 marzo 2010, n. 7631; Cass. civ. 13 luglio 2010, n. 16396; Cass. civ. 10 luglio 2008, n. 18866), e cioè del danno da lucro cessante conseguente all'inabilità temporanea o all'invalidità permanente causate dal sinistro, segnatamente attribuendo, al fine di rendere più agevole al danneggiato l'assolvimento dell'onere della prova, valore di presunzione iuris tantum (come tale passibile di prova contraria), alle risultanze delle dichiarazioni rese dal sostituto d'imposta o dal lavoratore ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche: con l'ulteriore e decisivo corollario che, se il lavoratore non fornisce alcuna prova, né secondo il criterio privilegiato del primo comma, né con i mezzi normali previsti dal secondo comma, del pregiudizio in concreto subito, nessun risarcimento potrà essergli liquidato a titolo di lucro cessante per il periodo trascorso di inabilità temporanea (confr. Corte cost. n. 445 del 1995).
6 Ne deriva che l'attacco alla scelta decisoria del giudice di merito esigeva, per essere efficace, la preliminare contestazione della ritenuta insussistenza di un danno patrimoniale connesso alla sofferta inabilità temporanea, totale e parziale, laddove non di questo si duole il ricorrente, quanto piuttosto della liquidazione del danno biologico secondo criteri difformi da quelli enunciati nella predetta disposizione, senza considerare che il danno biologico è danno non patrimoniale (confr. Cass. civ. 26 giugno 2013, n. 16041), e quindi ontologicamente estraneo all'area normativa dell'art. 4 della legge 26 febbraio 1977, n. 39.
Il ricorso è respinto.
La mancata costituzione dell'intimato vittorioso esime il collegio dal provvedere sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
18-10-2013 22:43
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