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Sentenza

Un bambino è adottabile se la famiglia biologica ed i parenti di quest'ultima no...
Un bambino è adottabile se la famiglia biologica ed i parenti di quest'ultima non sono idonei a svolgere un'adeguata funzione educativa.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE - SENTENZA 28 febbraio 2013, n.5013 - Pres. Luccioli – est. San Giorgio

Motivi della decisione

1. - Con la prima censura si deduce “insussistenza dello stato di abbandono in capo al minore. Mancata valutazione delle risorse familiari comunque idonee ad ovviarvi. Violazione degli artt. 8, 10, 12, 15, 16 e 27 della L. 4 maggio 1983, n. 184”. Si lamenta la pretermissione della figura paterna nella valutazione del preteso stato di abbandono del minore di cui si tratta: del tutto immotivata sarebbe la mancata considerazione dell'attuale ricorrente, padre di D..P. , quale possibile affidatario del minore. Una pretermissione, codesta, che avrebbe trovato fondamento in circostanze puntualmente smentite, quali la connivenza con la Bi. , madre di D. , nella sua condotta anomala e progressivamente più disturbante, laddove costei lo aveva di fatto estromesso nella cura del figlio; l'assunzione di sostanze, non meglio specificate, ipotizzata dagli operatori territoriali, ed esclusa dalla esibizione di documentazione medica; la mancanza di tempo da dedicare al figlio a causa degli impegni di lavoro, affermata nella sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità ed esclusa alla stregua della dimostrazione, fornita nel grado di appello, della nuova, migliore organizzazione del proprio lavoro da parte del P. e della collaborazione offerta dai suoi genitori. Di qui la denunciata inadeguatezza delle diverse soluzioni di affidamento endofamiliare avvicendatesi nel tempo - agli zii materni e paterni, ai nonni paterni, peraltro costantemente attivi nella cura del piccolo D. , ed il cui fallimento sarebbe da imputare esclusivamente alle turbolenze della Bi. - e della successiva dichiarazione dello stato di adottabilità del minore. Non sarebbero, in definitiva, integrati gli estremi della fattispecie di cui all'art. 8, co. 3, né di quella dell'art. 15, lettera e), della legge n. 184 del 1983. Né il provvedimento impugnato avrebbe compiuto un serio esame dei concreti e dettagliati progetti formulati dall'attuale ricorrente e dagli altri opponenti, limitandosi alla considerazione che costoro, non essendo stati in grado di arginare la Bi. in passato, non avrebbero potuto esserlo in futuro. La illustrazione della doglianza si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, peraltro non richiesto ai sensi dell'ormai abrogato, né applicabile nella specie ratione temporis, art. 366 bis cod.proc.civ.: “Voglia la Suprema Corte ritenere e dichiarare che costituisce violazione degli artt. 8, 10, 12, 15é16 e 11 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ritenere la sussistenza dello stato di abbandono del minore in difetto di elementi di grave deprivazione morale e materiale in capo al medesimo ed in presenza di una costante attivazione del padre, degli zii materni e paterni e dei nonni paterni. Costituisce del pari violazione delle suddette norme l'omessa valutazione delle risorse genitoriali e familiari idonee ad ovviare alla pregressa condizione di abbandono”.

2. - Con il secondo motivo si denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito ad un punto decisivo della controversia: ritenuta inidoneità del padre a svolgere il ruolo genitoriale e/o ad ovviare alle presunte condizioni di abbandono del figlio”. Nonostante le risultanze della c.t.u., dalle quali era emerso, pur tra gli aspetti problematici, il legame affettivo del minore di cui si tratta con il padre, e la cura posta da quest'ultimo nel soddisfarne i bisogni, e dalla relazione sociale della incaricata della ASL, che aveva sottolineato la volontà del bambino di vivere con il padre, la Corte di merito aveva apoditticamente affermato la inidoneità di G..P. ad accudire il figlio ed a proteggerlo dalla invasività della madre, fondando all'evidenza il proprio convincimento esclusivamente sull'analisi del trascorso comportamento dell'attuale ricorrente - che comunque non sarebbe stato tale da concorrere a determinare il preteso stato di abbandono del figlio - senza effettuare la doverosa valutazione della sussistenza dei presupposti per ovviare in futuro a tale situazione, laddove i fatti dimostrerebbero la fortissima determinazione del P. di non abbandonare il figlio al proprio destino anche a fronte di reiterate e sfavorevoli pronunce giudiziali, nonché la maggiore consapevolezza di costui e degli stretti congiunti. Erronea sarebbe, inoltre, la pretesa della Corte territoriale di trarre elementi di giudizio sfavorevoli al padre dalla circostanza che questi avesse espresso, nel corso del giudizio, valutazioni non completamente negative sul conto della madre del minore: circostanza, codesta, determinata dalla alternanza dei comportamenti tenuti dalla Bi. nel corso della vicenda, e, quindi, dalla fiducia riposta dal P. sulla recuperabilità delle risorse genitoriali della donna, che sarebbe ridondata a vantaggio del piccolo D. .

3. - Le censure, che possono trattarsi congiuntamente, avuto riguardo alla stretta connessione che le avvince - volte come sono sostanzialmente entrambe a sindacare le ragioni del convincimento della Corte territoriale in ordine alla sussistenza dello stato di abbandono del minore D..P. , e della conseguente conferma della dichiarazione di adottabilità dello stesso già emessa dal Tribunale per i minorenni di Torino -, risultano prive di fondamento.

3.1. - Deve premettersi che, secondo il costante orientamento di questa Corte, ispirato alla valorizzazione del legame naturale posto alla base dell'art. 1 della legge n. 183 del 1984, che attribuisce carattere prioritario al diritto del minore di crescere nella famiglia di origine, si impone un particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, che non può fondarsi su anomalie non gravi del carattere e della personalità dei genitori, comprese eventuali condizioni patologiche di natura mentale che non compromettano la capacità di allevare ed educare i figli (Cass., 19 marzo 2002, n. 3988; Cass., 26 aprile 1999, n. 4139; Cass., 5 novembre 1998, n. 11112).

Benvero, come pure questa Corte non ha mancato di rilevare (Cass., sentt. n. 18563 del 2012, n. 4545 del 2010), la prioritaria esigenza, per il figlio, di vivere, nei limiti del possibile, con i genitori biologici e di essere da loro allevato non è riconosciuta in astratto, ma è finalizzata allo sviluppo armonico del minore stesso, e presuppone quindi la concreta attitudine della famiglia biologica ad assicurare allo stesso il migliore apporto alla formazione ed allo sviluppo della sua personalità. Essa, pertanto, incontra i suoi limiti nell'oggettiva incapacità della famiglia di prestare le cure necessarie e di assicurare l'adempimento dell'obbligo di mantenere, educare ed istruire la prole, configurandosi in tal caso lo stato di abbandono, il quale ricorre non soltanto in presenza di un rifiuto intenzionale e irrevocabile di assolvere i doveri genitoriali, ma anche quando i genitori non siano in grado di garantire al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e questa situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio (per tale dovendosi intendere quella inidonea, per la sua durata, a pregiudicare il corretto sviluppo psico-fisico del minore: cfr., da ultimo, Cass., sent. n. 18563 del 2012).

In definitiva, la legge n. 184 del 1983, all'art. 1, indica bensì il diritto del minore a vivere e crescere nella propria famiglia, ma solo fino a quando ciò non comporti un'incidenza grave ed irreversibile sul suo sviluppo psicofisico, e l'art. 8 della stessa legge definisce la situazione di abbandono come mancanza di assistenza materiale e morale. L'apprezzamento della sussistenza in concreto di tale situazione si sostanzia in una valutazione rimessa al giudice del merito, mentre la prospettazione di un riesame del materiale probatorio acquisito nel processo, secondo giurisprudenza ampiamente consolidata (v., per tutte, Cass., sentt. n. 18288 del 2011, n. 17915 del 2010, n. 18288 del 2011), è esclusa in sede di legittimità se la motivazione non presenti vizi di carattere logico e giuridico.

3.2. - Ebbene, nella specie l'iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata si sottrae ad ogni rilievo critico sul punto.

La Corte territoriale ha compiuto in modo rigoroso l'accertamento richiesto, richiamando le circostanze evidenziate dalla sentenza di primo grado, ed esponendo diffusamente le ragioni della ritenuta inidoneità ad ottenere l'affidamento del minore con riferimento a ciascuno degli opponenti, anche alla stregua degli accertamenti disposti in grado di appello.

In particolare, sono stati lumeggiati, da un lato, i comportamenti anomali ed a volte aggressivi della madre, affetta da disturbi della personalità, circostanze riferite dal Dipartimento di salute mentale ed emergenti dalle c.t.u. disposte, e la situazione di conflittualità della donna con i successivi affidatari del minore facenti parte del suo nucleo familiare allargato - la cui funzione a sostegno di quest'ultimo ella massicciamente aveva contrastato - a causa della difficoltà a controllare gli impulsi, che si ripercuoteva sul rapporto con il bambino, minando, tra l'altro, ogni suo punto di riferimento; dall'altro, la incapacità, per limiti personali, del P. , accertata anche attraverso indagini peritali, di prendersi cura del figlio e di proteggerlo dai comportamenti materni, nonché il suo atteggiamento passivo e non propositivo e la sua inidoneità a svolgere una funzione educativa in un quadro di personalità immatura, confermato dalla c.t.u., pur in presenza di un sicuro legame affettivo con il minore.

3.3. - Accertato, alla stregua delle emergenze processuali, che i genitori non erano idonei a far fronte alle esigenze del figlio ed a creare un ambiente familiare stabile e sereno neppure attraverso un progetto di sostegno alla genitorialità, la Corte di merito ha poi escluso che a tali limiti potessero ovviare i parenti, atteso l'esito fallimentare, emerso dal materiale istruttorio acquisito, di tutti i tentativi di affido endofamiliare del piccolo, vuoi per i rapporti conflittuali tra la madre dello stesso e i nonni paterni, vuoi per la incapacità dimostrata dagli zii materni, nonostante l'impegno e la buona accoglienza affettiva, di fornire a D. un contesto sufficientemente equilibrato e di proteggerlo dalle intrusioni materne, vuoi per la carenza di prova in ordine alla significatività dei rapporti del minore con i prozii.

In definitiva, la Corte territoriale ha ripercorso in modo appagante l'iter logico che la ha indotta al convincimento che le caratteristiche del nucleo familiare nel suo complesso escludessero una valutazione positiva non tanto delle capacità dei singoli aspiranti all'affidamento, quanto delle rispettive caratteristiche in relazione alle condotte disturbanti della madre del piccolo ed alle “dinamiche patologiche” condizionanti i rapporti nel contesto familiare.

A fronte di siffatte articolate e puntuali motivazioni, risultano insuscettibili di controllo da parte di questa Corte le spiegazioni diverse del proprio comportamento ed i nuovi profili e situazioni di fatto proposti dal ricorrente.

4. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Avuto riguardo alla complessità ed alle peculiarità del caso, si ritiene equo disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
Avv. Antonino Sugamele

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