1000 Euro di mantenimento per figlie e moglie. Lui è ortopedico e dentista. Le dichiarazioni dei redditi sono inattendibili. L'assegno deve essere aumentato.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 29 aprile 2013 – 22 gennaio 2014, n. 1276
Presidente Salmé – Relatore San Giorgio
Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale di Busto Arsizio dichiarò la separazione personale dei coniugi V.A.L. e B.F. , assegnando la casa coniugale alla prima, e ponendo a carico del B. un assegno di Euro 600,00 mensili quale contributo per il mantenimento delle figlie C. , nata il (omissis) , e Fr. , nata il (omissis) , ed altro assegno di Euro 400,00 in favore della moglie, oltre alle spese straordinarie per le figlie e i due terzi delle utenze domestiche.
Il B. propose appello avverso detta sentenza, chiedendo l'addebito della separazione alla moglie, e la riduzione dell'assegno per le figlie, con eliminazione di quello per la moglie. La V. propose appello incidentale, chiedendo che la separazione fosse addebitata al coniuge, e che fosse elevato l'importo dell'assegno per le figlie e di quello per lei stessa.
2. - La Corte d'appello di Milano, Sez. persone, minori e famiglia, disposte indagini a mezzo della Guardia di Finanza, e proposto un accordo tra le parti che non fu raggiunto, con sentenza depositata l'8 maggio 2008, in parziale riforma della decisione impugnata, condannò il B. a corrispondere alla V. l'assegno per lei nella misura di Euro 600,00 mensili, e quello per ciascuna delle figlie nella misura di Euro 800,00 mensili.
Per ciò che ancora rileva nella presente sede, la Corte territoriale osservò che dalle indagini disposte era emerso che il B. svolgeva l'attività di dentista, oltre che di ortopedico, con conseguente inattendibilità delle dichiarazioni dei redditi che avevano celato tale attività. La Guardia di Finanza aveva riferito che nell'anno 2006 egli aveva emesso ricevute per prestazioni odontoiatriche per un importo corrispondente al 29 per cento dell'ammontare complessivo del reddito lordo, anche se nell'anno 2007 erano state rinvenute ricevute per importi più modesti, ciò che non escludeva che l'attività fosse proseguita.
3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre il B. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso la V. .
Considerato in diritto
1. - Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 709-bis, 325 e 327 cod.proc.civ.. Osserva il ricorrente che la proposizione dell'appello avverso la sentenza di separazione si perfeziona con il deposito del ricorso in cancelleria nel termine perentorio di cui agli artt. 325 e 327 cod.proc.civ., e che la costituzione del convenuto, con la proposizione dell'appello incidentale, deve avvenire con il rispetto del medesimo termine. Nella specie, invece, la V. si era costituita in giudizio proponendo appello incidentale oltre 20 giorni prima dell'udienza del 3 ottobre 2007, e, dunque, tardivamente. La Corte di merito, a fronte di una specifica contestazione in tal senso, aveva disatteso l'eccezione.
La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto ai sensi dell'art. 366-bis cod.proc.civ., applicabile nella specie ratione temporis: “Se nel giudizio d'appello secondo il rito camerale la costituzione del convenuto e la proposizione del contestuale appello incidentale debba avvenire con il rispetto dei termini di costituzione di cui all'art. 166 c.p.c.”.
2. - La censura è infondata.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il rito camerale, previsto per l'appello avverso le sentenze di divorzio e di separazione personale, come, da un lato, non preclude la proponibilità dell'appello incidentale, anche indipendentemente dalla scadenza del termine per l'esperimento del gravame in via principale, così, dall'altro, risultando caratterizzato dalla sommarietà della cognizione e dalla semplicità delle forme, esclude la piena applicabilità delle norme che regolano il processo ordinario e, in particolare, del termine perentorio fissato, per la relativa proposizione, dal primo comma dell'art. 343 cod. proc. civ., dal momento che il principio del contraddittorio viene rispettato, in appello, per il solo fatto che il gravame incidentale sia portato a conoscenza della parte avversa entro limiti di tempo tali da assicurare a quest'ultima la possibilità di far valere le proprie ragioni mediante organizzazione di una tempestiva difesa tecnica, da svolgere sia in sede di udienza camerale sia al termine dell'inchiesta (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 27775 del 2008, n. 14965 del 2007).
3. - Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 148 e dell'art. 155 cod.civ. in relazione al principio del concorso dei coniugi al mantenimento proporzionale al proprio reddito dei figli non autosufficienti economicamente. Avrebbe errato la Corte di merito nel porre il mantenimento delle figlie a carico esclusivo del B. senza fissare un analogo onere a carico della moglie, ed aumentando l'importo dovuto a tale titolo dallo stesso B. , oltre ad imporgli il pagamento in via esclusiva delle spese straordinarie delle ragazze ed i due terzi delle utenze domestiche, in violazione del dettato legislativo che, in relazione alla misura dell'obbligo di mantenimento dei figli, prevede un criterio di proporzionalità alle sostanze ed alle capacità di lavoro di ciascun genitore. Nella specie - si osserva nel ricorso - entrambi i genitori godono di analogo reddito da lavoro, come comprovato dalle dichiarazioni fiscali in atti, e sono comproprietari del medesimo, significativo patrimonio immobiliare, ancora indiviso. La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Se sussista a carico di entrambi i coniugi ai sensi dell'art. 155 c.c., l'obbligo di ciascun genitore, in mancanza di accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito ed il dovere del giudice al fine di realizzare il principio di proporzionalità sopra richiamato, di fissare un assegno periodico di mantenimento dei figli che tenga conto di tale criterio”.
4. - La doglianza non coglie nel segno.
Ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento a favore del figlio minore, le buone risorse economiche dell'obbligato hanno rilievo non soltanto nel rapporto proporzionale col contributo dovuto dall'altro genitore, ma anche in funzione diretta di un più ampio soddisfacimento delle esigenze del figlio, posto che i bisogni, le abitudini, le legittime aspirazioni di questo, e in genere le sue prospettive di vita, non potranno non risentire del livello economico-sociale in cui si colloca la figura del genitore (Cass., sent. n. 10119 del 2006). Nella specie, la Corte di merito ha correttamente operato in applicazione delle disposizioni codicistiche invocate dal ricorrente, valutando le capacità reddituali del B. , anche alla stregua dell'attività odontoiatrica che la Guardia di Finanza aveva accertato essere stata svolta da quest'ultimo, che, pure, aveva smentito la circostanza; ed, alla stregua di tali risultanze, ha posto a carico dello stesso B. il contributo per il mantenimento a carico delle figlie nella misura ritenuta congrua.
5. - Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 156, primo comma, cod.civ. per avere la Corte di merito errato nel porre a carico dell'attuale ricorrente anche l'assegno di mantenimento per la moglie, titolare di redditi autonomi analoghi a quelli percepiti dal coniuge, tenuto anche conto dell'utilizzo della casa coniugale, senza considerare che il reddito che residua a quest'ultimo dopo l'assolvimento dell'obbligo di mantenimento delle figlie risulterebbe inferiore a quello percepito dalla moglie, avuto anche riguardo alla evoluzione della sua condizione economica e di quella del coniuge.
La illustrazione della censura si completa con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Se nel porre a carico del coniuge, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'obbligo di provvedere al mantenimento dell'altro, non si debba tenere conto del reddito del coniuge beneficiario e se l'assegno posto a carico dell'obbligato non debba tenere conto dei suoi redditi”.
6. - La doglianza risulta priva di fondamento.
La Corte di merito, nel confermare la regolamentazione degli aspetti economici della separazione fissati dal primo giudice quanto alla debenza dell'assegno di mantenimento a favore della V. ed a carico del marito, ha effettuato una valutazione della situazione reddituale del B. , anche sulla base della predetta indagine della Guardia di Finanza, inferendone che, proprio alla stregua dell'invocato art. 156 cod.civ., dovesse essere aumentato l'importo dell'assegno già attribuito alla V. .
7. - Con il quarto motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione agli art. 148, 155 e 156 cod.civ. nonché all'art. 2729 cod.civ. per avere la Corte ritenuto di poter desumere dalle risultanze delle indagini svolte dalla Polizia Tributaria che il B. svolgesse attività odontoiatrica sull'erroneo presupposto del reperimento di alcune ricevute per l'anno 2006 per prestazioni per un importo corrispondente al 29 per cento dell'ammontare complessivo del reddito lordo e per il fatto che nell'anno 2007 fossero state rinvenute ricevute per importi sia pure più modesti.
8. - La censura è inammissibile.
L'art. 366-bis cod. proc. civ. - applicabile, come già chiarito, nella specie ratione temporis -, nel prescrivere le modalità di formulazione del motivo del ricorso per cassazione previsto dal n. 5 dell'art. 360, primo comma, cod.proc.civ., richiede a pena di inammissibilità, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, una illustrazione della censura che, pur libera da rigidità formali, si concretizzi in una sintesi dei rilievi attraverso la quale poterne cogliere la fondatezza (v., per tutte, Cass., S.U., 16528 del 2008): sintesi nella specie mancante.
9. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del principio della soccombenza, le spese del giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 4700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge. Ai sensi del D.Lgs n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
25-01-2014 00:12
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