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Sentenza

Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Trapani. Opere di completamento ...
Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Trapani. Opere di completamento della rete idrico potabile dell'agglomerato industriale di Trapani. Societa' cita in giudizio il Consorzio, ma la Cassazione rigetta.
Cassazione civile  sez. I   17/07/2014 ( ud. 05/02/2014 , dep.17/07/2014 ) 
Numero:    16365

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA CIVILE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. SALVAGO   Salvatore                         -  Presidente   -  
    Dott. FORTE     Fabrizio                          -  Consigliere  -  
    Dott. CAMPANILE Pietro                            -  Consigliere  -  
    Dott. ACIERNO   Maria                             -  Consigliere  -  
    Dott. MERCOLINO Guido                        -  rel. Consigliere  -  
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
    E.F.S.R.L., in persona dell'amministratore  unico  p.t. 
                  E.A.M.R., elettivamente domiciliata in Roma, alla Via 
    G.  Boni  n.  15, presso l'avv. SAMBATARO Elena, unitamente  all'avv. 
    GIOVANNI  LENTINI del foro di Marsala, dal quale è  rappresentata  e 
    difesa in virtù di procura speciale in calce al ricorso; 
                                                           - ricorrente - 
                                   contro 
    CONSORZIO  PER L'AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI TRAPANI, in  persona 
    del  legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato  in  Roma, 
    alla  Via  Lucullo  n.  3, presso l'avv. ADRAGNA  Nicola,  unitamente 
    all'avv. BIAGIO BOSCO del foro di Trapani, dal quale è rappresentato 
    e difeso in virtù di procura speciale in calce al controricorso; 
                                                     - controricorrente - 
                                      e 
    MILANO  ASSICURAZIONI  S.P.A.,  in  persona  del  procuratore     F. 
       M.,  in  virtù  di procura speciale per notaio  Luigi  Rogantini 
    Picco del 27 aprile 2005, rep. n. 11118, elettivamente domiciliata in 
    Roma,  alla Via E. Gianturco n. 6, presso l'avv. FILIPPO SCIUTO,  dal 
    quale,  unitamente all'avv. CARLINO SCOFONE del foro  di  Genova,  è 
    rappresentata  e difesa in virtù di procura speciale a  margine  del 
    controricorso; 
                                                     - controricorrente - 
    avverso  la  sentenza della Corte di Appello di  Palermo  n.  386/08, 
    pubblicata il 26 marzo 2008. 
    Udita  la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del  5 
    febbraio 2014 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino; 
    uditi l'avv. Bosco per il Consorzio A.S.I. di Trapani e l'avv. Sciuto 
    per la Milano Assicurazioni S.p.a.; 
    udito  il  Pubblico  Ministero, in persona del Sostituto  Procuratore 
    Generale   Dott.   PATRONE  Ignazio,  il  quale   ha   concluso   per 
    l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    1. - La E. F. e C. S.n.c, aderente ad un'associazione temporanea d'imprese costituita con la S. C. S.p.a. per la realizzazione delle opere di completamento della rete idrico- potabile dell'agglomerato industriale di Trapani, convenne in giudizio il Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Trapani, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivanti dall'inadempimento del contratto d'appalto stipulato il 19 marzo 1992.

    A sostegno della domanda, espose che i lavori erano stati illegittimamente sospesi per l'approvazione di una perizia di variante e suppletiva, la cui redazione era stata in realtà imposta da carenze progettuali che avevano impedito la realizzazione di un serbatoio. Premesso inoltre che nel corso della sospensione era stato dichiarato il fallimento della S. C., investita della funzione d'impresa mandataria, riferì di aver proposto, in qualità di mandante, il subingresso nel contratto di altra impresa avente i requisiti prescritti dal bando, assumendo che il Consorzio, dopo avere deliberato la prosecuzione dell'appalto con il nuovo raggruppamento d'imprese, non aveva dato seguito a tale deliberazione; aggiunse che il Consorzio non aveva dato riscontro neppure alla proposta di prosecuzione del rapporto formulata da essa attrice a seguito dell'acquisizione dei requisiti necessari per l'assunzione in proprio della responsabilità dell'appalto.

    1.1. - Nel frattempo, il Consorzio fu separatamente convenuto in giudizio dalla Milano Assicurazioni S.p.a., succeduta alla Lloyd International S.p.a. nella polizza fideiussoria stipulata con la S. C.  a garanzia delle obbligazioni derivanti dal contratto d'appalto, la quale propose opposizione al decreto emesso il 22 novembre 1999, con cui il Presidente del Tribunale di Trapani le aveva ingiunto il pagamento della somma di L. 92.891.200.

    Premesso che la sospensione dei lavori era dovuta a causa imputabile al Consorzio, la Compagnia sostenne che il credito azionato, avente ad oggetto la restituzione dell'anticipazione versata dal committente, era estraneo alla polizza fideiussoria, che copriva soltanto il rischio della non corretta esecuzione dell'appalto;

    eccepì inoltre la decadenza dalla garanzia e la compensazione con il credito vantato dalle imprese per i lavori eseguiti, e chiamò in causa la E. nei confronti della quale propose domanda di rivalsa.

    1.2. - Riuniti i due giudizi, il Tribunale di Trapani, con sentenza del 4 giugno 2003, rigettò sia la domanda proposta dalla E. che l'opposizione al decreto ingiuntivo e la domanda di rivalsa avanzate dalla Milano Assicurazioni.

    2. - L'impugnazione proposta dalla E.è stata rigettata dalla Corte d'Appello di Palermo con sentenza del 26 marzo 2008, la quale ha parzialmente accolto il gravame incidentale proposto dalla Milano Assicurazioni, condannando la E. al pagamento della somma di Euro 50.798,63, oltre interessi legali.

    A fondamento della decisione, la Corte ha innanzitutto confermato la decadenza della Emmolo dall'azione risarcitoria, escludendo che lo stato finale dei lavori sottoscritto senza riserve dal curatore della S. C. fosse inopponibile all'attrice. Premesso infatti che il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 81, nel ricollegare al fallimento di una delle parti lo scioglimento dell'appalto, fa salve le disposizioni in materia di opere pubbliche, ha richiamato il D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 25, che, nel disciplinare l'ipotesi in cui l'appalto sia affidato ad un'associazione temporanea d'imprese, attribuisce all'Amministrazione, in caso di fallimento della mandataria, la facoltà di scegliere tra la prosecuzione del rapporto con altra impresa ed il recesso dall'appalto. Ha rilevato che nella specie la dichiarazione di fallimento della S. C.aveva determinato lo scioglimento del contratto anche nei confronti della Emmolo, in quanto alla proposta di prosecuzione del rapporto con altra impresa mandataria non aveva fatto seguito nè l'effettivo conferimento di tale mandato nè una manifestazione di volontà negoziale del Consorzio nelle forme prescritte, ed ha concluso che legittimamente il committente, ritenendo il contratto già sciolto, aveva provveduto a redigere lo stato finale dei lavori, in contraddittorio con il curatore del fallimento ed il direttore dei lavori.

    La Corte ha ritenuto inoltre che la E.in qualità di mandante, fosse vincolata dall'atto con cui la S. C., all'epoca ancora in bonis, aveva accettato la sospensione dei lavori, rinunciando ad eventuali compensi aggiuntivi, a condizione che la durata della sospensione non superasse i diciotto mesi. Premesso che il successivo fallimento della mandataria aveva determinato lo scioglimento dell'appalto prima della scadenza del predetto termine, ha poi escluso l'invalidità dell'accordo, osservando che esso non si configurava come rinuncia ad un diritto futuro, ma come condizione generale limitativa della responsabilità della Amministrazione committente.

    In ordine alla domanda di rivalsa, la Corte ha infine ritenuto che la polizza fideiussoria, sottoscritta dalla S.c.  in qualità di capogruppo dell'associazione temporanea, fosse stata prestata per tutte le imprese riunite, le quali erano solidalmente responsabili nei confronti del committente, ai sensi della L. 8 agosto 1977, n. 584, art. 21, ed ha pertanto concluso che, ai sensi dell'art. 1951 cod. civ., la Milano Assicurazioni aveva regresso nei confronti di ciascuna delle imprese per la ripetizione integrale di quanto pagato.

    3. - Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la E. F.S.r.l. (già E. F. & C. S.n.c.), per cinque motivi. Resistono con controricorsi il Consorzio e la Milano Assicurazioni, la quale ha depositato anche memoria.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    1. - Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 78 e del D.Lgs. n. 406 del 1991, artt. 23 e 25, nonchè l'illogicità della motivazione, sostenendo che, nel ritenere opponibile ad essa ricorrente lo stato finale dei lavori sottoscritto senza riserve dal curatore della S. C.i, la sentenza impugnata non ha considerato che il fallimento dell'impresa mandataria aveva determinato lo scioglimento del rapporto di mandato inerente all'associazione temporanea, con la conseguente esclusione del potere di rappresentanza del curatore. Le scelte compiute da quest'ultimo non potevano pertanto incidere sulle pretese autonomamente vantate dall'impresa mandante, la cui ammissibilità avrebbe dovuto essere valutata alla stregua delle riserve tempestivamente iscritte, non assumendo alcun rilievo la disciplina dettata dalla L. Fall., art. 81, che riguarda esclusivamente i rapporti tra l'appaltatore ed il committente.

    2. - Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 81 e del D.Lgs. n. 406 del 1991, artt. 23 e 25, affermando che erroneamente la Corte di merito ha ricollegato al fallimento dell'impresa mandataria lo scioglimento del rapporto di appalto, del quale l'art. 25 cit., prevede invece espressamente la prosecuzione, sia pure con un'associazione temporanea diversamente rappresentata. Nella specie, d'altronde, avendo il committente aderito inizialmente alla proposta di prosecuzione del rapporto con altra mandataria, la risoluzione del contratto d'appalto doveva essere fatta risalire al momento della sottoscrizione dello stato finale dei lavori da parte del curatore, con la conseguente protrazione dell'illegittima sospensione ben oltre il periodo di diciotto mesi accettato dalla mandataria.

    3. - Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, artt. 29 e 30, degli artt. 1346 e 1418 cod. civ. e dell'art. 97 Cost., osservando che, nel riconoscere la validità della rinuncia preventiva alla pretesa risarcitoria derivante dall'illegittima sospensione dei lavori, la Corte di merito non ha considerato che la rinuncia a far valere ragioni risarcitorie derivanti da condotte illegittime della Pubblica Amministrazione legittimerebbe comportamenti e provvedimenti contrari alla legge, in violazione dell'art. 97 cit..

    4. - I predetti motivi devono essere esaminati congiuntamente, riflettendo questioni tra loro intimamente connesse, in quanto attinenti a profili diversi della medesima vicenda.

    Il rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta dalla ricorrente è stato infatti giustificato dalla Corte di merito sulla base di due distinte rationes decidendi, consistenti rispettivamente nell'opponibilità alla Emmolo della rinuncia alla pretesa risarcitoria risultante dallo stato finale dei lavori sottoscritto dal curatore del fallimento della Schiavo Costruzioni a seguito dello scioglimento dell'appalto, e nella portata, parimenti vincolante per la ricorrente, dell'atto con cui l'impresa mandataria, all'epoca ancora in bonis, aveva accettato la sospensione dei lavori disposta dal Consorzio committente, rinunciando al riconoscimento di compensi aggiuntivi.

    4.1. - In ordine al primo aspetto, occorre richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di appalto di opere pubbliche, secondo il quale, in caso di affidamento dei lavori ad un'associazione temporanea d'imprese, la sopravvenuta dichiarazione di fallimento della capogruppo, alla quale le altre imprese sono tenute a conferire mandato collettivo con rappresentanza per tutti gli atti e le operazioni dipendenti dall'appalto, ai sensi del D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 23, comma 8, comporta la risoluzione del rapporto di mandato, conformemente a quanto previsto in via generale dalla L. Fall., art. 78, non derogato dall'art. 23 cit., con il conseguente venir meno dei poteri rappresentativi e gestori già spettanti alla mandataria nei confronti delle imprese riunite, le quali, pertanto, devono ritenersi autonomamente legittimate a far valere, anche in via giudiziale, i rispettivi diritti nei confronti dell'Amministrazione committente, non essendo configurabile al riguardo una perdurante legittimazione in favore del curatore fallimentare (cfr. Cass., Sez. 1, 22 ottobre 2013, n. 23894;

    17 ottobre 2008, n. 25368; 30 gennaio 2003, n. 1396). Tale principio, in virtù del quale è stata riconosciuta alle imprese mandanti la legittimazione a riscuotere direttamente dalla stazione appaltante il corrispettivo dovuto per la realizzazione dell'opera, ovviamente nei limiti della quota corrispondente a quella parte dei lavori commissionati la cui esecuzione era stata assegnata a ciascuna di esse, esclude che nella specie il curatore potesse ritenersi legittimato ad agire in nome e per conto delle imprese riunite nel compimento delle operazioni conseguenti allo scioglimento del contratto di appalto, ed in particolare nella redazione dello stato finale dei lavori, la cui sottoscrizione senza riserve, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, poteva dunque ritenersi impegnativa soltanto per l'impresa fallita, e non anche per la ricorrente.

    4.2. - La risoluzione del mandato collettivo conseguente alla dichiarazione di fallimento dell'impresa capogruppo, comportando la cessazione ex nunc dei poteri rappresentativi e gestori a quest'ultima spettanti, non consente tuttavia di escludere la perdurante efficacia degli atti da essa precedentemente compiuti in rappresentanza dell'impresa mandante: nella specie, pertanto, correttamente la ricorrente è stata ritenuta vincolata dall'atto con cui la mandataria in bonis aveva rinunciato al riconoscimento di ulteriori compensi o indennizzi per la sospensione dei lavori.

    Nel contestare la legittimità di tale atto, la ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale non ha affatto inteso affermare la validità della rinuncia ad un diritto futuro, avendone invece espressamente escluso la configurabilità nel caso in esame, in virtù della qualificazione dell'atto come condizione generale limitativa della responsabilità dell'Amministrazione committente. Tale qualificazione non risulta censurata dalla ricorrente, la quale si è limitata a richiamare l'orientamento della giurisprudenza di legittimità che ritiene ammissibile la rinuncia soltanto in riferimento a diritti già maturati e dal contenuto determinato (cfr. Cass., Sez. 1, 8 febbraio 2013, n. 3064; Cass., Sez. lav., 26 maggio 2006, n. 12561; Cass., Sez. 3, 10 maggio 2005, n. 9747), desumendone a contrario l'invalidità della rinuncia preventiva a diritti non ancora sorti e non determinabili nel contenuto. Tale generalizzazione non può essere tuttavia condivisa, avuto riguardo alle ragioni giustificatrici del predetto orientamento, volto ad escludere l'ammissibilità della rinuncia preventiva in riferimento ad ipotesi in cui, trattandosi di diritti indisponibili o sussistendo un divieto di legge, l'atto verrebbe ad incidere sull'applicabilità delle norme inderogabili che disciplinano la fattispecie; al di fuori delle predette ipotesi, la rinuncia ad un diritto futuro ed eventuale è stata invece ritenuta pienamente ammissibile, in quanto espressione tipica dell'autonomia negoziale privata, alla sola condizione che il suo oggetto risulti determinato o determinabile nel suo contenuto e nella sua estensione (cfr. Cass., Sez. 3, 18 febbraio 1977, n. 745; 1 giugno 1974, n. 1573; Cass., Sez. 2, 5 aprile 1975, n. 1222). In materia di appalti pubblici, il predetto principio ha trovato applicazione proprio con riferimento alla sospensione dei lavori, essendo stata riconosciuta la validità dell'atto con cui l'appaltatore abbia rinunciato all'indennizzo dei relativi oneri, purchè al momento della rinuncia fossero prevedibili la durata della sospensione e la sua incidenza economica (cfr. Cass., Sez. Un., 8 gennaio 1992, n. 104): elementi, questi ultimi, agevolmente desumibili nella specie dalla clausola dell'accordo con cui le parti avevano individuato il termine massimo entro il quale il protrarsi della sospensione non avrebbe dato luogo al riconoscimento di compensi o indennizzi in favore delle imprese appaltataci.

    4.3. - Quanto poi al rispetto del predetto termine, non merita consenso l'assunto secondo cui, ai fini del computo della durata della sospensione, la cessazione della stessa avrebbe dovuto essere fatta risalire non già alla data della dichiarazione di fallimento della Schiavo Costruzioni, ma a quella della sottoscrizione dello stato finale dei lavori, in quanto lo scioglimento del contratto d'appalto era stato determinato dalla scelta dell'Amministrazione di astenersi dalla prosecuzione del rapporto con la ricorrente o con altra impresa da essa indicata in qualità di mandataria.

    Nell'attribuire all'Amministrazione aggiudicatrice la facoltà di scegliere tra il recesso dall'appalto e la prosecuzione del rapporto con altra impresa che sia costituita mandataria nei modi previsti dall'art. 23 e che risulti di suo gradimento, il D.Lgs. n. 406 del 1991, art. 25, non introduce una deroga al principio generale sancito dalla L. Fall., art. 81 (tanto nel testo introdotto dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 68, quanto in quello da esso sostituito, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame), secondo cui il fallimento di una delle parti determina lo scioglimento del contratto di appalto. L'immediatezza di tale effetto trova anzi conferma dell'art. 81, u.c., il quale, facendo salva l'applicabilità delle norme che disciplinano l'appalto di opere pubbliche, che subordinano la prosecuzione del rapporto con altri soggetti al consenso dell'Amministrazione committente, implicitamente esclude l'ammissibilità del subingresso del curatore, prevista dal primo comma della medesima disposizione, e la conseguente sospensione del rapporto in attesa delle determinazioni dell'ufficio fallimentare. E' pur vero che la lettera dell'art. 25 cit., consentendo all'Amministrazione di "proseguire" il rapporto con altra impresa o di "recedere" dall'appalto, lascia intendere chiaramente che lo scioglimento del contratto rimane circoscritto ai rapporti con l'impresa mandataria fallita, e non si estende a quello con le imprese mandanti, il quale continua a sussistere, in attesa che queste ultime individuino un'altra capogruppo e che l'Amministrazione manifesti il proprio gradimento in ordine alla loro scelta: è indubbio tuttavia che lo scioglimento del contratto nei confronti dell'impresa mandataria fa entrare il rapporto in uno stato di quiescenza che, in quanto non determinato da cause di forza maggiore o da ragioni di pubblico interesse connesse all'esecuzione dei lavori, non risulta in alcun modo assimilabile alla sospensione prevista dal D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 30. Questa situazione, destinata a cessare soltanto a seguito dei predetti adempimenti, non dipende da circostanze imputabili alla committente, e non consente quindi di affermarne la responsabilità per inadempimento del contratto d'appalto, a meno che non risulti allegato e provato che, nonostante la sollecita individuazione della nuova capogruppo, l'Amministrazione ha ingiustificatamente omesso o ritardato di far conoscere le proprie determinazioni.

    Nella specie, peraltro, tale inadempimento non risulta neppure dedotto, non avendo la ricorrente censurato in alcun modo l'accertamento contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui lo scioglimento del contratto si verificò a causa del suo stesso comportamento, avendo essa omesso di dare seguito alla comunicazione della propria disponibilità alla prosecuzione del rapporto, mediante il conferimento del mandato ad una nuova impresa capogruppo. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha arrestato la propria valutazione alla data del fallimento della Schiavo Costruzioni, dando atto che lo stesso era intertenuto prima della scadenza della sospensione prevista dall'accordo stipulato tra le parti, ed escludendo la possibilità di tener conto, ai fini della dichiarazione della responsabilità dell'Amministrazione, del periodo intercorso tra la predetta data e quella in cui fu redatto lo stato finale dei lavori.

    4.4. - Corretta pertanto in tal senso la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., u.c., non possono trovare accoglimento il secondo ed il terzo motivo del ricorso, mentre va dichiarato inammissibile il primo, per carenza d'interesse, in quanto il riferimento delle relative censure ad una sola delle due rationes decidendi precedentemente individuate ne esclude l'idoneità a giustificare la cassazione della pronuncia adottata dalla Corte di merito, avuto riguardo alla sufficienza dell'altra ratio a sorreggere autonomamente la decisione (cfr. Cass., Sez. 3, 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass., Sez. lav., 2 febbraio 2007, n. 2272; Cass., Sez. 1, 21 ottobre 2005, n. 20454).

    5. - Va conseguentemente rigettato anche il quarto motivo, con cui la ricorrente ha denunciato l'omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto la domanda di rivalsa proposta dalla Milano Assicurazioni, senza verificare la legittimità del pagamento dalla stessa effettuato e la sua opponibilità ad essa ricorrente, alla stregua delle contestazioni sollevate in ordine alla validità dello stato finale ed alla sua inefficacia nei confronti dell'impresa mandante.

    6. Non può infine trovare accoglimento neppure il quinto motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1321 e 1951 cod. civ., osservando che, per giustificare l'accoglimento dell'azione di regresso del fideiussore, la sentenza impugnata ha fatto riferimento alla responsabilità solidale delle imprese riunite ed alla qualità di capogruppo dell'impresa che aveva sottoscritto la polizza fideiussoria, senza considerare che il contratto produce effetti soltanto tra i soggetti che lo hanno stipulato, e che la solidarietà avrebbe potuto legittimare l'esercizio dell'azione di rivalsa soltanto da parte dell'impresa capogruppo che avesse adempiuto il proprio debito.

    6.1. - In proposito, è infatti sufficiente richiamare il principio, più volte ribadito da questa Corte in tema di associazione temporanea d'imprese, secondo cui il mandato conferito all'impresa capogruppo dalle altre imprese riunite include anche il potere di stipulare polizze fideiussorie per l'importo richiesto dal committente, ed in ogni caso quello di concedere garanzie, a meno che le imprese mandanti non abbiano disposto diversamente nell'atto di conferimento del mandato, in tal modo circoscrivendo i poteri dell'impresa mandataria; ove invece non risulti una siffatta limitazione, l'inadempimento degli obblighi solidalmente assunti nei confronti della stazione appaltante ai sensi della L. n. 584 del 1977, art. 21, comma 3 e del D.Lgs. n. 406 del 1991, art. 23, comma 7 e garantiti dalla fideiussione, comporta la responsabilità solidale delle imprese mandanti anche nei confronti del fideiussore escusso dal committente, come previsto dall'art. 1951 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. 3, 5 aprile 2012, n. 5526; 5 febbraio 2008, n. 2670; 18 aprile 2001, n. 5669).

    7. - Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte rigetta il ricorso, e condanna la E. F. S.r.l. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 12.200,00, ivi compresi Euro 12.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge, in favore del Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di Trapani, ed in complessivi Euro 6.700,00, ivi compresi Euro 6.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge, in favore della Milano Assicurazioni S.p.a..

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 febbraio 2014.

    Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2014
Avv. Antonino Sugamele

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