Scambio di embrioni. Genitori genetici chiedono al Tribunale di ordinare la consegna dei nascituri e azionano l'art. 700 cpc. Il Tribunale di Roma rigetta il ricorso.
TRIBUNALE DI ROMA
PRIMA SEZIONE CIVILE
In composizione monocratica, nella persona del Giudice designato dott.ssa Silvia Albano, nel procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. iscritto al n. 50935 del ruolo generale dell'anno 2014, vertente
TRA
XXX XXX e XXX XXX, , rappresentati e difesi dagli Avv.ti Nicolo' Paoletti, Natalia Paoletti e Claudia Sartori
- ricorrenti -
E
XXX XXX e XXX XXX, , in proprio ed in qualita' di legali rappresentanti dei figli minori XXX XXX e XXX, nati a, rappresentati e difesi dagli Avv.ti Michele Giuseppe Ambrosini, Michele Sesta ed Achille Buonafede
- resistenti -
MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura dello stato
- resistente -
COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Rodolfo Murra e e Pier Ludovico Patriarca dell'Avvocatura Comunale
- resistente -
con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO in sede, in persona della d.ssa Francesca Loy
ha emesso la seguente
O R D I N A N Z A
Con ricorso ai sensi dell'art 700 c.p.c. i sig.ri XXX e XXX, in proprio ed asseritamente in rappresentanza dei gemelli nascituri, hanno chiesto venisse ordinato ai sigg.ri XXX e XXX di fornire tutte le informazioni relative allo stato di salute dei nascituri nonche' a dove e quando avverra' il parto affinche' possano formare l'atto di nascita dal quale risultino genitori, nonche' di consegnare i gemelli al momento della nascita ai ricorrenti quali genitori genetici; ordinarsi al Ministero dell'Interno di diffidare tutti gli Ufficiali dello stato civile presso le anagrafi italiane dal formare l'atto di nascita dei due gemelli indicando quali genitori i Signori XXX e XXX in contrasto con la verita' biologica, in quanto i genitori dei nascituri sarebbero i signori XXX e XXX.
Si sono costituiti all'odierna udienza i resistenti XXX e XXX esponendo che il 3 agosto erano nati i figli frutto dell'impianto dell'embrione e chiedendo che il ricorso venisse dichiarato inammissibile per la sopravvenuta mancanza di interesse in ordine alle domande relative all'iscrizione anagrafica dei figli ed alle informazioni sulla data del parto; nonche' per la mancata indicazione della domanda di merito da proporsi. Nel merito chiedevano il rigetto del ricorso in quanto il rapporto di filiazione si era legittimamente costituito secondo quanto previsto dal nostro ordinamento, pienamente confacente all'interesse dei minori a mantenere il legame con la madre gestante, e trovando applicazione le norme che disciplinano la fecondazione eterologa.
Il Pubblico Ministero e' intervenuto chiedendo il rigetto del ricorso in quanto era interesse dei minori non essere separati dalla madre biologica e trovando piena applicazione la norma che prevede che la madre sia colei che ha partorito (art 269 comma 3 c.c.).
* * *
Preliminarmente deve rilevarsi che avendo la nascita avuto luogo le domande relative alla richiesta di informazioni sullo stato di salute dei nascituri e sulla sospensione della loro iscrizione anagrafica alla nascita sono state rinunciate dai ricorrenti.
I ricorrenti hanno in udienza modificato la domanda rinunciando alla richiesta di consegna dei neonati e chiedendo che venisse disposta la loro collocazione in una struttura idonea, separandoli dai resistenti, od in subordine venisse garantito il diritto di visita dei genitori genetici onde poter assicurare la costruzione di un legame affettivo con i minori tale da non pregiudicare il patrimonio di affetti costruito in questo caso anche con i ricorrenti, nel caso venisse riconosciuto il loro diritto quali legittimi genitori. Cio' previa richiesta di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art 269 c.c. nella parte in cui prevede che la madre sia colei che partorisce il figlio, senza eccezioni, dell'art 239 comma 1 c.c. nella parte in cui prevede la possibilita' di reclamare lo stato di figlio solo in caso di supposizione di parto o sostituzione di neonato, dell'art 234 bis c.c. nella parte in cui viene limitata la legittimazione a proporre l'azione di disconoscimento di paternita', in relazione all'art 263 c.c. che invece prevede che l'azione possa essere proposta da chiunque vi abbia interesse.
La difesa dei resistenti ha fatto rilevare l'incompatibilita' con il procedimento d'urgenza della richiesta di sollevare questione di costituzionalita' ed ha chiesto il rigetto anche delle domande come modificate in udienza.
La domanda di merito cui il provvedimento di urgenza dovrebbe essere strumentale deve ritenersi quella rivolta all'accertamento della paternita' e maternita' naturale, previa dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle norme indicate al fine di consentire da parte dei ricorrenti le azioni dirette a porre nel nulla lo status acquisito dai due gemelli con la nascita.
Dalla modifica dell'oggetto del presente giudizio, conseguente alla nascita, deve ritenersi che il Ministero dell'Interno non sia piu' legittimato passivamente, mentre il Comune di Roma non lo era ab origine in quanto nella gestione dell'Anagrafe agisce come delegato del Ministero.
La vicenda ha ad oggetto lo scambio di embrioni avvenuto presso l'Ospedale Pertini in Roma, al quale le due coppie si erano rivolte per ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, attraverso la creazione di embrioni in vitro con gli ovociti ed il seme delle coppie. Per un fatale errore umano gli embrioni formati col patrimonio genetico dei ricorrenti sono stati impiantati nell'utero della resistente e viceversa. L'impianto dell'embrione nell'utero della sig.ra XXX non e' andato a buon fine, tanto che la gravidanza non e' neppure iniziata, mentre e' andato a buon fine l'impianto nell'utero della sig.ra Xxx e la gravidanza e' giunta a termine con la nascita di due gemelli, il cui patrimonio genetico appartiene ai ricorrenti.
La vicenda ha suscitato un dibattito tra i giuristi gia' prima di approdare davanti al giudice, quando i mezzi di informazione hanno dato notizia del tragico errore. Su di essa si e' pochi giorni orsono (l'11 luglio 2014) pronunciato anche il Comitato Nazionale di Bioetica, senza prendere alcuna posizione sui criteri etici e biogiuridici che dovrebbero ispirare il bilanciamento e la composizione degli interessi in conflitto.
La peculiarita' della vicenda, oltre che per le drammatiche implicazioni umane di tutti i soggetti coinvolti, discende dal fatto che il diritto non contempla e non disciplina in modo esplicito la fattispecie in esame.
Gia' tali considerazioni dovrebbero indurre a dubitare di poter affrontare tali tematiche nel corso di un procedimento cautelare essendo quantomeno dubbia, stante la natura assolutamente controversa di qualsiasi soluzione possa venire indicata, la sussistenza del fumus bonis iuris del diritto azionato.
Il provvedimento cautelare richiesto sarebbe, infatti, strumentale all'azione di merito di dichiarazione giudiziale di maternita' e paternita' naturale, che sulla base dell'attuale normativa non potrebbe essere proposta dai ricorrenti. Infatti allo stato sono i resistenti i genitori legittimi dei nati, sulla base delle norme che regolano la filiazione e la prova del possesso di stato, mentre i ricorrenti non possono proporre l'azione di merito invocata (azione di dichiarazione giudiziale di maternita' e paternita' naturale), ostandovi il possesso di stato attuale dei nati e non essendovi i presupposti per la contestazione dello stato di figlio o la legittimazione a proporre l'azione di disconoscimento di paternita'.
Il provvedimento richiesto non potrebbe, quindi essere concesso. L'unica strada sarebbe quella di sollevare la questione di costituzionalita' delle norme che, pero', non si ritiene ammissibile e rilevante in quanto contrastante con gli interessi dei minori alla stabilita' del loro status e con il loro diritto a vivere con quella che e' la propria famiglia secondo l'ordinamento vigente.
La rilevanza deve, infatti, essere valutata in relazione al caso concreto ed al concreto bilanciamento dei diritti coinvolti.
La fattispecie non puo' essere sic et simpliciter ricondotta alla fecondazione eterologa, il cui divieto e' stato recentemente dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 162 del 2014.
Infatti, manca, almeno ab origine, la volonta' di sottoporsi a tale tecnica di PMA ed il preventivo consenso informato, anche se non puo' ritenersi priva di rilevanza, come si vedra', la successiva consapevolezza di quanto accaduto e la decisione di portare comunque avanti la gravidanza.
Non sono state nel caso di specie, per ovvi motivi, rispettate le procedure previste dall'art 6 della Legge 40, ritenuto dalla Corte Costituzionale applicabile anche alle tecniche di fecondazione eterologa, in quanto le parti avevano prestato il consenso informato alle sole tecniche di fecondazione omologa.
Ne' puo' ritenersi la fattispecie concretizzi un'ipotesi di 'maternita' surrogata', espressamente vietata nel nostro ordinamento dal comma 6 dell'art. 12 della legge n. 40 del 2004, mancando del tutto il consenso e la volontarieta' del comportamento sia della madre genetica che della madre biologica. E' sopravvenuto, infatti, il solo consenso dei genitori genetici che hanno introdotto il presente giudizio.
Ci si trova di fronte un'eterologa 'da errore' (la madre porta in grembo embrioni geneticamente non suoi ne' del marito o del partner) o una surroga materna 'da errore' (i genitori genetici producono embrioni che sono impiantati nell'utero di un'altra donna che li porta in gestazione) con una procedura priva di consenso, il che sembra generare una situazione di indeterminatezza in merito alla maternita' e paternita' (v. Commissione Nazionale di Bioetica, 11.7.2014 cit.) a fronte di un vuoto legislativo che dovrebbe venire colmato in via interpretativa.
Il nostro sistema normativo prevede che 'la maternita' e' dimostrata provando la identita' di colui che pretende di essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre' (art 269 comma 3 c.c.).
Tale norma e' stata introdotta con la riforma del 1975 quando ancora le tecniche di procreazione assistita erano agli albori, ma e' pur vero che la sua formulazione e' stata mantenuta dal legislatore della riforma della filiazione di cui al D.Lgs. n. 154 del 2013.
Il legislatore della riforma, inoltre, nel sostituire la norma di cui all'art 239 c.c., ha previsto la possibilita' di reclamare, o contestare, lo stato di figlio (art 240 c.c.), solo in caso di sostituzione di neonato o supposizione di parto.
Non puo' negarsi, quindi, la volonta' del legislatore, molto recente, di mantenere quale principio cardine dell'ordinamento la maternita' naturale legata al fatto storico del parto.
Nel caso in cui la donna gestante, unita in matrimonio, dichiari nell'atto di nascita il figlio come nato durante il matrimonio, il marito ne diviene il padre legale (art. 231 c.c., come modificato dal D.Lgs n. 154/2013 che ha soppresso l'inciso 'concepito' durante il matrimonio). Peraltro, in presenza dello status di figlio di altra persona (il marito della donna gestante), il padre genetico non puo' promuovere l'azione di disconoscimento e non puo' riconoscere il figlio.
La volonta' del legislatore in ordine ai limiti all'azione di disconoscimento di paternita' e' rimasta ferma, nonostante nella disciplina previgente numerose siano state le questioni di legittimita' sollevate in ordine alla disparita' di trattamento tra figli nati in costanza o fuori dal matrimonio in relazione alla diversa disciplina dell'azione di impugnazione del riconoscimento.
Tutte sempre rigettate dalla Corte Costituzionale affermando che la determinazione dei soggetti legittimati a proporre l'azione di disconoscimento della paternita' e' una scelta insindacabile del legislatore che ha ritenuto di riservare ai soli soggetti direttamente interessati, e cioe' ai membri della famiglia legittima, il potere di decidere circa la prevalenza della verita' 'biologica' o della verita' 'legale': una innovazione, che attribuisse direttamente la legittimazione ad agire a soggetti privati estranei alla famiglia legittima, quale e' il presunto padre naturale, rappresenterebbe la scelta di un criterio diverso, legato ad una ulteriore evoluzione della coscienza collettiva, che solo il legislatore puo' compiere. Mentre la Corte di Cassazione ha sempre negato al presunto padre naturale sia la possibilita' di intervenire nel giudizio di disconoscimento che di proporre opposizione di terzo ex art 404 c.p.c. avverso la sentenza emessa nel giudizio di disconoscimento, asserendo che lo stesso era 'portatore di un interesse di mero fatto'.
In ogni caso, prescindendo dall'annoso dibattito sul punto, non si ritiene che nella fattispecie in esame, effettivamente diversa da quelle esaminate dalla Corte, il padre genetico abbia un interesse giuridicamente rilevante da far valere, distinto da quello della madre genetica, per cui le questioni devono essere congiuntamente esaminate, tenendo conto della peculiarita' del caso concreto, avendo sempre come riferimento l'interesse del minore, criterio guida ai fini del bilanciamento degli interessi in conflitto.
Anche per la figura paterna a seguito delle tecniche riproduttive con donazione di gamete puo' venire meno la paternita' genetica a favore di una paternita' legale.
Sotto l'aspetto sia etico sia giuridico nell'individuazione della maternita',
come della paternita', a seguito della PMA eterologa, acquisisce, dunque, rilievo il concetto di volontarieta' del comportamento necessario per la filiazione, l'assunzione di responsabilita' in ordine alla genitorialita', cosi'
da attribuire la maternita' e la paternita' a quei genitori che, indipendentemente dal loro apporto genetico, abbiano voluto il figlio accettando di sottoporsi alle regole deontologiche e giuridiche che disciplinano la PMA; ne consegue la regola che coloro che hanno dato un consenso informato alla procedura siano i genitori dei nati e che non e' consentito il disconoscimento della paternita' e dell'anonimato della madre (art. 9, commi 1 e 2).
Il legislatore della riforma del 2013, nel solco dell'evoluzione del pensiero della migliore dottrina e dell'elaborazione giurisprudenziale, ha posto l'accento sul concetto di responsabilita' genitoriale, come caratterizzante il rapporto di filiazione, eliminando dal nostro ordinamento l'istituto della potesta' genitoriale.
Il rapporto di filiazione ' ed il conseguente diritto all'identita' personale ' si e' andato sempre piu' sganciando nel nostro ordinamento dall'appartenenza genetica, potendosi rinvenire, grazie anche al rilievo 'rivoluzionario' delle nuove tecniche riproduttive, diverse figure genitoriali; 'la madre genetica' (la donna cui risale l'ovocita fecondato), 'la madre biologica' (colei che ha condotto la gestazione), e la madre sociale (colei che esprime la volonta' di assumere in proprio la responsabilita' genitoriale); il padre genetico ed il padre sociale. Figure che possono anche di fatto non coincidere.
Mentre il concetto di famiglia si e' andato, dal canto suo, sempre piu' sganciando dal dato biologico e genetico degli appartenenti, venendo concepita sempre piu' come luogo degli affetti e della solidarieta' reciproca, prima comunita' ove si svolge e sviluppa la personalita' del singolo; d'altra parte millenaria filosofia dell'uomo ha identificato nella famiglia l'archetipo della comunita' sociale.
Tutte le piu' recenti pronunce dei giudici interni o europei che si sono trovate a dover dirimere interessi in conflitto relativi al rapporto di filiazione, sono fondate sulla valutazione del dato concreto del legame affettivo familiare ed hanno come punto di riferimento l'interesse del minore (secondo quanto stabilito dalla Convenzione sui diritti dell'Infanzia approvata dalle Nazioni Unite il 20.11.1989 e ratificata in Italia dalla L. n. 176/91) ed il principio di 'autoresponsabilita'' che deve sottendere al rapporto genitoriale, che trova il proprio fondamento nell'obbligo di solidarieta' sancito dall' art. 2 della Costituzione, mettendo, quindi, seriamente in discussione il principio del carattere necessariamente biologico o genetico del rapporto di filiazione.
A partire dalla decisione della Corte di Cassazione sul divieto di disconoscimento di paternita' da parte del marito della coppia che ebbe a dare il consenso all'inseminazione eterologa della moglie (sentenza n. 2315 del 1999 ' che ha sovvertito il dogma secondo il quale principio della verita' biologica governasse la materia del rapporto di filiazione), divieto recepito nella L. 40/2004, per finire con le recenti sentenze gemelle della CEDU del 26 giugno 2014, che hanno condannato la Francia per non avere trascritto il rapporto di filiazione derivante da un contratto di maternita' surrogata stipulato all'estero. Anche in queste sentenze della Corte europea l'accento non e' stato posto sul dato genetico del rapporto di filiazione o su un eventuale diritto dei genitori genetici, ma sul diritto del minore a mantenere il legame familiare consolidatosi nel tempo (in questo senso anche la sentenza della Corte d'Appello di Bari del 13 febbraio 2009, estensore Labellarte).
La centralita' dell'interesse del minore nelle azioni di stato e' stata ribadita in numerosissime pronunce (v. ad es. la sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2006 che ha dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 274 del c.c., la sentenza n. 31 del 2012 che, rivedendo un precedente orientamento in base al quale aveva rigettato la medesima questione, ha dichiarato la parziale incostituzionalita' della pena accessoria al reato di alterazione di stato previsto dall'art. 567 c.p., ribadendo la centralita' del diritto del minore a conservare la sua identita' familiare, e da diverse pronunce di giudici di merito).
Il tutto sulla base del diritto interno ed internazionale: la Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176; la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d'Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77; la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo; non diverso e' l'indirizzo dell'ordinamento interno, nel quale l'interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralita', specialmente dopo la riforma attuata con legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), dopo la riforma dell'adozione realizzata con la legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre piu' incisiva dei diritti del minore, e da ultimo dalla riforma della filiazione di cui al D.Lgs n. 154/2013.
Il legislatore italiano della riforma della filiazione, infatti, nel rivedere la disciplina delle azioni di disconoscimento di paternita' e di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' ha previsto un termine tombale di cinque anni per il loro esercizio, anche nei casi di sospensione previsti dalla legge, dando prevalenza all'interesse del minore alla stabilita' del rapporto di filiazione ed a non recidere i legami familiari e di affetti che ne fondano l'identita', sulla verita' genetica o biologica del rapporto di filiazione.
Il legislatore ha accolto il principio in base al quale la tutela del diritto allo status ed alla identita' personale puo' non identificarsi con la prevalenza della verita' genetica.
Nel bilanciamento degli interessi in conflitto, prevedendo un termine di decadenza 'tombale' per l'esercizio dell'azione, il legislatore delegato ha inteso mutare radicalmente il principio fondante la precedente normativa (v. in particolare la disciplina dell'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita'), lasciando prevalere sull'interesse pubblico alla verita' del rapporto di filiazione, l'esigenza di non prolungare indefinitivamente la durata dell'incertezza dello stato di figlio. Mentre ha lasciato il figlio comunque arbitro del proprio status, essendo per lui l'azione imprescrittibile.
Il diritto della personalita' costituito dal diritto all'identita' appare sempre piu' sganciato dalla verita' genetica della procreazione e sempre piu' legato al mondo degli affetti ed al vissuto della persona cresciuta ed accolta all'interno di una famiglia.
Se e' vero che la famiglia e' sempre piu' intesa come comunita' di affetti piuttosto che come istituzione posta a tutela di determinati valori, incentrata sul rapporto concreto che si instaura tra i suoi componenti, ne deriva che al diritto spetta di tutelare proprio quei rapporti, ricercando un equilibrio che permetta di bilanciare gli interessi in conflitto, avendo sempre come riferimento il prevalente interesse dei minori coinvolti.
Non puo' piu' ragionevolmente ritenersi che il principio della verita' genetica nei rapporti di filiazione sia sovraordinato rispetto agli altri interessi in conflitto.
Nel caso di specie due coppie intendono assumersi la responsabilita' genitoriale sui nascituri sulla base di due diversi titoli genitoriali, quello genetico e quello biologico, di chi ha portato avanti la gestazione.
Non si rinvengono motivi nel caso di specie per sollevare questione di costituzionalita' delle norme sulla filiazione che hanno portato al riconoscimento dei resistenti quali genitori legittimi dei nati in quanto si ritiene che esse rispondano pienamente, nel caso concreto, agli interessi dei minori coinvolti.
La riforma della filiazione ha mantenuto il principio in base alla quale e' il parto che determina la maternita' naturale, nella piena consapevolezza, si ritiene, dei progressi scientifici relativi alle tecniche di procreazione e della possibilita' che la madre biologica od 'uterina' potesse non identificarsi con la madre genetica (la dottrina ne discute fin dagli anni 80, quando in parlamento erano in gestazione i diversi disegni di legge sulla procreazione medicalmente assistita, ponendosi espressamente il problema della prevalenza della madre genetica o della madre biologica in caso di conflitto).
Il riferimento all'embrione, quale prodotto del concepimento, perde di rilevanza anche nella norma relativa alla presunzione di paternita' laddove sparisce il riferimento al figlio 'concepito' durante il matrimonio, facendosi esclusivo riferimento al figlio nato nel matrimonio.
Il legislatore sembra, quindi, aderire a quella corrente di pensiero che ritiene che e' nell'utero materno che la vita si forma e si sviluppa.
Inoltre nelle ipotesi nelle quali si e' data rilevanza alla maternita' genetica in luogo di quella biologica (v. C.A. Bari e sentenze CEDU citate), si trattava di un contratto che, sebbene vietato dall'ordinamento interno, prevedeva la sussistenza del pieno consenso di tutti i soggetti coinvolti, la madre genetica si era assunta in pieno la responsabilita' genitoriale al contrario della madre uterina che aveva consegnato i figli alla nascita e che tale responsabilita' non intendeva proprio assumersi. In Tali pronunce si e', comunque, data rilevanza ai rapporti familiari concretamente instaurati, al principio di autoresponsabilita' nel rapporto di filiazione ed al superiore interesse del minore.
In questo caso, riconoscendo la prevalenza della madre genetica e quindi ritenendo rilevante la questione di costituzionalita' sollevata, si attribuirebbe legittimita' giuridica ad una coattiva maternita' di sostituzione, con la rinuncia imposta ad un figlio che pure la madre biologica ha condotto alla vita. Soluzione che e' totalmente inconciliabile con il diritto della donna che ospita il feto all'intangibilita' del suo corpo e, pertanto, ad assumere ogni decisione in ordine alla sua gravidanza, nonche' gravemente lesiva della dignita' umana della gestante.
La soluzione che si ricava in via interpretativa dall'applicazione al caso di specie del comma 3 dell'art 269 c.c. e dall'art 231 comma 1 c.c. e' quella che meglio si concilia a parere di questo giudicante con gli interessi dei minori coinvolti, anche in relazione al loro diritto ad essere cresciuti nella famiglia, intesa come comunita' degli affetti, che li ha accolti.
La letteratura scientifica e' unanime nell'indicare come sia proprio nell'utero che si crea il legame simbiotico tra il nascituro e la madre. D'altro canto e' solo la madre uterina che puo' provvedere all'allattamento al seno del bambino.
Non puo', pertanto, non ritenersi sussistente un interesse dei minori al mantenimento di tale legame, soprattutto alla luce del fatto che i bambini sono gia' nati e nei loro primi giorni di vita deve ritenersi abbiano gia' instaurato un significativo rapporto affettivo con entrambi i genitori e sono gia' inseriti in una famiglia.
Si e' detto da parte della dottrina che tale soluzione esporrebbe i minori ai rischi connessi alla non applicabilita' nel caso di specie delle garanzie previste dall'art 9 della L. n. 40/2004 per la fecondazione eterologa (ove la madre non puo' chiedere di non essere nominata ed il padre non puo' effettuare l'azione di disconoscimento di paternita' o di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita'), esponendo il figlio, all'incertezza del proprio status, in relazione alla paternita' od alla possibilita' che la madre alla nascita dichiari di non essere nominata.
Posto che tale ultima ipotesi non puo' ricorrere in quanto i figli sono gia' nati, il concreto rischio che potrebbe riguardare solo l'esposizione all'azione di disconoscimento di paternita' nel ristretto termine previsto dalla norma riformata; posto che e' noto che il marito della gestante non e' il padre genetico dei nascituri.
Ritiene il giudicante che in via interpretativa siano, pero', applicabili gli artt. 6 e 9 della legge 40/2004, essendo pienamente applicabili nel caso di specie i principi che hanno indotto la Corte di Cassazione nel 1999 a ritenere non legittimato a proporre l'azione di disconoscimento di paternita' chi avesse dato il consenso alla fecondazione eterologa ed alcuni giudici di merito (tra cui questo Tribunale con sentenza del 5 ottobre 2012) a ritenere non ammissibile l'impugnazione del riconoscimento da parte di chi lo abbia effettuato consapevole della sua falsita'.
Non puo' infatti attribuirsi a chi abbia consapevolmente deciso di assumersi la responsabilita' di accogliere un soggetto come figlio, consapevole di non esserne il genitore genetico, di poter porre nel nulla uno status che ha contribuito consapevolmente a formare.
Una diversa interpretazione degli artt. 6 e 9 della L. 40 si porrebbe in contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione.
Deve, pertanto, ritenersi che il padre, che ha prestato il proprio consenso alla gravidanza ed all'iscrizione anagrafica del figlio come proprio, non sarebbe legittimato a proporre l'azione di disconoscimento di paternita' ed ai sensi dell'art 6 la madre uterina ed il marito devono ritenersi i genitori dei nascituri.
Sarebbe, infatti, in contrasto con i principi fondanti del nostro ordinamento giuridico, sia di fonte interna che internazionale, l'attribuzione dell'azione al soggetto che avesse posto in essere, o concorso a porre in essere, la situazione giuridica per la cui modificazione tale azione e' apprestata (situazione che potrebbe essere ricondotta all'abuso del diritto ' v. Cass. Sezioni Unite, sentenza n. 23726 del 2007).
L'argomento, poi, relativo al diritto di ogni persona a conoscere le proprie origini non e' pertinente al caso di specie, trattandosi di un diritto ad essere informati che non ha riguardo ai principi che governano l'attribuzione dello status relativo al rapporto di filiazione.
Ritiene, quindi, questo giudice che le questioni di costituzionalita' sollevate non siano ne' rilevanti ne' fondate.
Il ricorso deve essere rigettato per carenza del fumus boni iuris del diritto azionato.
Resta il dramma umano dei genitori che si erano rivolti all'ospedale per trovare soddisfazione al loro diritto alla procreazione ed a formare una famiglia, che potra' trovare tutela solo risarcitoria.
Sussistono giusti motivi in considerazione dell'assoluta novita' e della natura controversa delle questioni trattate, per dichiarare le spese di lite integralmente compensate tra tutte le parti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
dichiara le spese di lite integralmente compensate tra le parti.
Cosi' deciso in Roma, l'8 agosto 2014
19-08-2014 16:15
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