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Sentenza

Tribunale civile di Trapani. Due sorelle convengono in giudizio i proprietari di...
Tribunale civile di Trapani. Due sorelle convengono in giudizio i proprietari di un fondo confinante per sentir negare ai medesimi, il diritto di servitù, sulla particella n. 118, che, indicata in catasto quale
Cassazione civile  sez. II   
Data:
    17/12/2013 ( ud. 13/11/2013 , dep.17/12/2013 ) 
Numero:
    28199

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                           SEZIONE SECONDA CIVILE                        
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. TRIOLA    Roberto Michele                   -  Presidente   -  
    Dott. PICCIALLI Luigi                        -  rel. Consigliere  -  
    Dott. MIGLIUCCI Emilio                            -  Consigliere  -  
    Dott. D'ASCOLA  Pasquale                          -  Consigliere  -  
    Dott. CARRATO   Aldo                              -  Consigliere  -  
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 30442/2007 proposto da: 
                                        G.N.D.M.S.  (OMISSIS), 
                 C.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliati  in 
    ROMA,  VIA  FOGLIANO  4-A,  presso lo studio  dell'avvocato  BARLETTA 
    PAOLO, rappresentati e difesi dall'avvocato MARABETE Giuseppe; 
                                                           - ricorrenti - 
                                   contro 
                      P.F.M.   (OMISSIS),               P.A. 
    (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,   PIAZZA  COLA 
    DI   RIENZO  92,  presso  lo  studio  dell'avvocato  CARLINO  PIETRO, 
    rappresentati  e  difesi  dagli avvocati CARADONNA  Luigi,  CARADONNA 
    GIUSEPPE; 
                                                     - controricorrenti - 
    avverso  la  sentenza n. 1178/2006 della CORTE D'APPELLO di  PALERMO, 
    depositata il 15/11/2006; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella Pubblica  udienza  del 
    13/11/2013 dal Consigliere Dott. LUIGI PICCIALLI; 
    udito  il  P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
    PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Con atto di citazione del 18.9.1998 le sorelle P.A. e F.M., quali rispettive usufruttuaria e nuda proprietaria di un immobile sito nella contrada (OMISSIS), costituito da due piccoli fabbricati rurali con annessa area scoperta, convennero al giudizio del Pretore di Trapani, nella sezione distaccata di Erice, i coniugi C.B. e G.N.D.M.S., proprietari di confinanti terreno e fabbricato, al fine di sentir negare ai medesimi, che avevano avanzato pretese al riguardo, alcun diritto, in particolare di servitù, sulla particella n. 118, che, indicata in catasto quale "corte comune", assumevano in realtà appartenere soltanto alle istanti, chiedendo anche il risarcimento dei danni provocati dall'abusivo transito di mezzi agricoli.

    Costituitisi i convenuti chiesero il rigetto della domanda ed, in riconvenzionale, in via principale, dichiararsi l'appartenenza della suddetta particella alla G.N., in subordine, l'acquisto della comproprietà da parte di entrambi per usucapione.

    All'esito di prove orali e consulenza tecnica, il Tribunale di Trapani, nelle more subentrato al soppresso ufficio pretorile, con sentenza dei 16/18.3.2002, respinse le reciproche domande. Ma a seguito dell'appello delle attrici, nella resistenza dei convenuti, la Corte di Palermo, in parziale accoglimento del gravame, accolse la domanda negatoria di servitù ritenendo, sulla scorta della ricostruzione dei vari passaggi risultanti dai titoli e di valutazione critica delle risultanze catastali esposte dal c.t.u., che la particella in questione fosse compresa tra quelle pervenute alle attrici, ancorchè qualificata "comune", mentre, per converso, nessuna prova i convenuti avevano offerto in ordine al vantato acquisto della relativa comproprietà, come accertato dal primo giudice con statuizione non impugnata e passata in giudicato.

    Le spese di due gradi venivano poste per due terzi a carico dei soccombenti convenuti e per il resto compensate.

    Contro tale sentenza i coniugi C. - G.N. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati con successiva memoria.

    Hanno resistito le P. con rituale controricorso.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con i primi due motivi, congiuntamente esposti ed illustrati, con formulazione di unico finale quesito ex art. 366 bis c.p.c., i ricorrenti deducono ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 3, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e violazione e falsa applicazione dell'art. 949 c.c., dei "principi e norme di diritto in tema di prova", degli artt. 1346, 2697 c.c. e artt. 115, 116 c.p.c..

    Pur non confutando la premessa di principio, esposta dalla corte, secondo cui nell'azione negatoria non è richiesta la prova rigorosa della proprietà, come nella diversa azione di rivendicazione, si lamenta che nel caso di specie, in cui sarebbe del tutto inesistente il titolo di acquisto di tale diritto da parte delle attrici sul bene controverso, i diversi elementi offerti al riguardo non sarebbero stati sufficienti ad affermarne la ravvisata appartenenza.

    In particolare la corte territoriale non avrebbe considerato che nell'atto di acquisto del 25.7.94 da parte delle P. non era compresala quelle indicate come trasferite, la particella n. 118, nè che il compendio acquistato, comprensivo di un "piccolo spezzone di terreno di soli 120 mq.", era stato indicato quale confinante con una corte comune, la quale altro non avrebbe potuto essere che quella in catasto identificata con la particella suddetta.

    La tesi della corte si sarebbe, dunque, risolta nell'acritica adesione ad una consulenza tecnica, basata su "ipotesi ricostruttive di una proprietà nel corso dei secoli e a prescindere da eventuali diritti usucapiti", non tenendo conto della chiarezza del titolo suddetto, nè dei rilievi critici esposti in ambo i gradi dai convenuti.

    I motivi vanno respinti, risolvendosi nell'inammissibile riproposizione di questioni di fatto, già esaurientemente esaminate dalla corte territoriale, il cui accertamento, basato su incensurabile valutazione delle risultanze documentali e della consulenza tecnica, in quanto esente da vizi logici o lacune argomentative, non può essere rimesso in discussione, a guisa di terzo grado di merito, nella presente sede.

    Come già riferito in narrativa, il giudice di appello, con l'ausilio del c.t.u., le cui conclusioni non erano state oggetto di specifiche contestazioni, il cui eventuale contenuto neppure si precisa nei mezzo d'impugnazione, ha operato una dettagliata ricostruzione delle vicende traslative afferenti l'immobile, pervenendo ad una ragionevole conclusione, sulla base della continuità dei titoli e delle vicende catastali, denotanti l'appartenenza della proprietà dell'area controversa alle attrici, in particolare evidenziando come l'indicazione della stessa quale "corte comune" non rispondesse ad una situazione di comproprietà, al riguardo della quale nessun significativo elemento documentale era stato addotto da parte convenuta, costituendo tale indicazione il frutto di una classificazione operata autonomamente dagli addetti al catasto, in occasione del censimento immobiliare operato nel 1937-39.

    Con il terzo motivo si denuncia vizio di ultrapetizione, per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 949 c.c., lamentando che la corte, travalicando i limiti della domanda soltanto negatoria e non di rivendicazione, avrebbe in realtà emesso una decisione in tale ultimo senso, per di più in assenza di un titolo di acquisto, nemmeno per usucapione.

    Il motivo è infondato, non avendo il giudice attribuito alla parte attrice un di più rispetto a quanto richiesto con l'azione negatoria, vale dire la dichiarazione di libertà del fondo attorco da altrui diritti, ma soltanto individuato, in funzione di tale domandala concreta estensione del diritto di proprietà, a tutela del quale le istanti avevano agito, senza in alcun modo travalicare, in osservanza del principio di cui all'art. 112 c.p.c., i limiti oggettivi del petitum, nè introdurre di ufficio una diversa causa petendi.

    Con il quarto motivo si censura per "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione "la decisione, per avere "inopinatamente ignorato" la natura comune della particella n. 118, tale risultante dai titoli delle parti in causa.

    Tale particella, nel titolo delle attrici del 1994, si individuerebbe nella "corte comune" e solo confinante con i beni acquistati, mentre sarebbe stata specificamente menzionata (con la dizione "con diritto alla part. 118") in quello del 1969, di N.C., padre e dante causa (per atto del 1984) della convenuta.

    La corte avrebbe, inoltre, ignorato che i convenuti avevano utilizzato per oltre venti anni quella corte comune, quale unica via di uscita, così indicata anche nei titoli, dal loro fondo.

    Del pari ed ingiustificatamente disattese sarebbero state le univoche risultanze della prova testimoniale, dalle quali sarebbe emerso che tale passaggio sarebbe stato continuamente esercitato dai convenuti e loro danti causa da oltre quaranta anni.

    Il motivo è, in parte ripetitivo dei primi due, nel resto inammissibile: a) quanto alla deduzione della comproprietà, in quanto precluso dal giudicato interno, non avendo i convenuti, odierni ricorrenti, proposto appello contro la reiezione della corrispondente domanda riconvenzionale da parte del primo giudice, che aveva ritenuto sfornita di prova la stessa, sia in relazione ai titoli, sia alla invocata usucapione, preclusione che deve ritenersi estesa, alla stregua del negativo accertamento di fatto, anche all'eventuale eccezione riconvenzionale, che peraltro neppure risulta, nè viene dedotto, essere stata riproposta ex art. 346 c.p.c., in secondo grado; b) per palese novità, quanto alla deduzione della servitù di passaggio, che non risultale viene dedotto, essere stata invocata in sede di merito a sostegno di una domanda o eccezione riconvenzionale al riguardo.

    Il ricorso va conclusivamente respinto, con condanna dei soccombenti alle spese.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio in favore delle controricorrenti, in misura di complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

    Così deciso in Roma, il 13 novembre 2013.

    Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2013
Avv. Antonino Sugamele

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