Tribunale civile di Trapani. Poste Italiane. Nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti, per "esigenze eccezionali".
Cassazione civile sez. lav.
Data:
14/10/2013 ( ud. 19/09/2013 , dep.14/10/2013 )
Numero:
23245
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo - Presidente -
Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere -
Dott. NOBILE Vittorio - rel. Consigliere -
Dott. MANNA Antonio - Consigliere -
Dott. FILABOZZI Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 25135-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
MAZZINI 134, presso lo studio dell'avvocato FIORILLO LUIGI e
associati, rappresentata e difesa dall'avvocato GRANOZZI GAETANO,
giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
M.V. (OMISSIS);
- intimata -
Nonchè da:
M.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell'avvocato GALLEANO
SERGIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato MESSINA
VINCENZO, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
POSTE ITALIANE S.P.A. (OMISSIS);
- intimata -
avverso la sentenza n. 1193/2007 della CORTE D'APPELLO di PALERMO,
depositata il 17/10/2007 R.G.N. 1503/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/09/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;
udito l'Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega GRANOZZI GAETANO;
udito l'Avvocato GALLEANO SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso
principale, assorbito l'incidentale.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Con sentenza n. 478/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Trapani rigettava il ricorso proposto da M.V. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretto ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso tra le parti, per "esigenze eccezionali" ex art. 8 CCNL 1994 come integrato dall'acc. 25-9-97 e succ, per il periodo 11-11-1999/3- 1-2000, con le pronunce consequenziali.
La M. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l'accoglimento della domanda.
La società si costituiva chiedendo il rigetto del gravame ed, in via incidentale, delle domande proposte dalla lavoratrice, assorbite dalla pronuncia di risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito.
La corte d'Appello di Palermo, con sentenza depositata il 17-10-2007, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava che tra le parti, per effetto della nullità del termine apposto al contratto di lavoro, sussisteva un rapporto a tempo indeterminato, con diritto della lavoratrice ad essere riammessa in servizio, e condannava la società a corrispondere le retribuzioni maturate dal 15-7-2003 sino all'effettiva riammissione in servizio, oltre accessori di legge.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con otto motivi.
La M. ha resistito con controricorso ed ha avanzato ricorso incidentale condizionato.
La società da ultimo ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Infine il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.
Ciò posto, riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c., va rilevato che con i primi tre motivi del ricorso principale la società, sotto diversi profili di violazione di legge e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l'eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito.
I detti motivi non meritano accoglimento.
Come questa Corte ha più volte affermato "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell'illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell'ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo" (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonchè da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, "è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso" (v. da ultimo Cass. 15- 11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre "grava sul datore di lavoro", che eccepisca tale risoluzione, "l'onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1- 2-2010 n. 2279).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321 c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l'indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all'uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.
Orbene nella fattispecie la Corte di merito, dopo aver richiamato i principi in materia affermati da questa Corte, ha rilevato che "nella specie , da un lato nessuna prova è stata fornita al riguardo da Poste Italiane s.p.a.; dall'altro l'inerzia della lavoratrice dopo la cessazione dell'attività lavorativa è da attribuire, alla luce del successivo ricorso dalla medesima proposto all'autorità giudiziaria, ad una fiduciosa aspettativa di essere integrata a tempo pieno nell'organico dell'azienda o, quanto meno, di essere nuovamente destinataria di un altro contratto a termine, evenienza quest'ultima cui la società appellata ha fatto ricorso in varie occasioni", come del resto emergeva anche dalla circolare del 1999 (che appunto escludeva la possibilità di nuovi contratti a termine per i lavoratori che avevano in atto un contenzioso con la società).
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.
Con i successivi motivi quarto, quinto e sesto la società censura l'impugnata sentenza nella parte in cui ha affermato la nullità del termine apposto al contratto de quo.
In particolare con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c., non avendo la M. dedotto specificamente nel ricorso introduttivo, quale motivo di nullità del termine, l'asserita scadenza dell'accordo del 25-9-97 e dei successivi accordi attuativi.
Il motivo è infondato, considerato che, come correttamente ha rilevato la Corte di merito, incombeva sulla società convenuta l'onere di dimostrare la validità della apposizione del termine, "validità che nella specie risulta ancorata dalla stessa società alla perdurante efficacia dell'accordo del 25-9-97 e dei successivi accordi sindacali, donde il necessario esame anche di siffatta tesi difensiva".
Con i successivi quinto e sesto motivo la ricorrente principale ribadisce, poi, la propria tesi della inesistenza di un limite temporale apposto dalle parti collettive alla conclusione dei contratti a termine per le citate "esigenze eccezionali", sostenendo la natura meramente ricognitiva dei detti accordi sindacali.
I motivi sono infondati in base all'indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001).
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l'attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall'intento del legislatore di considerare l'esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l'unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all'autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.
fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l'accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell'art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell'ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n- 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).
In applicazione di tale principio vanno quindi respinti anche il quinto e il sesto motivo.
Con il settimo motivo la società lamenta violazione dei principi e delle norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni ed in specie sostiene che la lettera del 3-7-2003, considerata come messa in mora dalla Corte di merito, non conteneva alcuna offerta della prestazione.
La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte adita se (ovvero dica la Suprema Corte che): Per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore - a seguito dell'accertamento giudiziale dell'illegittimità del contratto a termine stipulato - ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all'art. 1206 c.c. e segg.".
Tale quesito è stato più volte ritenuto da questa Corte del tutto generico ed astratto e, come tale, inidoneo ex art. 366 bis c.p.c. (applicabile nella specie ratione temporis) (v. fra le altre Cass. 4- 1-2011 n. 80, Cass. 29-4-2011 n. 9583).
Peraltro non può ignorarsi che nella fattispecie anche la illustrazione del motivo risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza circa la mancanza di una verifica effettiva della messa in mora, senza che la ricorrente riporti minimamente il contenuto della lettera che, a suo dire, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, non avrebbe integrato un atto di messa in mora.
Del pari, inammissibile risulta poi l'ottavo motivo, riguardante una pretesa omessa motivazione in ordine all'aliunde perceptum.
Non essendovi, infatti traccia di tale questione nell'impugnata sentenza, incombeva sulla società ricorrente l'onere di indicare specificamente in quale atto ed in quali termini la questione stessa fosse stata sottoposta davanti ai giudici di merito (v. Cass. 15-2- 2003 n. 2331, Cass. 12-7-2005 n. 14590, 12-7-2005 n. 14599, Cass. 28- 7-2008 n. 20518).
Nulla avendo indicato al riguardo la ricorrente, anche l'ottavo motivo non può che ritenersi inammissibile.
Così risultati inammissibili il settimo e l'ottavo motivo, riguardanti le conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest'ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Il ricorso principale va pertanto respinto, restando assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto dalla lavoratrice.
Infine la società va condannata al pagamento delle spese in favore della M..
PQM
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale; condanna la società Poste Italiane a pagare alla M. le spese, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e Euro 3.500,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2013
15-01-2014 12:46
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