Un uomo chiede i danni ad una società che aveva segnalato il suo nominativo come insolvente all’organismo “Sistema Informazione Creditizia” (SIC). L'uomo non aveva mai ricevuto alcun finanziamento.-
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 25 settembre – 3 novembre 2014, n. 23330
Presidente Finocchiaro – Relatore Frasca
Fatto e diritto
Ritenuto quanto segue:
§1. A.F. ha proposto regolamento di competenza, ai sensi dell'art. 42 c.p.c., contro la S.p.A. Consel avverso la sentenza del 14 novembre 2013, con la quale il Tribunale di Avezzando ha dichiarato, in accoglimento dell'eccezione (formulata dalla convenuta ai sensi del comma 2 dell'art. 152 del d.lgs.) la propria incompetenza e la competenza territoriale del Tribunale di Biella ai sensi dell'art. 153, secondo comma, del d.lgs. n. 196 del 2003, sulla controversia introdotta da esso ricorrente contro la detta s.p.a. per sentirla condannare: a) al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, a suo dire sofferti per avere la convenuta proceduto illegittimamente a segnalare il suo nominativo come insolvente all'organismo denominato Sistema Informazione Creditizia (SIC), nell'erroneo presupposto che egli fosse il concessionario di un finanziamento, là dove invece egli non aveva contratto alcun debito con la convenuta, essendo stato concesso il finanziamento ad altro soggetto; b) alla cancellazione della suddetta iscrizione.
§2. Al ricorso non v `è stata resistenza della società.
§3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione con il procedimento di cui all'art. 380-ter c.p.c., è stata fatta richiesta al Pubblico Ministero presso la Corte di formulare le sue conclusioni ed all'esito del loro deposito, ne è stata fatta notificazione all'avvocato di parte ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell'odierna adunanza.
§4. Nelle sue conclusioni il Pubblico Ministero ha chiesto rigettarsi l'istanza di regolamento di competenza, adducendo che, pur avendo richiamato erroneamente la disciplina di cui all'art. 10 del d.lgs. n. 150 del 2011 in relazione all'art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003, anziché quella anteriore di cui allo stesso art. 152 di tale d.lgs., applicabile al processo in relazione alla sua introduzione nel settembre del 2009 (giusta la disposizione dell'art. 36 del d.lgs. n. 150 del 2011), la declinatoria di competenza è corretta, in quanto la controversia era riconducibile alla previsione di cui al comma 3, lett. b) dell'art. 7 del d.lgs. n. 196 del 2003.
§5. Le conclusioni del Pubblico Ministero possono condividesi quanto alla infondatezza dell'istanza di regolamento, ma vanno supportate con un diverso ragionamento.
La controversia, infatti, non è riconducibile all'art. 7, comma 3, del citato d.lgs., bensì alla norma dell'art. 15, comma 1, dello stesso d.lgs., secondo cui «1. Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile.».
Va considerato, infatti, che la controversia introdotta dal ricorrente ineriva una pretesa risarcitoria concernente un'operazione di trattamento effettuata dalla convenuta di un dato personale, quello della pretesa sua insolvenza, acquisito in relazione alla pretesa esistenza di un inadempimento ad un contratto inter partes. Ancorché la prospettazione della arte attrice e qui ricorrente fosse stata nel senso di negare l'esistenza di tale contratto, in ogni caso il comportamento addebitato alla convenuta, evidentemente ai sensi dell'art. 2043 c.c., cioè sub lege aquilia, ineriva un'operazione certamente qualificabile come "trattamento di un dato personale", ai sensi dell'art. 4 del d.lg.s n. 196 del 2003.
Infatti, il preteso stato di insolvenza rappresentava un "dato personale", secondo la definizione di cui alla lettera b) del suddetto art. 4, secondo cui è tale «qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale»;
La sua asseritamente illecita (secondo il ricorrente) comunicazione all'organismo SIC costituì un "trattamento" di quel dato agli effetti della lettera a) del citato art. 4, secondo cui è tale «qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati.»: in particolare il trattamento si ebbe sotto l'aspetto della comunicazione del dato della pretesa insolvenza alla SIC.
La s.p.a. Consel era "titolare" del trattamento agli effetti della lettera f) dell'art. 4, secondo cui è "titolare" «la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento di dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza»: è palese che la Consel, nel suo convincimento che fra essa e il qui ricorrente fosse stato stipulato un contratto e che il ricorrente fosse insolvente, si trovò nella possibilità di fare uso di questa supposta circostanza, il che ha fatto in concreto comunicandola alla SIC.
Il riferimento all'art. 7 comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 196 del 2003 fatto dal Pubblico Ministero appare, invece, non pertinente, in quanto, pur avendo il ricorrente fato domanda di condanna della Consel a provvedere alla cancellazione dell'annotazione nel SIC, rileva che la Consel non è la titolare di tale registro e, dunque, la domanda ha ad oggetto la condanna da un facere che non è rappresentato dal provvedere alla cancellazione, come suppone detta norma riferendosi al titolare del dato, bensì dall'adoprarsi ai fini di ottenere dalla SIC la cancellazione.
La condanna a tale facere si connota come risarcimento in forma specifica ai sensi dell'art. 2058 c.c. inerente sempre la pretesa ai sensi dell'art. 2050 c.c.
§6. In base a tali considerazioni la declaratoria della competenza del Tribunale di Biella ai sensi del vecchio comma 2 dell'art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003 risulta pienamente giustificata e l'istanza di regolamento dev'essere rigettata.
§7. Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di regolamento
P.Q.M.
La Corte dichiara la competenza del Tribunale di Biella. Assegna per la riassunzione termine di mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente. Nulla per le spese del giudizio di regolamento. Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
08-11-2014 23:02
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