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Sentenza

Una collaboratrice domestica, due anni dopo la morte del datore di lavoro, chied...
Una collaboratrice domestica, due anni dopo la morte del datore di lavoro, chiede il riconoscimento di retribuzioni per oltre 100.000 euro. La versione non convince il giudice, non c'è prova della subordinazione.
Tribunale  sez. lav.  Bari Data:07/11/2013 ( ud. 07/11/2013 , dep.07/11/2013 ) 
Numero:    11479

                                   TRIBUNALE DI BARI                                 
                                    SEZIONE LAVORO                                   
                                  REPUBBLICA ITALIANA                                
                             IN NOME DEL  POPOLO ITALIANO                            
    Il Giudice del Lavoro, Dott.ssa Angela Vernia, nell'udienza del giorno 7 novembre
    2013 ha pronunciato la seguente                                                  
                                        SENTENZA                                     
    dando lettura della motivazione e del dispositivo ai sensi dell'art. 281 sexies  
    c.p.c. nella controversia in materia di lavoro                                   
                                          TRA                                        
    M.A., (elettivamente domiciliata presso lo studio dall'Avv. I. Carso, dalla quale
    è rappresentata e difesa)                                   - RICORRENTE -       
                                           E                                         
    PE.G., PE.M.A., PE.A.N., PA.M., (elettivamente domiciliati presso lo studio      
    dell'Avv. P. Vulcano e P. Sbisà, dai quali sono rappresentati e difesi)          
                                                                - RESISTENTI -       
                                        NONCHE'                                      
    S. S., S. C., (elettivamente domiciliati presso lo studio dell'Avv. C. Salvatore,
    dal quale sono rappresentati e difesi)                      - RESISTENTI -       


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

    Con ricorso depositato il giorno 1.3.2001 la ricorrente in epigrafe indicata, premesso di aver lavorato alle dipendenze di L.Pe. (deceduto in data 14.10.1999), dante causa dei resistenti, dal 2.4.1994 al 26.8.1999; con mansioni di collaboratrice domestica di cui al II liv. CCNL del personale domestico; osservando l'orario 7.00 - 11.00 e 16.00 - 18.00 presso l'abitazione del Pe. e 12.00 - 14.00 presso l'abitazione di essa ricorrente per la consumazione del pranzo, dal lunedì alla domenica; di non essere mai stata regolarizzata; senza corresponsione della retribuzione spettante ai sensi dell'invocato CCNL di categoria ovvero della giusta retribuzione ex art. 36 Cost., straordinario, ferie, 13^, e t.f.r.; di essere rimasta creditrice della complessiva somma di £ 103.676.291 per i predetti titoli; chiedeva condannarsi i convenuti al pagamento, in suo favore, della predetta somma, oltre accessori di legge, in una con la regolarizzazione della propria posizione assicurativa e previdenziale.

    Con vittoria di spese, competenze ed onorari di lite.

    Produceva documenti. Deduceva prova per interpello e per testi.

    Con memoria ritualmente depositata si costituivano Pe.G., Pe.M.A., Pe.A.N., Pa.M., in qualità di eredi legittimi di Pe.L. (le prime tre, figlie del Pe., e la Pa. ex moglie) nonché S.S., S.C., in qualità, rispettivamente, di erede naturale ed erede universale e figlio naturale di Pe.L. in forza di testamento olografo Rep. N. (omissis...), Racc. n. (omissis...) pubblicato il 20.10.1999, contestando la fondatezza della domanda sotto il profilo della effettiva instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti. In particolare, le eredi legittime del Pe. replicavano che la ricorrente non aveva mai intrattenuto alcun rapporto di lavoro subordinato con il proprio padre, ma aveva frequentato lo stesso in forza di un rapporto di natura personale. Concludevano per il rigetto della domanda.

    Con vittoria di spese, competenze ed onorari di lite.

    Producevano documenti. Deducevano prova per interpello e per testi.

    Assegnata e trattata la causa per la prima volta da questo Giudice, ricostituito il contraddittorio tra le parti, all'udienza del 20.11.2008, veniva ammessa ed espletata la prova orale. La causa, all'udienza odierna, successivamente alla definizione dell'abnorme numero di controversie prese in carico dal Giudicante sin dall'immissione in servizio aventi iscrizione a ruolo più risalente rispetto alla presente e/o più urgenti, autorizzato il deposito di note difensive, veniva decisa.

    Il ricorso è infondato per i motivi di seguito illustrati.

    Osserva preliminarmente il Giudicante che la domanda della ricorrente trova il proprio fondamento nell'affermazione della natura subordinata del rapporto di lavoro intrattenuto con Pe.L., dante causa degli odierni resistenti.

    Senonché, nel caso di specie, si fronteggiano due diverse ricostruzioni del rapporto lavorativo dedotto in ricorso: da un lato, quella della ricorrente, che sostiene la natura subordinata tout court del rapporto lavorativo intrattenuto con il Pe., avente ad oggetto lo svolgimento di prestazioni di lavoro domestico per il periodo e con gli orari indicati in ricorso (da tale presupposto scaturiscono, infatti, tutte le rivendicazioni economiche fatte valere nel presente giudizio); dall'altro, quella dei resistenti, che contestano la stessa sussistenza della subordinazione. Secondo la prospettazione della vicenda effettuata da questi ultimi, la M. non avrebbe in alcun modo svolto mansioni di collaboratrice domestica alle dipendenze del proprio dante causa, inquadrabili nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato, ma avrebbe frequentato il Pe. in virtù di un rapporto personale di "amicizia particolare" che aveva determinato il fallimento del matrimonio di quest'ultimo con la coniuge Pa. M. (cfr. memoria di costituzione delle eredi legittime).

    Ciò posto, premesso che ogni attività in astratto configurabile come prestazione di lavoro può essere ricondotta ad un diverso istituto, ove ne sia provata la differente natura, vale osservare che nel caso di specie è necessario verificare se, in base alle risultanze di causa, possa dirsi intercorso fra le parti un rapporto lavorativo che presenti in concreto i caratteri della subordinazione, dal febbraio 1994 all'agosto 1999 con gli orari e le mansioni di collaboratrice domestica indicati in ricorso, incombendo evidentemente sulla lavoratrice l'onere di provare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della pretesa fatta valere in giudizio (si veda, da ultimo Trib. Roma 4.3.2002, nonché Cass., Sez. Lav., 15.7.2002, n. 10262).

    Come noto, l'elemento centrale del rapporto di lavoro subordinato, desumibile dall'art. 2094 c.c., è ravvisabile nella collaborazione nell'impresa alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro. La collaborazione, peraltro comune anche ad altre tipologie contrattuali, descrive il fenomeno della partecipazione del lavoratore all'attività del datore di lavoro e si concretizza nell'inserimento del primo nell'organizzazione del secondo. Il fulcro della subordinazione consiste, invece, nella soggezione del prestatore di lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore che deve estrinsecarsi nell'emanazione di ordini specifici oltre che nell'esercizio (ancorché potenziale) di una assidua attività di vigilanza e controllo nell'esecuzione delle prestazioni lavorative (si veda ex plurimis Cass. n. 16849/2011, Cass. n. 26986/2009, Cass. n. 5534/2003, Cass. n. 4889/2002 Cass. n. 7608/1991).

    Ciò detto, intesa come etero-determinazione spaziale e temporale della prestazione lavorativa, la subordinazione non è, nella pratica, sempre agevolmente individuabile. Ecco perché la giurisprudenza ricorre ad una serie di indici sussidiari, rivelatori della natura subordinata del rapporto di lavoro, quali la vincolatività dell'orario, l'esclusività del rapporto, la retribuzione fissa a tempo, l'assenza di rischio in capo al lavoratore, l'inerenza della prestazione al ciclo produttivo del datore (si vedano ex plurimis Cass. n. 9256/2009, Cass. n. 4500/2007, Cass. n. 849/2004, Cass. n. 2970/2001 e Cass. n. 224/2001). Peraltro, va detto che i suddetti indici hanno natura sussidiaria perchè svolgono una funzione di natura complementare e secondaria, meramente indiziaria rispetto all'unico elemento probante della subordinazione, rappresentato dalla dimostrazione della permanente disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro, con assoggettamento gerarchico al potere di direzione e controllo di quest'ultimo (si veda, ex plurimis, Cass. n. 3745/1995, nonché Cass. n. 326/1996).

    Sulla scorta di queste premesse, l'istruttoria svolta non consente di avvalorare l'assunto secondo cui la ricorrente avrebbe intrattenuto con L.Pe. un rapporto di lavoro subordinato con le mansioni di collaboratrice domestica, con l'orario e nel periodo indicati.

    Infatti, in primo luogo, non risulta comprovato l'elemento centrale della subordinazione, che consiste, come detto, nella soggezione al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, e che deve esplicarsi nell'emanazione di ordini e direttive specifici e pregnanti da valutarsi con riferimento all'incarico conferito ed alle modalità concrete della sua attuazione (si veda Cass. n. 26986/2009 cit.). Vanno, in particolare, ritenute assolutamente inette a suffragare gli assunti di parte attrice (onerata, come detto, della prova dei fatti costitutivi dei diritti azionati) le deposizioni dei testi indicati dalla ricorrente, che hanno riferito del rapporto lavorativo asseritamente intrattenuto con il Pe. nel periodo dedotto in narrativa. I testi Pe.B. (cugino di Pe.L.) e Pe.D. (cugino delle resistenti) hanno semplicemente riferito della presenza della M. accanto al Pe. quando si recavano a trovarlo, ma non hanno fornito elementi concreti in ordine alla soggezione della ricorrente al potere direttivo dell'asserito datore di lavoro. Dalle loro dichiarazioni (cfr. verbali di causa) non è dato desumere nessuna specifica circostanza atta a comprovare la soggezione al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, che deve esplicarsi nell'emanazione di specifici ordini e direttive da valutarsi con riferimento all'incarico in concreto conferito. Non è emerso, infatti, alcun elemento sintomatico della sussistenza di tale relazione di soggezione, quale ad esempio il fatto che il Pe. desse specifiche indicazioni sulla conduzione della casa, sulla spesa da effettuare, ovvero intervenisse con eventuali rimproveri per compiti non svolti, ovvero ancora il fatto che la M. avesse l'obbligo di giustificare le assenze oppure che avesse richiesto giorni di ferie o di permesso. Non è dato comprendere, in altre parole, né il concreto contenuto delle direttive né le circostanze in cui venivano eventualmente impartite, né il soggetto da cui promanavano. Non sfugge al Giudicante che la teste C., vicina di casa della ricorrente e del Pe., ha dichiarato che quest'ultimo aveva determinato "le modalità del lavoro che svolgeva la sig.ra M.", ma trattasi di dichiarazione del tutto generica e non circostanziata. In più, non si comprende se la teste avesse conoscenza diretta del rapporto dedotto in causa per aver assistito a concreti episodi di vita delle parti ovvero ne avesse avuto notizia direttamente dalla M.. Inoltre, analizzando le dichiarazioni testimoniali della C. nel loro complesso, ne emerge la piena inattendibilità. Infatti, la teste si limita a confermare apoditticamente le circostanze oggetto dei capitoli di prova senza fornire elementi di dettaglio, né la fonte della sua conoscenza. Del resto è poco credibile che una vicina di casa possa essere a conoscenza di tutto ciò che avviene nell'appartamento dei vicini, a meno che non precisi di aver trascorso del tempo con loro, ovvero di essere stata presente in alcune occasioni specifiche, ma nulla è stato dichiarato dalla teste in tal senso. In ogni caso, quanto da ella dichiarato non ha trovato alcun chiaro e concordante riscontro nell'istruttoria svolta, sicché è comunque insufficiente a fornire la prova del dedotto rapporto di lavoro subordinato.

    E' d'uopo, tuttavia, precisare che nell'elaborazione giurisprudenziale in tema di subordinazione, è stata riscontrata una sorta di attenuazione del potere direttivo e disciplinare, tale da non escludere pregiudizialmente la sussistenza della subordinazione e da consentire il ricorso ai criteri sussidiari, in relazione a prestazioni lavorative dotate di maggiore elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo (quali, ad esempio, quelle del giornalista). Un analogo strumento discretivo può validamente adottarsi, all'opposto, con riferimento a mansioni estremamente elementari, come nel caso di specie (domestica), per le quali il potere gerarchico che si estrinseca nelle direttive volta a volta preordinate ad adattare la prestazione alle mutevoli esigenze di tempo e di luogo dell'organizzazione datoriale e nei controlli sulle modalità esecutive della prestazione lavorativa, potrebbe non avere occasione di manifestarsi. In simili casi, ossia quando il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, per la qualificazione del rapporto di lavoro occorre far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la "continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro" (così, da ultimo, Cass. n. 1536/09).

    Orbene, dall'istruttoria espletata, non solo non sono emerse chiare ed univoche manifestazioni tangibili di soggezione personale della M. ai poteri di direzione e disciplina dell'asserito datore di lavoro Pe.L., ma non può neppure evincersi con tranquillante certezza la prova di elementi sintomatici sufficientemente concludenti, come l'osservanza consueta del medesimo orario lavorativo predeterminato e costante nel tempo, la percezione di un compenso fisso periodicamente erogato, l'inserimento stabilizzato e continuo nel contesto datoriale esteso a compiti costanti e predeterminati che ne attestino il pieno inserimento nell'organizzazione di vita del resistente. Infatti, a parte la teste C., irrilevante per le ragioni sopra esposte, gli altri testi di parte attrice, pur riferendo di aver visto la ricorrente in compagnia del Pe., non hanno saputo precisare nulla sugli eventuali orari di lavoro (cfr. Pe.B. "non conosco gli orari"), sulla corresponsione della retribuzione, sulla continuità delle prestazioni svolte. A ciò aggiungasi che nessun teste di parte istante (con esclusione della C., per i motivi di cui innanzi) ha confermato il periodo dedotto in causa. Anzi, Pe.B., residente a Bitonto, ha riferito soltanto delle volte in cui si recava a trovare il cugino a Ba., ed ha reso dichiarazioni evidentemente contraddittorie. Infatti, dopo aver precisato che "io abitavo a Bitonto e la ricorrente a Ba.", ha proseguito affermando: "non ho mai visto la sig.ra M. svolgere alcuna mansione ma posso dire che la mattina svolgeva i servizi e cucinava". E' palese l'incoerenza di tali propalazioni in quanto manifestano un contrasto tra la conoscenza diretta del teste e le sue personali supposizioni in ordine al ruolo della M.. Quanto a Pe.D., che pur ha dichiarato di aver incontrato la ricorrente quando si recava dallo zio e di aver trascorso "intere giornate" con il Pe., la M. ed il di lei consorte in Ca.Ma., presso la residenza estiva del Pe.L., ha poi ammesso di nutrire risentimenti nei confronti delle cugine, odierne resistenti, sicché è lecito domandarsi se le sue dichiarazioni non siano state influenzate dalle riferite ragioni di inimicizia con le Pe. convenute.

    Ma anche a voler prescindere da tali considerazioni, va detto che le dichiarazioni dei testi citati sono del tutto insufficienti a costituire prova degli elementi propri della subordinazione. Valutando le surriferite deposizioni nel loro complesso, infatti, non è in alcun modo possibile desumere la prova del rapporto di lavoro subordinato allegato in ricorso. Ed infatti, in primo luogo, non sono emerse manifestazioni tangibili di soggezione personale della M. ai poteri di direzione e disciplina del ritenuto datore di lavoro, Pe.L.. Non risulta, invero, la dimostrazione in fatto, nello svolgimento del rapporto, del vincolo di natura personale, che assoggetta il prestatore di lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore e che si deve estrinsecare nella specificazione della prestazione lavorativa richiesta in adempimento delle obbligazioni assunte dal prestatore medesimo. In secondo luogo, non possono ritenersi provati elementi sintomatici, come l'osservanza consueta del medesimo orario lavorativo, la percezione di un compenso fisso, la messa a disposizione delle proprie energie lavorative in favore del datore di lavoro (cfr. verbali di causa).

    Ciò posto, questo Giudice non ignora che nella variegata realtà lavorativa attuale, sembra poco proponibile una definizione di subordinazione che copra contemporaneamente tutte le varie attività umane; in buona sostanza è divenuta oramai indefettibile una differenziazione funzionale nella utilizzazione di indicatori della subordinazione, che possono essere diversi "per ogni tipo di rapporto considerato" (così Cass. n. 5079/09). Ma, anche a voler tener conto di quanto innanzi, nel caso di specie, non si può proprio addivenire alla qualificazione del rapporto dedotto in causa in termini di subordinazione. Infatti, dalle dichiarazioni testimoniali innanzi riferite non emerge alcuna prova di indicatori qualificati, come la continuità delle asserite prestazioni di domestica, la esclusività delle stesse in favore del Pe., la permanenza a disposizione nell'arco di un orario stabilito, la predeterminazione da parte del datore di tempi e modalità delle prestazioni, ovvero il fatto che la prestazione era prevista come necessariamente resa all'interno dell'abitazione, il compenso fisso nel tempo. Ditalché la riferita relazione della ricorrente con il Pe. può essere compatibile con altre forme di rapporto, compreso quello di "amicizia particolare" sostenuto dalla controparte.

    Anzi, l'impostazione difensiva delle parti resistenti trova piena conferma nelle dichiarazioni testimoniali dei testi indicati dalle stesse e nel supporto documentale fornito, che smentiscono univocamente e graniticamente la tesi della subordinazione.

    Infatti, innanzitutto è emerso che L.Pe. trasferì la propria residenza in Via T.33, nello stesso stabile in cui dimorava la ricorrente, solo a partire dal settembre 1995 (cfr. contratto di locazione dell'immobile, all. sub doc. n. 7 fascicolo resistente Pe. - Pa.). Quindi, in assenza di ulteriori prove in ordine all'arco temporale precedente, il periodo invocato dalla ricorrente (sin dal febbraio 1994) incontra una prima smentita (cfr. anche teste P. secondo cui "nel 1994 - 1995 non ho visto la sig.ra M.").

    In secondo luogo, dall'istruttoria svolta, con riguardo al periodo successivo al settembre 1995, si evince l'esistenza di un rapporto personale tra la M. ed il Pe. che non può essere inquadrato nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato.

    Il teste P., frequentatore dell'abitazione del Pe. a Ba. ed a Ca.Ma., della cui attendibilità non si ha motivi di dubitare, ha affermato di aver visto la M. "in qualche occasione" presso la villa di Ca.Ma. "in compagnia del sig. Pe. ... la sig.ra M. A. era lì in qualità di amica, non l'ho vista svolgere faccende domestiche. ... il sig. Pe. era autosufficiente". Ancora, il teste C., conoscente delle parti, ha precisato: "Conosco la sig.ra M.A. in quanto l'ho vista in compagnia del sig. Pe. in viale U.D.I. in B.; in un'altra occasione io, la sig.ra M. ed il sig. Pe. abbiamo preso un gelato insieme ... li ho visti camminare insieme mentre lui le teneva un braccio sulle spalle ... presumo che tra il sig. Pe. e la sig.ra M. vi fosse un rapporto di amicizia. Tanto posso dire poiché, in una circostanza, quando mi recai dal sig. Pe. per ragioni condominiali, la sig.ra M. entrò in casa dal sig. Pe. aprendo la porta con le proprie chiavi e vedendomi lì con il Pe. andò via".

    Ne risulta, quindi, che la ricorrente ed il Pe. intrattenevano un rapporto di natura personale, che si concretizzava nella condivisone dei pasti, passeggiate, periodi estivi trascorsi insieme presso la villa di Ca.Ma., e che consentiva addirittura alla M. di accedere liberamente all'appartamento del Pe., il che, è certamente inconciliabile con un rapporto lavorativo soggetto a regole ed orari prefissati. Quindi, l'attività della ricorrente, lungi dal poter essere ricondotta alla subordinazione, è ascrivibile esclusivamente ai vincoli di solidarietà ed affettività tipici di un rapporto di intensa amicizia.

    La natura personale della relazione, inoltre, è perfettamente compatibile con il fatto che il Pe. talvolta pranzasse in casa della M. che abitava al quarto piano dello stesso stabile in cui risiedeva il Pe. medesimo (terzo piano). Del resto, come emerge dalle dichiarazioni testimoniali nonché dalla pagine dell'agenda (documentazione non contestata dalla ricorrente) in cui il Pe. annotava tutti i dettagli della propria vita quotidiana, i pranzi (o le cene) presso l'abitazione della M. erano saltuari e non continuativi (cfr. le pagine in cui il Pe. annotava di aver "pranzato giù" ossia nel suo appartamento); il che ben si attaglia ad un rapporto di amicizia ma non ad una relazione lavorativa.

    E' ben vero che in un rapporto di collaborazione domestica possono instaurarsi consuetudini di tipo confidenziale, ma è altrettanto vero che nel caso di specie, appare nettamente prevalente il rapporto di natura personale intercorso tra le parti. Sul punto sono illuminanti le dichiarazioni delle figlie del Pe. - G., A., M.A. - le quali hanno affermato in sede di interrogatorio formale che la relazione tra la M. ed il proprio padre, iniziata prima che il secondo "andasse via da casa" era stata la causa della separazione tra i loro genitori. Tale circostanza trova conferma documentale nel ricorso per separazione giudiziale del 7.11.1994 (cfr. doc. n. 3 fascicolo parti resistenti), in cui vengono indicati i dettagli della relazione pubblicamente nota tra la M. ed il Pe. ai fini dell'addebito. A ciò aggiungasi che è stata documentata (e non contestata) l'esistenza di un libretto di risparmio bancario cointestato al Pe. ed alla M. (n. (omissis) Banca del Salento, all. sub doc. n. 6 fascicolo parti resistenti), del quale la stessa ricorrente ha dato conferma in sede di interrogatorio formale. Anche tale elemento depone chiaramente nel senso di una relazione che è di natura diversa da quella lavorativa. E' di comune esperienza, infatti, che anche il datore di lavoro più diligente, pur avendo a cuore il destino dei propri dipendenti, ben difficilmente intesterebbe loro fondi di risparmio.

    E' risultato altresì che il Pe. soleva fare regali, anche costosi, alla M., tra cui una pelliccia di cui ha riferito il teste P. e che trova conferma documentale nelle pagine dell'agenda (mai oggetto di contestazione da parte della ricorrente, lo si ribadisce) in cui il Pe. annotava i propri movimenti (si veda pagina del 16.1.1996 e matrice dell'assegno di L. 2.800.000 emesso per l'acquisto della pelliccia).

    E' altrettanto vero che dalla lettura del diario in atti si evince che il Pe. era solito corrispondere piccole somme in relazione ad alcune attività espletate dalla M., ma è lampante che trattasi di mere regalie effettuate nell'ambito del rapporto di natura personale ed affettivo che sussisteva tra loro (ad esempio rimborso per la benzina quando si recavano a Ca.Ma., piccole somme di denaro per i pranzi e così via) e non certo della corresponsione di una retribuzione con cadenze fisse nel tempo. Del resto, dal quadro probatorio complessivamente considerato, emerge con chiarezza la sussistenza di una relazione personale, anche burrascosa, tra la M. ed il Pe., ma di certo non di natura professionale, come comprovato dalle pagine del diario relative alle liti tra i due, ovvero al fatto che la M. avesse la massima libertà di movimento ed anche il pieno e libero accesso all'abitazione del Pe. anche nelle prime ore del mattino (si veda la pagina del 22.2.1996 in cui il Pe. annota che "A. alle sei è venuta in casa mia perché non riusciva a dormire ed è tornata su alle 7.30"); elementi, questi, che evidentemente collidono con l'asserito rapporto lavorativo dedotto dalla M.. Senza contare che tale relazione personale non viene sconfessata neppure dalla stessa ricorrente che, in sede di interrogatorio formale, si spinge a definire il Pe. "molto tirchio ... prometteva e non manteneva" affermando addirittura che lo stesso aveva "promesso" di lasciarle "una villa". Risulta, a tacer d'altro, poco credibile, che una collaboratrice domestica che svolge ordinarie prestazioni di lavoro possa attendersi un immobile a fronte delle prestazioni lavorative svolte. In più, va detto che è emersa la prova che vi fossero altre persone che effettivamente si occupavano delle pulizie e delle faccende domestiche, ossia P.O., come ammesso dalla stessa ricorrente in sede di interrogatorio formale, e L.B. nel periodo estivo (cfr. annotazioni contenute nell'agenda sui compensi erogati in favore di quest'ultima).

    In virtù di quanto sinora esposto, dunque, si ritiene che, in mancanza di prove relative alla subordinazione nell'espletamento delle prestazioni di natura domestica, la presenza della ricorrente presso il domicilio del Pe., dante causa degli odierni resistenti, possa essere riconducibile unicamente ad un vincolo di fatto di natura meramente personale ed affettiva.

    Per le tutte considerazioni sin qui svolte, pertanto, la domanda proposta dalla ricorrente va rigettata; ne consegue che non sono dovute ad alcun titolo le somme rivendicate in ricorso.

    Le argomentazioni che precedono sono dirimenti ed assorbono ulteriori questioni in fatto o in diritto eventualmente contestate tra le parti.

    La natura della controversia, la qualità delle parti e l'incertezza della lite, costituiscono gravi motivi per compensare per intero tra le parti le spese di lite.

    Tali sono i motivi della presente decisione.
    PQM
    P.Q.M.

    Definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da M.A., nei confronti di Pe.G., Pe.M.A., Pe.A.N., Pa.M., nonché S.S., S.C., con ricorso depositato in data 1.3.2001, così provvede:

    - Rigetta la domanda;

    - Compensa tra le parti per intero le spese del giudizio.

    Bari, 7.11.2013
Avv. Antonino Sugamele

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