75000 euro di risarcimento in favore di un uomo che diventa donna. L'ufficio elettorale trasferisce senza alcuna precauzione al Comune della nuova residenza della donna l'intero fascicolo, comunicando il pregresso stato civile di uomo.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 26 febbraio – 13 maggio 2015, n. 9785
Presidente Salvago – Relatore Dogliotti
Svolgimento del processo
Con ricorso ex art. 152 D.Lgs. 196/03, A.M.A. chiedeva al Tribunale di Ragusa, che il Comune di (...) fosse condannato al risarcimento dei danni determinati da illegittima divulgazione di dati attinenti al mutamento dell'identità sessuale.
Lamentava la ricorrente che l'ufficio elettorale del Comune convenuto aveva trasmesso a quello di destinazione, Comune di (...), tutto il fascicolo personale contenente i dati anagrafici e la annotazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, con la specificazione che il soggetto aveva mutato sesso, assumendo il nome di M.A.; determinava così un indebita diffusione di dati super sensibili dei quali, nel comune ricevente, erano venuti a conoscenza terzi che avevano variamente attentato alla riservatezza della ricorrente stessa, la quale pure affermava di aver subito gravi pregiudizi alla salute psichica, alla vita coniugale e alle relazioni in ambiente lavorativo.
Costituitosi regolarmente il contraddittorio, il Comune di (...) chiedeva il rigetto della domanda, precisando che si era limitato a trasmettere il fascicolo personale della ricorrente, a seguito di emigrazione di quest'ultima nel Comune di (...), in conformità alle previsioni di legge e alle relative circolari ministeriali, affinchè il nominativo del soggetto venisse iscritto nelle liste elettorali del Comune di destinazione.
IlGarante per la tutela dei dati personali non si costituiva in giudizio, nonostante notifica. Il Tribunale di Ragusa , con sentenza in data 7 febbraio 2011, dichiarava tenuto e condannava il Comune di (...) a corrispondere all'A. a titolo di risarcimento dei danni la somma di € 75.000,00.
Ricorre per cassazione il Comune di (...), che pure deposita memoria difensiva. Resiste con controricorso l'A..
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 33 L. 675/1996; 17 Regolamento del Garante per la protezione dei dati personali, 26/06/2000; art. 1143 R.D. n. 16011 del 1933; art. 152 DLgs. N. 196 dei 2003; art. 144, 153 e 160 c.p.c., sostenendo nullità della notifica al Garante effettuata presso la sua sede non presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato.
Con il secondo, violazione dell'art. 22 L. n. 675 del 1996; art. 27 L. n. 695 del 1996; art. 66, 88, 172 e 184 R.D. n. 1238 del 1939; 32 ss. DPR n. 223 del 1967; art. 73 e 74 Circolare Ministero degli Interni n. 2600 del 1986, escludendo ogni responsabilità al riguardo, per quanto è accaduto.
Con il terzo, violazione dell'art. 18 L. n. 675 del 1996, 2050 c.c., 40 e 41 c.p., 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione circa il nesso eziologico tra il comportamento del Comune e il danno verificatosi.
Con il quarto, violazione dell'art. 116 c.p.c. e 2050 c.c. , in ordine alla quantificazione dei danno.
Con il quinto, violazione dell'art. 1227 c.c., non essendosi tenuto conto del concorso delle danneggiati la produzione dell'evento.
Va innanzitutto osservato, che, per giurisprudenza ormai consolidata ( tra le altre, Cass. N, 738 dei 2002; 14390 del 2005), non sussiste litisconsorzio necessario con il garante della privacy, a meno che non venga contestato il suo provvedimento, fattispecie estranea a quella in esame dunque non rileva l'eventuale nullità della notifica.
Va precisato che il diritto alla riservatezza (o all'intimità della sfera privata)dell'individuo, appare, ben più di altri aspetti di tutela della personalità, strettamente collegato alle profonde trasformazioni operate dalla società industriale: accresciuto contatto e ad un tempo maggiore estraneità tra gli individui, più ampio dinamismo e circolazione dei soggetti, che possono inserirsi in ambienti e situazioni tra loro del tutto indipendenti, talora rivestendo ruoli differenziati e mostrando così profili diversi della propria personalità. Ma è soprattutto l'incessante progresso tecnologico, il perfezionamento ( e la pericolosità ) dei mezzi di comunicazione di massa e degli strumenti di raccolta di dati e notizie che, attraverso inedite, per il passato del tutto impensabili, e talora gravissime aggressioni agli aspetti più intimi della personalità chiedono necessariamente l'individuazione di più efficaci ed adeguate difese.
Per molti anni mancò un riscontro normativo specifico alla tutela di tale diritto anche se la giurisprudenza e la dottrina man mano ne riconoscevano la protezione, magari ancorandolo all'art. 10 c.c. relativo all'immagine, ovvero successivamente agli artt. 2 e 3 della Costituzione e alla garanzia di sviluppo della personalità. Solo in tempi relativamente recenti si è pervenuti ad una disciplina organica della materia, con la L. n. 675 del 1996, variamente modificato, e, successivamente, con l'ancor più incisivo Dlgs. N. 196/2003.
E' pacifico che gli eventi si verificarono sotto l'impero della L. n. 675 e ad essa quindi si deve fare riferimento, peraltro con le modifiche apportate successivamente.
Come si diceva, già la L. n. 675 del 1996 dettava una regolamentazione assai ampia e significativa. Essa si apre con alcune enunciazioni di principio: il trattamento dei dati personali deve svolgersi, nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali nonché della dignità della persona con particolare riferimento alla riservatezza e alla identità personale, quali profili di tutela della personalità. Si distingue(art. 22 ss) tra dati personali e dati sensibili (personalissimi e delicati) che sono tassativamente indicati (idonei a rilevare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche, politiche, lo stato di salute, la vita sessuale ecc.) ; per questi è previsto il consenso scritto dell'interessato e l'autorizzazione del Garante, salvo obbligo di legge. In caso di trattamento illegittimo , già la legge n. 675 prevede (art. 18) il diritto al risarcimento dei danni per l'interessato, richiamandosi l'articolo 2050 c.c.: l'attività di trattamento è dunque equiparata all'attività pericolosa e il titolare dovrà provare di avere adottato tutte le misure per evitare il danno; è risarcibile anche il danno non patrimoniale (art. 29).
Soccorrono altresì le modifiche apportate dal Digs. N. 135 dei 1999, nel senso di una maggior tutela del soggetto interessato anche con riferimento alle finalità di rilevante interesse pubblico. Si precisa, all'art. 22 comma ~ bis, che nei casi in cui è indicata la finalità di rilevante interesse pubblico, ma non sono specificati i tipi di dati e le operazioni eseguibili i soggetti pubblici identificano e rendono pubblici, secondo i rispettivi ordinamenti, i tipi di dati e di operazioni strettamente pertinenti e necessari alle finalità perseguite nei singoli casi (e i soggetti pubblici dovevano avviare l'adeguamento dei loro ordinamenti, in tal senso, entro il 31/12/1999).
Ancor più significativa la previsione introdotta dal predetto Digs. N. 135, per cui i dati personali " sensibili ", i quali godono di particolare tutela, devono essere trattati con tecniche di cifratura o con codici identificativi che permettano l'identificazione dell'interessato solo in caso di necessità; ciò con particolare riferimento ai dati attinenti alla vita sessuale e alla salute, anche se non contenuti in banche dati o non trattati con mezzi elettronici o comunque automatizzati; tali dati devono essere conservati separatamente da ogni altro dato (queste disposizioni saranno poi confermate dal successivo Digs. N. 196 dei 2003 ).
E' pacifico che l'aggiornamento delle liste elettorali si configurasse come una attività di rilevante interesse pubblico, ma è altrettanto evidente, come chiarisce, con motivazione adeguata e non illogica, il giudice a quo, che il Comune di (...) avrebbe dovuto rispettare scrupolosamente le prescrizioni della predetta disciplina normativa: l'inadeguatezza nel trattamento dei dati, al momento del trasferimento al Comune di (...) e le modalità stesse del trasferimento costituiscono sicuramente comportamento illegittimo che, al di là del successivo comportamento del Comune ricevente ha contribuito alla determinazione del danno, occorso all'odierna resistente secondo le regole inerenti al rapporti di causalità di cui all'artt. 40, 41 c.p..
Va per di più osservato che, operando l'art. 2050 c.c. spettava al Comune provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. E - continua il giudice a quo - manca la prova che a determinare l'evento, quale fattore sopravvenuto da solo sufficiente ad escludere o ad interrompere il nesso eziologico, sia stata una causa efficiente estranea e dei tutto autonoma rispetto al comportamento del Comune di (...).
Con motivazione altrettanto adeguata e non illogica, il giudice a quo richiama le risultanze della CTU è la documentazione in atti e l'attività istruttoria espletata (sull'inattendibilità della deposizione del marito dell'odierna resistente, il ricorso è del tutto generico e lacunose presenta dunque al riguardo profili di inammissibilità; del resto non impugnata elemento cui la sentenza impugnata fa riferimento per evidenziare la sussistenza del nesso di causalità e la consistenza del danno.
Sulla quantificazione il giudice a quo richiama, ancora una volta, con adeguata motivazione le risultanze della CTU e la documentazione in atti, riferendosi specificamente al danno biologico, cui si aggiunge un aumento personalizzato in misura pari al 20%, date le implicazioni negative della patologia e del fatto nella vita coniugale e sociale del soggetto.
Generico appare altresì il ricorso nel riferirsi alla partecipazione dell'interessata alla produzione del danno. Si limita il ricorrente ad osservare che la resistente, operatrice sanitaria, non aveva affrontato le terapie necessarie per fronteggiare il suo stato morboso, e tale situazione risultava dalla CTU e dalle dichiarazioni dei teste C.. Null'altro si aggiunge, e dunque anche sul punto il ricorso presenta profili di inammissibilità.
Conclusivamente va rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in €. 7200,00,comprensive di €. 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs 196/03, in quanto imposto dalla legge.
14-05-2015 12:39
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