Compra le piastrelle e dopo 15 mesi la pavimentazione da rifare. Chiede il risarcimento alla società produttrice sbagliando. Doveva rivolgersi alla ditta venditrice.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 aprile – 5 giugno 2015, n. 11669
Presidente Piccialli – Relatore Oricchio
Considerato in fatto
D.S. E. ebbe ad acquistare dalla S.D. corrente in Villarosa di Martinsicuro cento metri quadrati, interamente pagati per complessive £. 2.800.000, di piastrelle di ceramica, che -dopo soli quindici mesi dalla loro posa in opera- avevano manifestato gravi difetti acclarati a mezzo di accertamento tecnico preventivo.
Il D.S., quindi, conveniva, con citazione notificata il 19 marzo 1994, la rivenditrice S.D. e la produttrice R. Ceramiche innanzi al Tribunale di Teramo al fine di sentirle condannare al risarcimento del danno a mezzo del pagamento della somma necessaria per il rifacimento della pavimentazione. Resisteva alla domanda, eccependo -fra l'altro l'incompetenza per territorio la sola intimata R., nel mentre rimaneva contumace l'altra parte convenuta. Nel coso del giudizio, deceduto il D.S. E., si costituivano i suoi eredi D.S. V. e C. L..
Ritenuta infondata la sollevata eccezione il Tribunale di prima istanza, con sentenza n. 318/2004, condannava, in accoglimento della domanda attorea, in solido entrambe le parti convenute al pagamento, a titolo del dovuto risarcimento del danno, della somma di € 6.197,48, oltre interessi.
Avverso la detta decisione del Giudice di prime cure interponeva appello la sola R., chiedendo la riforma dell'impugnata sentenza in quanto errata. Gli appellati instavano per il rigetto del gravame. L'adita Corte di Appello dell'Aquila, nella perdurante contumacia della seconda convenuta appellata, riformava la decisione di primo grado, accogliendo il proposto appello e rigettando, conseguentemente, la domanda attorea nei confronti della R. Ceramiche, con condanna dei D.S.-C., eredi alla refusione delle spese del doppio grado del giudizio, alla restituzione di quanto eventualmente già corrisposto dall'appellante in esecuzione della sentenza di primo grado.
In particolare (ed in sintesi) la Corte territoriale riteneva la sussistenza di una ipotesi di cosiddetta "vendita a catena", che consentiva l'esperimento dell'azione contrattuale nei soli confronti della venditrice. Per la cassazione della succitata decisione della Corte territoriale ricorrono i D.S.-C. con atto affidato a sei ordini di motivi.
Parte intimata ha depositato "atto di costituzione in giudizio".
La Fin R. S.p.a. (già R. ceramiche Sp.a.) ha depositato memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Ritenuto in diritto
1.- Con il primo motivo dei ricorso si censura il vizio di "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (in relazione al punto 3 di cui all'art. 360 c.p.c.)". Il motivo è corredato dalla formulazione, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c, di apposito quesito di diritto inteso a conoscere se questa "Suprema Corte (voglia). statuire che nei -casi di cd. vendita a catena, nell'ipotesi in cui la merce venduta dall'ultimo venditore all'acquirente finale sia riconducibile direttamente ed autonomamente al produttore non valga il principio dell'autonomia fra le varie vendite, bensì vada affermato il principio della solidarietà".
Il motivo, che manca anche della prescritta indicazione della o delle norme di diritto che si riterrebbero violate, è comunque del tutto infondato.
E' noto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte puntualmente richiamato nella gravata decisione, che nelle ipotesi di "vendita a catena" ciascuna vendita conserva la propria autonomia strutturale ( per tutte Cass. 31 maggio 2005, n. 11602).
Il motivo in esame va, pertanto, respinto.
2.- Con -il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (in relazione al punto 3 di cui all'art. 360 c.p.c)". Il motivo è proposto in uno a relativo quesito di diritto, col quale si chiede se "... nel caso di vendita a catena non debba intendersi sussistente la sola fattispecie della responsabilità contrattuale, bensì anche la responsabilità extra-contrattuale ex art. 2042 c.c.".
Il motivo è infondato in quanto, per l'esposta struttura --innanzi precisata- della cosiddetta "vendita a catena" non può esistere un rapporto con una pluralità di venditori, né e stato dedotta e/o prospettata una eventuale ipotesi di lesività connessa al rapporto per cui è causa.
3.- Con il terzo motivo parti ricorrenti lamentano la "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (in relazione al punto 3 di cui all'art. 360 c.p.c.)". Col quesito accluso, ex art. 366 bis c.p.c., al motivo in esame si chiede di conoscere se "... di fronte al riconoscimento del vizio effettuato non soltanto dall'ultimo venditore ... sorga una nuova autonoma obbligazione".
IL motivo e infondato.
Non è, infatti, possibile ipotizzare in un tipo di vendita - come quello per cui si controverte- il sorgere di una "nuova autonome obbligazione"
In ogni caso l'infondatezza del motivi appare viepiù evidente in dipendenza della circostanza che parte ricorrente non indica neppure specificamente estremi, tempo e caratteri (elementi, comunque, tutti di fatto) del preteso riconoscimento su cui si fonderebbe la prospettata "nuova autonoma obbligazione"
4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (in relazione al punto 3 di cui all'art. 360 c.p.c.)".
Col quesito a corredo del motivo qui in esame si chiede "se sia esperibile una azione di risoluzione ex art. 1453 c.c." "in caso di consegna di aliud pro alio".
La questione oggi sollevata col motivo qui in esame appare, invero, dei tutto nuova rispetto al corso dei giudizio.
Il motivo e, comunque, del tutto inconferente rispetto alla ratio della decisione gravata, che -- attraverso il quesito oggi ipoteticamente posto- ha deciso in ordine alla debenza del risarcimento del danno per i difetti (graffi, erosioni e abrasioni lamentati della fornita pavimentazione) e riscontrati dai consulenti tecnici
5.- Con il quinto motivo del-ricorso si censura il vizio di "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (in relazione al punto 3 di cui all'art. 360 c.p.c.)".
Viene posto il quesito se sia possibile "in caso di consegna di aliud pro alio un'autonoma azione di arricchimento"
Il motivo deve essere rigettato per lo stesso ordine di ragioni innanzi già esposte sub. 4.
6.- Con il sesto ed ultimo motivo del ricorso si denuncia "omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione al punto 5 di cui all'art. 360 c.p.c.)".
Il fatto in ordine al quale si sarebbe verificata la denunciata carenza motivazionale non viene specificamente evidenziato e, pur a volerlo irìdividuare (secondo la sommaria indicazione di parte nella "consegna di aliud pro alio"), comunque non sussisterebbe il lamentato vizio denunciato.
La questione, dei tutto e come già detto nuova, è comunque infondata in assenza di un'apposita domanda specie al confronto del fatto che -ab initio del giudizio- è stato richiesto il risarcimento ma senza fare questione di aliud pro alio.
Il motivo va, pertanto, respinto.
7.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso deve essere rigettato.
8.- Le spese seguono la soccombenza e, per l'effetto, si determinano così come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento in favore della parte resistente delle spese del giudizio, determinate in C 2.700,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
06-06-2015 10:25
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