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Sentenza

Go-kart: incidente mortale durante una gara nonostante la presenza di alcune bal...
Go-kart: incidente mortale durante una gara nonostante la presenza di alcune balle di paglia, ai lati del circuito, come misura di sicurezza. La moglie della vittima chiede i danni al Coni, all'Aci, al Ministero dell’Interno e al Comune, addebitando a loro la responsabilità per l’incidente. Ma il drammatico episodio era stato provocato dalla condotta di guida imprudente di un pilota.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 marzo – 30 giugno 2015, n. 13327
Presidente Spirito – Relatore Rossetti

Svolgimento del processo

1. II 17.10.1999 G.G. perse la vita durante una gara di go-kart. Nel 2002 la moglie (M.P.P.) ed altri nove prossimi congiunti della vittima convennero dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero dell'Interno, il Comune di Catania, il CONI, l'ACI e la società Service s.r.l., assumendo che il sinistro mortale andasse ascritto a responsabilità degli enti convenuti, nella loro veste vuoi di organizzatori della gara, vuoi di enti preposti alle verifiche delle condizioni di sicurezza.
2. Con sentenza 6.3.2006 il Tribunale di Roma rigettò la domanda. La sentenza venne appellata dai soccombenti.
La Corte d'appello di Roma con sentenza 8.11.2010 n. 4570 rigettò il gravame, ritenendo che:
- il CONI e l'ACI non erano gli organizzatori della gara, e non potevano essere chiamati a rispondere dei fatti avvenuti nel corso di essa; - il sinistro era dipeso dalla condotta di guida imprudente di un concorrente, della quale gli altri enti convenuti non potevano essere chiamati a rispondere;
- il deficit di misure di sicurezza invocato dagli attori (ovvero la predisposizione di insufficienti balle di paglia ai lati del circuito) non aveva avuto efficacia causale nella produzione dell'evento.
3. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dai prossimi congiunti di G.G., sulla base di sette motivi. Hanno resistito con controricorso soltanto il CONI e l'ACI.

Motivi della decisione

1. Questioni preliminari.
1.1. Preliminarmente deve rilevarsi come la notifica dei ricorso non sia andata a buon fine nei confronti dei Comune di Catania.
1.2. E' ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui quando la notificazione di un atto processuale, da effettuare entro un termine perentorio, non si perfezioni per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha l'onere di chiedere all'ufficiale giudiziario la c.d. "ripresa del procedimento notificatorio" e, ai fini del rispetto dei termine perentorio, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione dei procedimento, sempreché la ripresa dei medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l'esito negativo della notificazione e assumere le informazioni dei caso. Tale conclusione è imposta dal principio della ragionevole durata dei processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale per rinnovare una notificazione comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio (ex multis, Sez. L, Sentenza n. 20830 del 11/09/2013, Rv. 627938; Sez. L, Sentenza n. 21154 dei 13/10/2010, Rv. 615083; e soprattutto Sez. U, Sentenza n. 17352 dei 24/07/2009, Rv. 609264; Sez. 5, Sentenza n. 6547 del 12/03/2008, Rv. 602726).
1.3. Nel caso di specie, la notificazione dei ricorso nei confronti del Comune di Catania venne richiesta sin dal 21.122011, sicché i ricorrenti ed il loro difensore, con l'uso dell'ordinaria diligenza, avrebbero avuto ogni agio di reiterarla.
Escluso dunque che questa Corte possa fissare alcun termine per rinnovare la notificazione, ne segue l'inammissibilità del ricorso nei confronti del Comune di Catania, per difetto assoluto di notifica.
2. Il primo motivo di ricorso.
2.1. Col primo motivo di ricorso (indicato con la lettera "A") i ricorrenti (pur formalmente invocando il vizio di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c.), lamentano nella sostanza che la sentenza impugnata sarebbe viziata da una nullità processuale, ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c.. Deducono, infatti, che il giudice di merito non avrebbe "integrato il contraddittorio" nei confronti di due corridori (S.Z. e G.M.) corresponsabili dei fatto, i quali dovevano considerarsi "parti e quindi litisconsorti necessari".
2.2. II motivo è manifestamente infondato.
Tra i corresponsabili d'un fatto illecito non c'è mai litisconsorzio necessario (al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge), perché la sentenza pronunciata nei confronti di uno soltanto di essi non sarebbe mai inutiliter data.
3. II secondo motivo di ricorso.
3.1. Col secondo motivo di ricorso (indicato con la lettera "B") i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d'appello non avrebbe motivato adeguatamente le ragioni di rigetto della domanda.
3.2. Il motivo è manifestamente inammissibile.
Com'è noto, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sussiste solo quando nel ragionamento dei giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero
un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non        l consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.
E' altresì noto che il giudice di merito al fine di adempiere all'obbligo della motivazione non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. E', infine, noto che la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice del merito.
Da questi principi pacifici discende che non può chiedersi al giudice di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito. II sindacato della Corte è limitato a valutare se la motivazione adottata dal giudice di merito sia esistente, coerente e consequenziale: accertati tali requisiti, nulla rileva che le prove raccolte si sarebbero potute teoricamente valutare in altro modo.
Nel caso di specie, la Corte d'appello ha spiegato in modo chiaro ed inequivoco, da un lato, che la causa dell'accaduto andava ricercata nella condotta di uno dei partecipanti alla gara, sulla quale gli organizzatori non potevano influire; dall'altro, che nemmeno la predisposizione delle diverse e più efficienti protezioni invocate dagli attori avrebbero potuto evitare l'evento. Si tratta, dunque, di una motivazione esistente, non illogica e non contraddittoria, incensurabile in questa sede.
4. II terzo motivo di ricorso.
4.1. Coi terzo motivo di ricorso (indicato con la lettera "C") i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 115 e 116 c.p.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.. Espongono, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe errato nell'escludere la responsabilità del Comune e del Prefetto di Catania, i quali avevano negligentemente autorizzato lo svolgimento della gara senza alcuna verifica preliminare sulla sussistenza delle condizioni di sicurezza.
4.2. II motivo è inammissibile: sia perché sollecita un accertamento di merito, sia perché non pertinente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
La Corte d'appello ha infatti rigettato la domanda per difetto di nesso di causa tra la conformazione della struttura del circuito e l'evento di danno. Pertanto, quand'anche le autorizzazioni amministrative allo svolgimento della gara fossero state irregolari o mancanti, tale circostanza sarebbe irrilevante ai fini dell'affermazione della responsabilità civile degli enti convenuti.
5. II quarto motivo di ricorso.
5.1. Anche col quarto motivo di ricorso (indicato con la lettera "D") i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all'art. 360, n. 3, c.p.c. (si assumono violati gli artt. 115 e 116 c.p.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe erroneamente trascurato di considerare che gli organizzatori della gara dovevano ritenersi in colpa, per non avere sistemato lungo la pista protezioni sufficienti ed adeguate.
5.2. II motivo è inammissibile.
La Corte d'appello ha infatti ritenuto che:
(a) dell'insufficienza          delle protezioni laterali doveva rispondere l'organizzatore, che non era parte dei giudizio;
(b) in ogni caso si era formato il giudicato sulla irrilevanza causale dell'insufficiente predisposizione di balle di paglia a protezione del circuito (così la sentenza impugnata. p. 7).
Tali statuizioni non sono state censurate: sicché è irrilevante nella presente sede stabilire se la Corte d'appello abbia correttamente o meno escluso l'irregolarità delle protezioni laterali.
6. II quinto, sesto e settimo motivo di ricorso.
6.1. Gli ultimi tre motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente:
- col quinto motivo di ricorso (lettera "E") i ricorrenti lamentano la mancata ammissione delle prove da essi richieste: il motivo è inammissibile per difetto dei requisito di autosufficienza, non avendo i ricorrenti trascritto le richieste istruttorie della cui mancata ammissione si dolgono; - col sesto motivo di ricorso (lettera "F") i ricorrenti lamentano "il mancato accoglimento del quantum": esso è inammissibile per totale difetto di intelligibilità, posto che la stima del danno in appello fu ovviamente assorbita dalla ritenuta insussistenza di responsabilità in capo ai convenuti;
- col settimo motivo di ricorso (lettera "G") i ricorrenti hanno reiterato la richiesta di condanna delle controparti per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.: trattasi di richiesta che propriamente non è un motivo di ricorso, e che comunque è assorbita dal rigetto degli altri motivi.
7. Le spese.
Le spese dei giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c..

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l'art. 380 c.p.c.:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna M.P.P., A. G., C.G., G.G., G. Dara, C. G., G.G., A. G., L.G., A.G., in solido, alla rifusione in favore del CONI delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 5.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
-) condanna M.P.P., A. G., C. G., G. G., G. Dara, C. G., G. G., A. G., L. G., A. G., in solido, alla rifusione in favore dell'ACI delle spese dei presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 5.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55.
Avv. Antonino Sugamele

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