Il cambio di indirizzo dello studio legale è desumibile dalla comparsa conclusionale? L’impugnazione va proposta entro i termini stabiliti dalla legge.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 5 marzo – 15 giugno 2015, n. 12360
Presidente Bianchini – Relatore Manna
Svolgimento del processo e Motivi della decisione
Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell'art. 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex arti. 380-bis e 375 c.p.c.:
"1. - Con citazione inoltrata per la notifica l' 11.6.2008, A.R. proponeva innanzi al Tribunale di Napoli e nei confronti del condominio "Galbevi" di via XX, XX, S. Giorgio a Cremano, appello contro la sentenza n. 1589/07 del giudice di pace di Barra, pubblicata il 23.4.2007 e non notificata. Una precedente notificazione dell'atto d'appello tentata il 6.6.2008 non era andata a buon fine, perché indirizzata presso il precedente studio professionale del difensore domiciliatario della parte appellata, il quale nelle more del giudizio di primo grado l'aveva trasferito.
1.1. - Resistendo il condominio, il Tribunale dichiarava inammissibile il gravame. Inesistente la prima notificazione, la seconda - così osservava il Tribunale - era stata effettuata decorso il termine ordinario d'impugnazione della sentenza di primo grado. Precisava, al riguardo, il giudice d'appello che il trasferimento dello studio professionale del difensore domiciliatario del condominio era avvenuto già nel corso del processo innanzi al giudice di pace, e che la parte appellante ne avrebbe dovuto conoscere in quanto chiaramente desumibile dalla comparsa conclusionale depositata in detto primo grado di giudizio.
2. - Per la cassazione di tale sentenza A.R. propone ricorso, affidato a un unico motivo.
2.1. - Resiste con controricorso il condominio "Galbevi".
3. - L'unico mezzo d'annullamento denuncia la violazione degli artt. 325 e 326 c.p.c. e la "errata" (rectius: falsa) applicazione degli artt. 358 e 387 c.p.c., in relazione al n. 3 (rectius: 4) dell'art. 360 c.p.c. Sostiene parte ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto consumato il diritto d'impugnazione per non essere andata a buon fine la prima notificazione dell'appello tentata il 6.6.2008, non considerando il termine breve ex art. 325 c.p.c., che a sua volta doveva ritenersi decorrente da quest'ultima data quale momento di piena conoscenza legale della sentenza di primo grado. E richiama, a conferma, la nota giurisprudenza di questa Corte secondo cui finché non sia stata emessa una pronuncia d'inammissibilità o d'improcedibilità dell'appello, è sempre possibile proporre una seconda impugnazione, sempre che quest'ultima risulti tempestiva e idonea a instaurare il contraddittorio.
4. - Il motivo è manifestamente infondato.
Esso suppone senza alcuna base positiva o giurisprudenziale che la notifica senza esito di un atto d'impugnazione determini - per di più in favore dello stesso notificante - la proroga del termine ordinario ex art. 327 c.p.c., nella cui pendenza detta notificazione sia stata tentata.
Al contrario, per il disposto dell'art. 327 c.p.c., la decadenza dall'impugnazione, per il decorso del termine annuale dalla pubblicazione della sentenza, si verifica indipendentemente dalla notificazione,. di questa e pertanto anche nel caso in cui effettuata nell'anno la notificazione della sentenza, tenuto conto della sospensione feriale, non sia ancora decorso il termine breve di impugnazione decorrente dalla data di tale notifica (Cass. nn. 8191/00, 4508/81, 1321/80 e 2268/74). A fortiori, il principio dell'insuperabilità del termine c.d. lungo opera nel caso in cui la conoscenza legale della sentenza oggetto d'impugnazione derivi non dalla notificazione fattane dalla parte vittoriosa, ma dall'iniziativa della stessa parte appellante che - come nel caso in esame - abbia proposto un appello la cui notifica entro il termine di cui all'art. 327 c.p.c. non sia andata a buon fine.
Del tutto non pertinente, poi, è il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte Suprema sulla non consumazione dell'appello non ancora dichiarato inammissibile o improcedibile, allorché alla prima notificazione del gravame senza esito ne sia seguita altra valida e tempestiva. La sentenza c.c. Tribunale partenopeo, infatti, si basa su tutt'altra affermazione - non investita da alcuna censura - vale a dire su ciò che la seconda notifica dell'appello è avvenuta per il notificante l' 11.6.2008 e dunque dopo la scadenza del termine ex art. 327 c.p.c.
4.1. - Infine, non ricorrono neppure le condizioni per la ripresa del procedimento notificatorio in base all'indirizzo pretorio di Cass. n. 20830/13 e precedenti conformi. La sentenza impugnata ha affermato - in base ad un accertamento di fatto processuale non coinvolto dal motivo di ricorso - che il mutamento di studio del difensore domiciliatario della parte appellata era avvenuto già nel corso del giudizio di primo grado ed era chiaramente desumibile dalla comparsa conclusionale depositata in quel processo.
5. - Pertanto, si propone la decisione del ricorso con ordinanza, ai sensi del n. 5 dell'art. 375 c.p.c.".
II. - La Corte condivide la relazione, rispetto alla quale le memorie depositate dalle parti (ovviamente di senso contrario la sola memoria della parte ricorrente) non svolgono considerazioni idonee a indurre una conclusione di segno diverso.
11.1. - In particolare, non ha pregio il parallelo che in detta memoria la parte ricorrente istituisce tra il caso in oggetto e la previsione dell'art. 288, comma 4 c.p.c., che fa decorrere dalla notifica dell'ordinanza di correzione l'impugnazione della sentenza nelle parti corrette. In disparte la pur decisiva considerazione che nel caso della correzione dell'errore materiale il differimento del termine d'impugnazione è mediato dall'emissione di un provvedimento del giudice e non dalla mera iniziativa della parte interessata, va precisato che il 4° comma dell'art. 288 c.p.c. riguarda l'impugnazione non già della sentenza tout court, ma delle sole parti di quest'ultima che siano state corrette. Per di più detta norma si riferisce unicamente all'ipotesi in cui l'errore corretto sia tale da determinare un qualche obbiettivo dubbio sull'effettivo contenuto della decisione e non già quando l'errore stesso, consistendo in una discordanza chiaramente percepibile tra il giudizio e la sua espressione, possa essere agevolmente eliminato in sede di interpretazione del testo della sentenza, poiché, in tale ultima ipotesi, un'eventuale correzione dell'errore non sarebbe idonea a riaprire i termini dell'impugnazione (cfr. Cass. n. 22185/14).
III. - Pertanto, il ricorso va rigettato.
IV. - Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in euro 1.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
16-06-2015 22:18
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