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Sentenza

Il Comune di Pomezia condannato a risarcire 15.000 euro ad un cittadino: dati se...
Il Comune di Pomezia condannato a risarcire 15.000 euro ad un cittadino: dati sensibili erano stati resi conoscibili sia ai dipendenti incaricati della consegna di un documento sia a quelli presenti alla consegna stessa.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 8 luglio – 15 ottobre 2015, n. 20890
Presidente Salmè – Relatore Pellecchia

Svolgimento del processo

Nel 2005, A.N. convenne in giudizio il Comune di Pomezia per ottenere il risarcimento dei danni morali patiti a seguito della lesione del suo diritto alla riservatezza derivante dalla diffusione di notizie sul suo stato di salute già portata all'attenzione del Garante della privacy.
Il Tribunale di Velletri, con la sentenza del 25 gennaio 2012, accolse la domanda dell'attore e condannò l'ente locale al pagamento della somma di € 15.000 a titolo di risarcimento dei danni.
2. Avverso tale decisione, il Comune di Pomezia propone ricorso in Cassazione sulla base di 3 motivi.
3.1 Resiste con controricorso, illustrato da memoria, A.N..

Motivi della decisione

4.1. Con il primo motivo, l'ente ricorrente deduce la "nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione del contraddittorio ex articolo 102 c.p.c. - violazione e falsa applicazione dell'art. 152 L. n. 196/2003".
Lamenta il Comune di Pomezia che la sentenza è errata perché non ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei confronti del Garante della Privacy da considerarsi quale litisconsorte necessario.
Il motivo è infondato perché non è necessaria la notifica al Garante.
Occorre distinguere tra il giudizio che si svolge dinanzi al Tribunale ordinario, ai sensi dell'art. 29, sesto comma, della legge 31 dicembre 1996, n. 675, in opposizione al provvedimento del Garante per cui lo stesso riveste il ruolo di litisconsorte necessario e il giudizio, come quello in oggetto, relativo solo al risarcimento del danno, al quale il Garanteè del tutto estraneo. Infatti, quest'ultimo giudizio coinvolge esclusivamente l'autore del danno, il Comune di Pomezia, e il soggetto che ha subito il danno.
4.2. Con il secondo motivo, il Comune denuncia la "violazione e falsa applicazione dell'ars. 2697 c.c. nonché degli artt. 2727 e 2729 c.c. - violazione e falsa applicazione dell'ars. 115 c.p.c. - Omessa, erronea, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia".
Il ricorrente sostiene che il Tribunale in completa assenza di prova sul danno subito dal N., sul quale incombeva l'onere probatorio, ricorreva ai fini della condanna risarcitoria alla prova per presunzioni semplici, `ritenendo dunque possibile il proliferare di sconvenienti illazioni e commenti in un ambiente di lavoro ristretto e in un piccolo centro quale quello di Pomezia'. In alcun punto della sentenza però è dato rinvenirsi da quale prova il giudice abbia tratto il proprio convincimento relativamente alla diffusione delle notizie foriere di disagio.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la "violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. nonché 115 c.p.c., per avere il Tribunale fatto ricorso alla valutazione equitativa del danno in assenza di prova del pregiudizio".
I due motivi possono essere trattati congiuntamente considerata la stretta connessione e sono entrambi infondati.
Il giudice del merito non è incorso in nessuna delle violazioni attribuitegli.
Infatti, in sentenza è stato rilevato che il Garante per la protezione dei dati personali aveva già accertato che gli episodi di cui si discute erano avvenuti con modalità illecite perché i dati in questione, relativi alla salute del N. ed utilizzate dall'odierno ricorrente, erano stati resi conoscibili sia ai dipendenti incaricati della consegna sia a quelli presenti alla consegna stessa. Quindi per i due episodi, convocazione presso la AsI di Competenza e consegna di documentazione richiesta ex art. 22 L. 241/1990, correttamente il giudice afferma, motivandolo, che si è leso il diritto alla riservatezza del N. `avendo causato in un ambiente ristretto, quale quello relativo del N. [...] ed a fronte della particolare posizione lavorativa [...] il proliferare d'inopportuni commenti e illazioni'. E motiva anche la determinazione del danno liquidata in misura equitativa `per la sofferenza morale', subita dal N. e posta quale presupposto per la tutela risarcitoria.
Quanto sopra detto vale anche per il terzo episodio, quello della revoca del contrassegno per il parcheggio invalidi, in cui il Tribunale ha ritenuto sussistere, motivandolo, il fine ritorsivo del Comune che ha causato al N. un disagio morale che ha liquidato equitativamente.
Per tutti e tre gli episodi, in conclusione, il giudice, si è avvalso del potere di liquidazione equitativa del danno dopo aver accertato che il danno esisteva, come nel caso di specie, ed ha indicato le ragioni del proprio convincimento.
5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Avv. Antonino Sugamele

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