n tema di determinazione del compenso spettante al difensore che abbia assistito una pluralità di parti, costituisce una questione di merito, e quindi incensurabile in sede di legittimità, lo stabilire se l’opera di difesa sia stata unica o se la stessa abbia comportato la trattazione di questioni differenti, in relazione alla tutela di non identiche posizioni giuridiche.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 12 febbraio – 4 giugno 2015, n. 11591
Presidente Bianchini – Relatore Falaschi
Svolgimento del processo
L'Avv. D.L.R. propone ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso decreto del 18 luglio 2012, del Tribunale di Reggio Calabria - Sezione Fallimentare, in composizione collegiale ed in funzione di giudice del rinvio, di rigetto del reclamo da lui promosso, ai sensi dell'art. 26 D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 170, contro il provvedimento del giudice fallimentare del Tribunale di Palmi di liquidazione degli onorari in favore dello stesso ricorrente quale difensore del Fallimento Isotta Fraschini Fabbrica Automobili s.p.a., che gli aveva liquidato, riducendone la pretesa esposta nella nota spese in non meno di Euro. 673,38 per ciascun procedimento, l'onorario per l'opera professionale prestata nell'ambito dei 209 procedimenti di opposizione allo stato passivo promossi dagli ex dipendenti della società fallita, richiamati i principi indicati dalla Corte di Cassazione a seguito dell'annullamento del decreto pronunciato in sede di reclamo, in Euro 34.685,00, oltre accessori.
A sostegno della decisione il Collegio del rinvio rilevava che - demandato al potere del giudice di merito stabilire l'aumento dell'unico onorario ex art. 5, comma quarto, tariffa professionale in ipotesi di assistenza di più parti aventi la medesima posizione processuali, ancorché trattasi di più processi distinti - non poteva essere accolta la richiesta del professionista di liquidazione di Euro. 673,38 per ciascun giudizio moltiplicato per 209, giacché trovando applicazione il predetto art. 5, correttamente il primo giudice aveva quantificato l'onorario unico per un giudizio in Euro 1.540,00 (ben oltre il minimo tariffario), maggiorato del 20%, pari ad Euro 1.848,00 e moltiplicato per 10, per complessivi Euro 18.480,00, maggiorato altresì del 5% l'originario unico importo pari ad Euro 1.617,00 e moltiplicato per 10, così ottenendo la somma di Euro 16.170,00, che sommata alla precedente ammontava ad un totale di Euro 34.650,00, importo che risultava inferiore di soli Euro 35,00 rispetto al compenso liquidato dal G.D.. Aggiungeva che i presupposti per l'applicazione della normativa di riferimento dovevano essere rinvenuti nell'identità delle questioni trattate e quindi nella serialità dei giudizi difesi dall'avvocato della curatela, ragione per la quale il G.D. aveva provveduto alla nomina di un unico difensore per tutti i 209 giudizi, onde evitare uno sperpero ingiustificato di attivo fallimentare.
La cassazione del provvedimento è chiesta sulla base di un unico motivo, non svolte difese dall'intimata curatela fallimentare.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo il ricorrente lamenta che il giudice del rinvio non abbia tenuto conto del principio affermato dalla Cassazione con la sentenza di annullamento, ossia la individuazione nella fattispecie de qua dei criteri per l'applicazione dell'art. 5 D.M. n. 585 del 1994, essendosi limitato ad una mera operazione di calcolo aritmetico.
Il motivo è infondato, essendosi la sentenza adeguata a quella che è stata l'indicazione della Corte di legittimità circa la determinazione del compenso al difensore in applicazione dell'art. 5, 4 comma, D.M. n. 585 del 1994.
Al riguardo occorre ricordare che, in tema di determinazione del compenso spettante al difensore che abbia assistito una pluralità di parti, costituisce questione di merito, la cui risoluzione è incensurabile in sede di legittimità, lo stabilire se l'opera defensionale sia stata unica, nel senso di trattazione di identiche questioni in un medesimo disegno difensionale a vantaggio di più parti, o se la stessa abbia, invece, comportato la trattazione di questioni differenti, in relazione alla tutela di non identiche posizioni giuridiche (Cass. 10 giugno 1997, n. 5174; 21 giugno 1993, n. 6850; sez. un. 22 dicembre 1981, n. 6757). Nella specie il giudice ha fornito ampia spiegazione circa il fatto che la causa in questione è (e resta) unica e del maggiore sforzo difensivo si può tenere conto nella determinazione del compenso tra minimo e massimo: ha infatti chiarito che i 209 giudizi avevano ad oggetto identità di questioni trattate, per cui si trattava di cause seriali, ragione per la quale il giudice delegato aveva nominato lo stesso legale per tanti giudizi. Inoltre, ha proceduto, ai sensi della disposizione dell'art. 5 del decreto ministeriale in questione, ad aumentare l'onorario unico di Euro 1.540,00 del 20% fino ad un massimo di dieci (giudizi), nonché - essendo le parti in numero superiore - ad ulteriore maggiorazione del 5% per ulteriori dieci parti, fino ad un massimo di 20 pani, ottenendo l'importo complessivo di Euro 34.650,00, decisione che appare congrua rispetto alla natura della causa, non implicante alcun impegno difensivo rispetto a quello generale.
Va, infine, ribadito che il superamento da parte del giudice dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un vizio del giudizio e, pertanto, per l'ammissibilità della censura è necessario che nel ricorso per Cassazione siano specificati (come, invece, non è avvenuto nella fattispecie in esame) i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimità, senza dover espletare un'inammissibile indagine sugli atti di causa (Cass. 10 ottobre 2003 n. 15172; Cass. 30 agosto 2004 n. 17363; Cass. 24 novembre 2005 n. 24757; Cass. 1 ottobre 2009 n. 21064). Ne consegue che il provvedimento impugnato è esente da censure nella individuazione del criterio prescelto ai fini di stabilire il compenso dovuto.
Il ricorso va rigettato.
Non deve farsi luogo ad alcuna pronuncia sulle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità per non avere l'intimato fallimento svolto difese in questa sede.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
09-06-2015 14:48
Richiedi una Consulenza