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Sentenza

Un avvocato non può rivestire la qualità di socio in una s.n.c..-...
Un avvocato non può rivestire la qualità di socio in una s.n.c..-
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 marzo – 24 agosto 2015, n. 17114
Presidente Vidiri – Relatore Tria

Svolgimento del processo

1.— La sentenza attualmente impugnata, in parziale accoglimento dell'appello proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, avverso la sentenza del Tribunale di Vasto n. 176/2012: 1) dichiara l'incompatibilità con l'iscrizione alla suddetta Cassa della qualità di socio della P.P. e figli di P.D. & C. s.n.c., rivestita dall'avvocato P.C. nel periodo compreso tra il 1972 e il momento dello scioglimento di detta società (17 giugno 2006); 2) per l'effetto conferma l'annullamento di tale iscrizione solo per il suindicato periodo; 3) dispone, pertanto, la restituzione al P. dei contributi versati nel periodo medesimo, oltre agli interessi legali.
La Corte d'appello dell'Aquila, per quel che qui interessa, precisa che:
a) sulla base del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento va disatteso l'assunto del primo giudice secondo cui l'incompatibilità in contestazione sarebbe da escludere perché nell'ambito della società di famiglia l'avvocato P. non ha mai rivestito cariche comportanti dei poteri di gestione e di amministrazione, avendo solo la qualità di socio, ritenuta compatibile con l'esercizio della professione forense e l'iscrizione al relativo albo;
b) infatti, la ratio della normativa è quella di evitare possibili condizionamenti all'esercizio indipendente della professione forense, garantendone, con chiarezza, l'autonomia, il prestigio e l'efficienza, senza possibilità di operare distinzioni difficilmente gestibili e verificabili da parte della Cassa Forense;
c) va, pertanto, privilegiata una interpretazione formale della normativa in oggetto, il che comporta la dichiarazione dell'incompatibilità nei termini suindicati.
2- Il ricorso dell'avvocato P.C. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, che propone, a sua volta, ricorso incidentale, per un motivo.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Preliminarmente i due ricorsi vanno riuniti, perché proposti avverso la medesima sentenza.
I - Sintesi dei motivi del ricorso principale.
1.- Il ricorso è articolato in due motivi.
1.1 — Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 38 (recte: art. 3) del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578.
Si sostiene l'erroneità della statuizione della Corte d'appello consistente dell'aver ritenuto che, nella specie, fosse configurabile un'ipotesi di attività incompatibile con l'esercizio della professione forense, in quanto la società in nome collettivo di famiglia di cui l'avvocato P. era socio non era operativa e comunque il ricorrente non aveva mai esercitato competenze gestionali o assunto cariche sociali nella società stessa.
1.2.- Con il secondo motivo si denunciano: a) violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché del principio di buona fede e affidamento, degli artt. 1 e 2 della legge n. 241 del 1990 e dell'art. 1362 cod. civ.; b) omessa pronuncia.
Si rileva che la Corte aquilana avrebbe omesso di considerare le questioni, ritualmente riproposte, riguardanti, in particolare la violazione dei principi di buona fede, correttezza e affidamento da parte della Cassa Forense, derivante dall'avere per lunghi anni omesso di adottare alcun provvedimento, nonostante la conoscenza, a partire dal 1987, della presenza di redditi del P. provenienti dalla società, grazie alle comunicazioni annuali regolarmente effettuate dall'interessato.
Tale violazioni darebbero luogo alla illegittimità del provvedimento di cancellazione dalla Cassa di cui si discute.
II - Sintesi del ricorso incidentale.
2.- Con il motivo di ricorso incidentale si deduce, in riferimento all'art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di numerose norme di legge, in ordine alla statuizione della Corte aquilana di condanna della Cassa al "rimborso dei contributi versati", oltre agli interessi legali, in quanto comprensiva anche del contributo integrativo, che invece è dovuto da tutti gli iscritti all'Albo indipendentemente dalla iscrizione alla Cassa e, quindi, non è rimborsabile, in considerazione della sua finalità solidaristica.
III - Esame del ricorso principale.
3.- I motivi del ricorso principale - da esaminare congiuntamente data la loro intima connessione - non sono da accogliere.
4.- Va, infatti, osservato che per la disciplina di cui al r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578,, convertito dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36 - applicabile nella specie, ratione temporis - in assenza di una specifica norma di contenuto contrario l'assunzione, da parte di un avvocato, della qualità di socio nell'ambito di una società di persone, quale quella di cui si tratta, deve ritenersi dare luogo ad una situazione di incompatibilità, a prescindere dalla mancata assunzione di cariche comportanti dei poteri di gestione e di amministrazione della società medesima, censurabile con la sola adozione del provvedimento amministrativo, non sanzionatorio, della cancellazione dall'albo, diversamente da quel che accade per le società di capitali, secondo quanto costantemente affermato da questa Corte (vedi, per tutte: Cass. SU 5 gennaio 2007 n. 37; Cass. SU 24 marzo 1977, n. 1143; Cass. SU 28 febbraio 2011, n. 4773).
Mentre la corretta comunicazione, da parte dell'interessato alla Cassa forense, della presenza di redditi provenienti dalla società stessa assume rilievo al fine di escludere eventuali illeciti disciplinari derivanti dalla fraudolentemente celata o negata dal professionista sussistenza della suindicata situazione di incompatibilità (vedi: Cass. SU 26 giugno 2003, n. 10162).
5.- Con l'art. 18 della legge 31 dicembre 2012 n. 247 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense) la disciplina delle incompatibilità della professione di avvocato è stata modificata, stabilendosi, fra l'altro che tale professione è incompatibile:
"con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l'esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione. L'incompatibilità non sussiste se l'oggetto della attività della società è limitato esclusivamente all'amministrazione di beni, personali o familiari, nonché per gli enti e consorzi pubblici e per le società a capitale interamente pubblico".
Tale disciplina, peraltro, è entrata in vigore il 2 febbraio 2013 (con le limitazioni indicate dall'art. 65 della legge stessa) e, quindi, è inapplicabile alla presente fattispecie.
6.- La Corte d'appello dell'Aquila, nella sentenza attualmente impugnata, ha fatto corretta applicazione dei suindicati principi, con congrua e logica motivazione, sicché la sentenza va esente dalle censure formulate nel ricorso principale.
IV - Esame dei ricorso incidentale
7.- Il motivo del ricorso incidentale è inammissibile.
Infatti, poiché nella sentenza impugnata non vi è alcun riferimento alla problematica in esso sviluppata (relativa alla rimborsabilità o meno del contributo integrativo) e, come ha rilevato anche il ricorrente principale in memoria, di tale questione non si è mai discusso nei gradi di merito del giudizio - in assenza di allegazioni al riguardo, effettuate in conformità con il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione e volte a dimostrare che tale problematica era già compresa nel thema decidendum del giudizio di merito - esso, per come è formulato, si pone in contrasto con il consolidato principio secondo cui nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell'ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (vedi, per tutte: Cass. 16 aprile 2014, n. 2190; Cass. 26 marzo 2012, n. 4787; Cass. 30 marzo 2000, n. 3881; Cass. 9 maggio 2000, n. 5845; Cass. 5 giugno 2003, n. 8993; Cass. 21 novembre 1995, n. 12020).
V – Conclusioni.
8.- In sintesi, entrambi i ricorsi devono essere respinti. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese processuali di questo giudizio di cassazione, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale e il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Avv. Antonino Sugamele

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