Una donna muore in terapia intensiva per lesioni cerebrali irreversibili. I figli ed il marito informati della possibilità di presentare opposizione scritta al prelievo di organi e tessuti si oppongono al prelievo di pelle. L'equipe medica che effettua le operazioni di espianto preleva invece dalla salma anche la cute.
Tribunale di Firenze, sez. II Civile, sentenza 25 febbraio 2015
Giudice Donnarumma
In fatto
È pacifico, non contestato tra le parti e, comunque, documentato che:
- in data (omissis), presso l'azienda ospedaliera C. , decedeva in terapia intensiva per lesioni cerebrali irreversibili la sig.ra M. G., coniuge di V. S e madre di M.G. e M. S. (tutti odierni attori);
- nello stesso giorno, la dott.ssa P. I. , in applicazione dell'art. 23 della legge 1 aprile 1999, N. 91, informava il marito ed i figli della defunta M. G. che quest'ultima era stata riconosciuta come potenziale donatrice di organi e di tessuti a scopo di trapianto e che, ai sensi della stessa legge, essi avrebbero potuto presentare opposizione scritta al prelievo;
- indi, si procedeva alla redazione del verbale di informazione, che veniva sottoscritto dai due figli maggiorenni della defunta;
- nello spazio destinato alle “Note” si specificava a caratteri maiuscoli ed in stampatello “NO CONSENSO AL PRELIEVO DI CUTE”;
- l'equipe medica che dava corso alle operazioni di espianto prelevava dalla salma della defunta anche la cute.
In diritto, sull'an debeatur
A) Che l'azienda ospedaliera sia incorsa, quantomeno, in un “errore” è dato pacifico, poiché la stessa convenuta, nel costituirsi, deduce: “…evidente che l'azienda ospedaliero-universitaria C. conosceva, o per lo meno doveva conoscere, l'opposizione parziale (anche se non legittima) di M.G. e M. S., ma è del pari evidente che l'azienda sanitaria è incorsa in errore proprio per la particolare volontà manifestata dai prossimi congiunti di M. G.…”.
Ciò posto, la difesa della convenuta è incentrata sui profili che, qui di seguito, saranno partitamente esaminati.
B) In primis, si eccepisce che i prossimi congiunti non avrebbero facoltà di opporsi solo parzialmente al prelievo di organi e/o tessuti.
Secondo la prospettazione della convenuta, essi dovrebbero opporsi necessariamente in toto o semplicemente tacere.
Siffatto assunto non è condivisibile, alla luce del dato normativo, sia che si guardi al profilo letterale, sia che si consideri la ratio legis.
Sotto il primo profilo, emerge con assoluta evidenza che il legislatore, nel prevedere la facoltà di opporsi al prelievo, non vieta l'opposizione parziale.
Quindi, sarebbe surrettizio introdurre un divieto che la legge non prevede.
Sotto il secondo profilo, è finanche intuitivo che lo scopo della legge è favorire gli espianti e, quindi, i trapianti a scopo terapeutico, tanto è vero che è previsto un meccanismo di silenzio-assenso.
Allora, non è chi non veda che l'assunto per cui l'opposizione parziale non è consentita cozza con la predetta finalità, poiché in tutti i casi di contrarietà manifestata dai congiunti in relazione all'espianto di questo o di quell'organo/tessuto, per ragioni legate ad una certa sensibilità o ad un certo patrimonio di idee, la comunità dovrebbe rinunciare all'espianto tout court, anche di quegli organi o tessuti non oggetto di opposizione.
V'è, peraltro, un ulteriore profilo.
Il legislatore tutela ampiamente – come si evince sia dall'art. 4 che dall'art. 23 della l. 91/1999 – la volontà di chi era e non è più, tanto è vero che i cittadini sono chiamati a “dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo” (art. 4) ed “è consentito procedere al prelievo di organi e di tessuti … salvo che il soggetto abbia esplicitamente negato il proprio assenso” (art. 23).
Se così è, il divieto di opposizione parziale finirebbe, non solo per ledere l'interesse della comunità, ma anche per comprimere e limitare la volontà degli aspiranti donatori, che si vedrebbero costretti a rinunciare a donare per il sol fatto di non voler donare un dato organo o tessuto.
Per tutte le ragioni esposte, vanno, in definitiva, respinte le eccezioni sin qui esaminate.
C) Osserva, inoltre, la convenuta che, nel caso di specie, i prossimi congiunti della de cuius non avrebbero formalizzato un'opposizione scritta al prelievo o, comunque, avrebbero formalizzato un'opposizione “non legittima, in quanto non manifestata nella forma scritta tipica prevista”.
Anche questa difesa deve essere disattesa, per plurime ragioni.
Innanzitutto, mette conto rilevare che il verbale di informazione, che è stato fornito dall'azienda ospedaliera, è predisposto sia per informare i congiunti della facoltà di opposizione scritta sia per la formulazione dell'opposizione medesima.
Non v'è dubbio, allora, che i familiari dovessero formulare necessariamente in quel modulo la propria opposizione.
E non può essere revocato in dubbio – né, per vero, viene revocato in dubbio – che l'opposizione al prelievo della cute sia stata effettivamente formulata dai prossimi congiunti della defunta.
A questo punto, se l'opposizione parziale è, per tutte le ragioni esposte, meritevole di tutela, v'è da chiedersi in quale spazio del predetto modulo i signori Secchi avrebbero dovuto formulare quella opposizione, se non nelle “Note”.
Guardando al modulo si comprende immediatamente che ciò potevano fare solo nelle “Note”.
D'altra parte, non è spiegato dall'azienda ospedaliera, che ha predisposto e fornito il modulo, quali siano le diverse finalità per le quali sarebbe stato previsto quell'apposito spazio.
Senza tacere che è del tutto ragionevole ritenere che il personale dell'azienda ospedaliera, nel sottoporre il modulo all'attenzione degli interessati, indichi (ed abbia indicato anche nel caso di specie) dove si deve scrivere che cosa.
Non può, infine, sostenersi – come fa l'azienda ospedaliera – che l'opposizione, così come formalizzata, non sarebbe legittima, in mancanza di un'apposita sottoscrizione.
Sul punto basta rilevare che il modulo non prevede una specifica sottoscrizione in calce alle note.
D) Disattese le eccezioni che precedono, rimane da esaminare, sotto il profilo dell'an debeatur, un'ultima questione: v'è un diritto da tutelare? Qual è?
Il tema è posto dall'azienda ospedaliera nella parte in cui rileva che:
- “…nel caso di M. G. (già deceduta al momento dell'evento lesivo costituito dal prelievo di cute), non esistevano più relazioni familiari in corso sulle quali poteva incidere negativamente il prelievo non consentito della cute ed, in parole semplici, non poteva configurarsi l'ipotesi del danno iure proprio causato da lesioni personali gravissime o da morte del prossimo congiunto (come già detto M. G. era già deceduta)…”;
- “… la conferma dell'illegittimità di una tale domanda di risarcimento danno nell'inesistente tutela che la nuova disciplina legale… prevede a favore dei prossimi congiunti…viene eliminata la facoltà di opposizione dei prossimi congiunti (i quali potranno solo fare valere una diversa volontà del morto documentata in forma scritta)”.
L'assunto della convenuta non è meritevole di adesione.
Se non vi fosse in capo ai prossimi congiunti del defunto un diritto meritevole di tutela, ci troveremmo di fronte ad una clamorosa falla del sistema sotto il profilo della tutela risarcitoria.
Infatti, in tutti i casi di inosservanza della volontà del defunto – che, pure, è ampiamente tutelata –, sarebbe precluso l'accesso alla tutela risarcitoria, poiché si direbbe:
- il morto non è più, la lesione è perpetrata dopo la morte, non v'è diritto risarcitorio che appartenga al patrimonio del defunto e possa transitare nel patrimonio degli eredi (quindi, nessuna tutela iure hereditario);
- dal canto suo, il prossimo congiunto non è portatore di interessi propri che siano tutelati dall'ordinamento, per cui non è legittimato a far valere alcunché (nessuna tutela iure proprio).
Ordunque, è lo stesso sistema che ci porta a ritenere che sia configurabile in capo ai prossimi congiunti un'autonoma posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela.
A ben vedere, il prossimo congiunto del defunto – cui l'art. 23 riconosce la facoltà di opporsi all'espianto qualora in vita il soggetto interessato non abbia esplicitamente negato il proprio assenso – non è mero nuncius o testimone della volontà del familiare defunto.
Il comportamento di chi non tiene conto della volontà manifestata dal prossimo congiunto – in quanto procede ad espianto nonostante la formulazione di un'opposizione totale o parziale – è lesivo di un diritto proprio del prossimo congiunto, nel senso che è offensivo della sensibilità del congiunto medesimo e di quel patrimonio di affetto, di intimità e di solidarietà che connota le relazioni familiari.
Se è vero, come è vero, che, alla luce dei recenti arresti delle Sezioni Unite (vd. Cass. Civ., Sez. Un., 11.11.2008, N. 26972), al di fuori dei casi espressamente determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, l'interesse leso nel caso di specie trova tutela nell'art. 2 della Costituzione (per il quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, non solo come singolo, ma anche nell'ambito di quelle formazioni sociali ove si estrinseca la sua personalità) e nell'art. 29 (che riconosce e presidia i diritti della famiglia).
Sul quantum debeatur
Nel caso di specie, va riconosciuto, per quanto si è detto, il risarcimento del danno non patrimoniale dei prossimi congiunti attori, sub specie di danno morale soggettivo.
Questo si identifica, com'è noto, con la sofferenza interiore, il patema d'animo, il turbamento, che originano da un fatto illecito lesivo di interessi costituzionalmente rilevanti.
È assolutamente ragionevole ritenere che gli attori abbiano provato profondo turbamento nell'apprendere che la salma della propria congiunta era stata oggetto di un espianto per il quale era stata formulata una precisa opposizione.
Quanto alla liquidazione, è, altrettanto, noto che il danno morale, non potendo essere provato e, comunque, quantificato nel suo preciso ammontare, deve essere determinato equitativamente dal giudice, avendo riguardo alla gravità del fatto illecito, da cui origina il danno, all'intensità delle sofferenze patite dall'offeso ed a tutti gli elementi peculiari del caso concreto, sì che la somma riconosciuta sia adeguata ad esso e non costituisca un simulacro di risarcimento (si cfr., ex multis, Cass. Civ., III, 2.3.1998, N.2272; Cass. Civ., III, 18.12.1987, N.9430).
Nella specie, tenuto conto di tutti i suddetti elementi, il Tribunale ritiene che costituisca equo e congruo ristoro del danno patito dagli attori la somma di € 10.000,00 cadauno.
Dal momento che tale somma è espressa in valori già attuali, quanto agli interessi va richiamato l'orientamento assunto dalla Suprema Corte, che, con una decisione a Sezioni Unite (v. Cass. Civ. 17.02.1995 n.1712, più di recente, Cass. Civ., III, 27.07.2001, n.10291; Cass. Civ., III, 15.01.2001, n.492; Cass. Civ., III, 1.12.2000, n.15368), ha posto fine ad un contrasto da tempo esistente in ordine alle modalità di calcolo di tali accessori nell'ipotesi di pronuncia risarcitoria da illecito.
Si è statuito, infatti, che in tema di risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, se la liquidazione viene effettuata con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito, espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della decisione definitiva, è dovuto anche il danno da ritardo e, cioè, il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma, che deve essere provato dal creditore.
Tuttavia, la prova può essere data e riconosciuta dal Giudice secondo criteri presuntivi ed equitativi e, quindi, anche mediante l'attribuzione degli interessi ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze oggettive e soggettive inerenti alla prova del pregiudizio subito per il mancato godimento del bene o del suo equivalente in denaro.
Se, quindi, il Giudice adotta, come criterio di risarcimento del danno da ritardato adempimento, quello degli interessi, fissandone il tasso, mentre è escluso che questi ultimi possano essere calcolati alla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, rivalutata definitivamente, è consentito, invece, effettuare il calcolo con riferimento ai singoli momenti (da determinarsi in concreto secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria ovvero ad un indice medio.
Perciò, l'azienda ospedaliera convenuta dovrà corrispondere agli attori gli interessi al tasso legale dall'epoca del fatto (omissis) ad oggi sulla somma sopra determinata, come devalutata alla data del fatto secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo delle famiglie di operai ed impiegati e, quindi, rivalutata anno per anno fino ad oggi secondo il medesimo indice.
Dal momento della sentenza sino all'effettivo soddisfo dovranno essere corrisposti, sulla somma liquidata all'attualità, gli ulteriori interessi al tasso legale.
Sulla copertura assicurativa
L'eccezione di inoperatività della garanzia – così come proposta dalla terza chiamata – è infondata e va respinta, per due ordini di ragioni.
Innanzitutto, il contratto assicurativo che le parti hanno concluso attiene, genericamente, ai “danni involontariamente cagionati a terzi, per morte, per lesioni personali e per danneggiamenti a cose ed animali”.
Il caso di specie è sussumibile nell'ipotesi dei danni cagionati per danneggiamento a cosa, poiché il cadavere (civilisticamente parlando) è una res, sia pure extracommercium (cfr. Cass. Civ. I, 9.5.1969, N. 1584).
Sotto altro profilo, rileva che la fattispecie concreta che ci occupa non è contemplata nel dettagliato ed analitico elenco delle “esclusioni”, di cui all'art. 3 della polizza.
Dunque, la compagnia terza chiamata deve tenere indenne la convenuta da quanto è condannata a pagare per effetto di questa sentenza.
Le spese di lite seguono la soccombenza della convenuta e della terza chiamata, come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
a) ogni altra istanza ed eccezione disattesa, accoglie, per quanto di ragione, le domande attoree e, per l'effetto, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, condanna l'azienda ospedaliera convenuta al pagamento in favore degli attori della somma di € 10.000,00 cadauno, oltre interessi al tasso legale dalla data del fatto (omissis) ad oggi sulla predetta somma, come devalutata al momento del fatto secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo delle famiglie di operai ed impiegati e, quindi, rivalutata anno per anno fino ad oggi secondo il medesimo indice; oltre ai successivi interessi al tasso legale sull'importo totale così risultante sino al saldo;
b) dichiara che la compagnia assicuratrice terza chiamata deve tenere indenne la convenuta da quanto è condannata a pagare per effetto di questa sentenza;
c) condanna la convenuta al rimborso in favore degli attori delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 513,40 per spese ed euro 4.000,00 per compenso, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge;
d) condanna la terza chiamata al rimborso in favore della convenuta delle spese di lite, che liquida in complessivi € 4.000,00 per compenso, oltre spese generali, IVA e CPA, come per legge.
24-04-2015 14:44
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