Disdetta alla seconda scadenza contrattuale: non serve la forma scritta a pena di nullità.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 febbraio – 9 giugno 2016, n. 11808
Presidente Vivaldi – Relatore Frasca
Svolgimento del processo
p.1. S.A. (beneficando del patrocinio a spese dello Stato) ha proposto ricorso per cassazione contro B.R. avverso la sentenza del 2 ottobre 2012, con cui la Corte d'Appello di Brescia ha rigettato l'appello da lui proposto contro la sentenza del Tribunale di Bergamo, Sezione Distaccata di Grumello del Monte del maggio 2011, la quale, provvedendo sull'intimazione di sfratto per finita locazione introdotta nell'ottobre del 2010 dal B. contro il ricorrente aveva dichiarato cessata la locazione, confermando l'ordinanza di rilascio emessa il 26 novembre del 2010.
p.2. Al ricorso non v'è stata resistenza dell'intimato.
Motivi della decisione
p.1. Con l'unico complesso motivo di ricorso si deduce "violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione o comunque falsa applicazione degli artt. 2 ss. della l. n. 431/1998; omessa, insufficiente motivazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. circa l'inapplicabilità al caso de quo del principio di diritto di cui alla sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 8412 del 2000".
Il motivo si articola in tre censure che criticano le tre rationes decidendi gradatamente enunciate dalla sentenza impugnata nel senso che:
a) pur nel regime della l. n. 431 del 1998, secondo cui la locazione è contratto da concludersi in forma scritta ad substantiam (art. 1, comma 4, della legge, per la verità non espressamente evocato dalla decisione impugnata, ma chiaramente assunto a supporto dell'argomentazione), sarebbe rimasto fermo il principio per cui la prescrizione della forma della disdetta con lettera raccomandata ai fini del diniego della tacita rinnovazione della locazione, non esigerebbe che, qualora essa venga inviata da un procuratore, l'atto di conferimento della procura debba risultare per iscritto, il che, essendo stata nella specie inviata una disdetta tramite regolare raccomandata da un mandatario del locatore, escludeva la fondatezza dell'eccezione, proposta in primo grado dal qui ricorrente e ribadita con l'appello, nel senso che risultava irrilevante che colui che per conto del locatore aveva esercitato il potere di disdetta non avesse ricevuto il conferimento della procura per iscritto;
b) quand' anche si fosse ritenuta inidonea la disdetta per la mancanza della forma scritta del conferimento della procura e, dunque, colui che l'aveva inviata si fosse dovuto considerare un falsus procurator, il locatore, introducendo il procedimento per convalida ed avvalendosi della disdetta l'avrebbe ratificata e la ratifica avrebbe svolto effetti retroattivi, ai sensi del secondo comma dell'art. 1399 c.c.;
c) la retroattività della ratifica non poteva escludersi invocando, come aveva fatto il qui ricorrente, il principio di diritto affermato da Cass. n. 8412 del 2000, dato che esso doveva reputarsi valido solo per la particolare fattispecie dell'impugnativa del licenziamento nel termine decadenziale ex lege n. 604 del 1966.
p.1.1. La prima censura è prospettata adducendosi che la sentenza impugnata non avrebbe considerato il rilievo, nel vigore della l. n. 431 del 1998, della previsione della forma scritta ad substantiam della locazione, a differenza di quanto avveniva nel vigore della l. n. 392 del 1978. La previsione di detto requisito formale comporterebbe che anche un mandato per la stipulazione di un contratto locativo dovrebbe sottostare allo stesso requisito formale ed inoltre - alla stregua del principio secondo cui nei negozi formali le manifestazioni di recesso esigerebbero identico rigore formale - che lo stesso requisito debba sussistere per la disdetta. Ne deriverebbe ulteriormente che, ove essa sia compiuta da un rappresentante, anche il negozio di conferimento del relativo potere sarebbe soggetto al requisito di forma. A sostegno della prospettazione vengono evocati i principi di cui a Cass. n. 267 del 1976, n. 8887 del 1990 e n. 14730 del 2000.
p.2. La prima censura è infondata e, determinando il suo consolidamento rispetto alla sentenza impugnata l'irrilevanza delle altre due gradatamente enunciate, di esse resta inutile l'esame.
p.2.1. Rileva il Collegio che nella specie né nel ricorso né nella sentenza impugnata risulta indicato il regime della l. n. 431 del 1998 al quale la locazione oggetto di lite era riconducibile.
Tuttavia, nel ricorso il contratto è indicato, nelle produzioni in calce ad esso, come stipulato il 23 settembre 2002 ed analoga indicazione si rinviene nella sentenza. La disdetta è indicata nel ricorso, sempre nella stesa sede, come effettuata il 5 dicembre del 2009.
L'uno e l'altro atto sono indicati come prodotti, sicché si può procedere al loro esame.
p.2.2. Dalla lettura del contratto emerge che esso venne stipulato secondo la tipologia di cui all'art. 2, collima 1, della l. n. 431 del 1998, giacché se ne previde la durata nella clausola n. 1 per quattro anni dal 1 ottobre 2002 al 30 settembre 2006 e, quindi, nella clausola n. 2 si stabilì - in mancanza di disdetta sei mesi prima della scadenza contrattale, da inviarsi con lettere raccomandata con a.r. - che il contratto si sarebbe rinnovato per altri quattro anni, ma, nel contempo si previde che alla prima scadenza al locatore era riservata la facoltà di non rinnovare motivatamente ai sensi dell'art. 1, comma 3 della l. n. 431 del 1998.
Questa disciplina collocava chiaramente il contratto nella tipologia di cui all'art. 2, comma 1, citato ed avendo il locatore agito con una intimazione di sfratto sulla base di una disdetta inviata tramite il suo procuratore per la scadenza del secondo quadriennio di durata (cioè per il 30 settembre 2010, come emerge dalla disdetta prodotta come doc. n. 6), risulta palese che il regime formale della disdetta, evocando la forma della raccomandata, era quello indicato dal secondo inciso del comma 1 dello stesso art. 2.
p.2.3. Ora, tale norma, il cui contenuto la clausola n. 2 del contratto ripete quanto a quella che la norma stessa chiama "rinuncia al rinnovo" (che altro non è se non una manifestazione di voler provocare la cessazione della locazione immotivatamente per il fatto del verificasi della scadenza), prevede certamente un doppio requisito formale, l'uno inerente il modo di manifestazione della volontà di rinuncia-disdetta immotivata che è la lettera, l'altro inerente la trasmissione del negozio, che è la forma della raccomandazione.
p.2.4. Con riferimento al primo aspetto la prescrizione della lettera, evocando un atto scritto, sottende che il legislatore prevede il compimento del negozio di rinuncia-disdetta in forma scritta.
Senonché, tale previsione non è assistita da alcuna prescrizione che indichi expressis verbis od anche indirettamente che tale forma debba osservarsi a pena di nullità o invalidità del negozio di rinuncia-disdetta.
Ne consegue che il negozio non ricade in alcun modo sotto il regime dell'art. 1350 n. 13 c.c., il quale, allorquando esige che il requisito formale scritto sia indicato "specialmente" dalla legge allude ad una indicazione espressa dell'obbligatorietà del requisito formale o comunque ad una indicazione indiretta ma chiaramente rivelatrice della volontà imperativa della legge.
Nel secondo inciso del citato art. 2, comma 1, né l'una né l'altra ipotesi risulta e la circostanza risulta indiscutibile se si riflette che il legislatore proprio a proposito della forma della stipulazione della locazione, nell'art. 1, comma 4, ha prescritto "specialmente" il requisito formale, prevedendolo a pena di validità.
Ne segue che il negozio di rinuncia-disdetta di cui al secondo inciso del comma 1 dell'art. 2 non deve essere compiuto a pena di nullità con una lettera e, quindi, in forma scritta, e nemmeno la sua forma di trasmissione deve essere necessariamente quella della raccomandazione.
Ciò che è necessario è che il negozio di rinuncia disdetta venga ricevuto dal destinatario sei mesi prima della scadenza.
Pertanto, bene il locatore o il conduttore potrebbero compiere l'atto in forma orale prima dei sei mesi e il suo compimento potrebbe essere oggetto di una confessione stragiudiziale o giudiziale della controparte.
p.2.5. Raggiunta tale conclusione, si deve rilevare che si presenta basato su un erroneo presupposto l'argomentare della censura svolta dal ricorrente, là dove suppone che il negozio di conferimento della procura a colui che inviò la disdetta per conto del locatore avrebbe dovuto essere fatto per iscritto in quanto l'ordinamento prevede nell'art. 1, comma 4, della l. n. 431 del 1998 la forma scritta ad substantiam del contratto di locazione (vedi ora Cass. sez. un. nn. 18213 e 18214 del 2015), per farne derivare conseguentemente - secondo un ipotetico principio per cui i negozi formali, cioè quelli per la cui validità è prescritta la forma scritta ad substantiam, esigerebbero che gli atti di recesso siano anch'essi da compiersi con la stessa forma - che la previsione di quella forma implicherebbe:quella del conferimento del potere per compierli ad un rappresentante.
In effetti, senza che assuma rilievo il se effettivamente la prescrizione di una forma scritta a pena di nullità per un negozio esiga che il conferimento del potere di rappresentanza ad un terzo per compierlo per conto della parte, oggetto di manifestazione di contemplatio nell'atto e, quindi, in esso dichiarato, a sua volta debba avvenire per iscritto, si deve osservare (il che esime dal discutere la questione e dal farsi carico della giurisprudenza richiamata dal ricorrente) che nella specie è la legge a stabilire un requisito formale per il negozio di rinuncia-disdetta ed a non prevederlo invece a pena di nullità, essendo ammessi equipollenti.
Ne deriva che la presenza della previsione di legge di un requisito formale che non è prescritto a pena di nullità impedirebbe in ogni caso di predicare che l'ipotetica esattezza del principio per cui nei negozi formali le manifestazioni negoziali dirette a provocarne la cessazione dovrebbero rivestire identico rigore formale avrebbe come ulteriore conseguenza che dette manifestazioni negoziali, se compiute da un rappresentante, esigerebbero alla loro volta il conferimento del potere con eguale rigore formale.
p.3. Il principio di diritto che esclude la fondatezza della censura in esame è, conclusivamente, il seguente: "L'art. 2, comma 1, secondo inciso, della I. n. 431 del 1998, nel prevedere che la manifestazione della rinuncia al rinnovo (scilicet disdetta immotivata) alla seconda scadenza dei contratti di cui alla norma debba compiersi con lettera raccomandata da inviarsi all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza del secondo periodo di durata contrattuale, non prescrive a pena di nullità né il mezzo di compimento della manifestazione negoziale (la lettera e, dunque, la forma scritta) né quello della trasmissione (raccomandata). Ne segue che l'uno e l'altro requisito ammettono equipollenti, purché idonei ad evidenziare la manifestazione all'altra parte della volontà negoziale sei mesi prima della scadenza. Da tanto discende che, non essendo previsto a pena di nullità il requisito della forma scritta per il negozio di rinuncia-disdetta immotivata, non è sostenibile per ciò solo che l'invio di una lettera tramite raccomandata nell'osservanza della previsione normativa da parte di soggetto che si qualifichi rappresentante della parte del contratto sia idoneo solo se costui abbia ricevuto a sua volta per iscritto il conferimento del potere di rappresentanza".
Il rigetto della prima censura svolta con il motivo determina, come s'è detto, la superfluità dell'esame delle altre due censure.
p.4. Il ricorso è, conclusivamente rigettato.
Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.
13-06-2016 23:29
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