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Sentenza

In Cassazione chi denunzia la violazione di una clausola di contratto collettivo...
In Cassazione chi denunzia la violazione di una clausola di contratto collettivo nazionale deve allegare il contratto anche se è già nel fascicolo del primo grado di giudizio.
Cassazione civile, sez. lav., 13/06/2016, (ud. 17/03/2016, dep.13/06/2016),  n. 12102 

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                           SEZIONE LAVORO                            
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. VENUTI    Pietro                              -  Presidente   -
Dott. D'ANTONIO Enrica                              -  Consigliere  -
Dott. MANNA     Antonio                        -  rel. Consigliere  -
Dott. BERRINO   Umberto                             -  Consigliere  -
Dott. LEO       Giuseppe                            -  Consigliere  -
ha pronunciato la seguente:                                          
                     SENTENZA                                        
sul ricorso 20601-2013 proposto da: 
                     B.S.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente 
domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 14, presso lo studio dell'avvocato 
NICOLA  MANCUSO,  rappresentato e  difeso  dall'avvocato  ANTONINO 
SUGAMELE, giusta delega in atti; 
                                                       - ricorrente - 
                               contro 
K.S.M. S.P.A., C.F. (OMISSIS); 
                                                         - intimata - 
Nonchè da: 
K.S.M.   S.P.A.   C.F.  (OMISSIS),  in   persona   del   legale 
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO 
LUIGI   ANTONELLI,  10,  presso  lo  studio  dell'avvocato   ANDREA 
COSTANZO,   rappresentata   e  difesa  dall'avvocato   MASSIMILIANO 
MARINELLI, giusta delega in atti; 
                        - controricorrente e ricorrente incidentale - 
                               contro 
                     B.S.G. (OMISSIS); 
                                                         - intimato - 
avverso  la  sentenza n. 441/2013 della CORTE D'APPELLO  di  PALERMO, 
depositata il 21/03/2013 R.G.N. 2151/2011; 
udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
17/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA; 
udito l'Avvocato SUGAMELE ANTONINO; 
udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
CELENTANO  Carmelo,  che ha concluso per il  rigetto  di  entrambi  i 
ricorsi. 
                 


Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 209/11 il Tribunale di Trapani condannava la KSM S.p.A. a pagare all'ex dipendente B.S.G., guardia giurata inquadrata nel 6 livello CCNL per dipendenti di istituti di vigilanza privata, la somma di Euro 1.862,00 a titolo di risarcimento danni per violazione delle disposizioni sullo spostamento del riposo settimanale, nonchè quella di Euro 321,60 quale indennità ex art. 31 cit. CCNL. Rigettava, invece, l'impugnativa del licenziamento intimato al lavoratore il 28.6.07, nonchè la domanda di superiore inquadramento nel 4 livello super e quella di declaratoria di illegittimità delle disposizioni aziendali in base alle quali era stata assegnato presso enti diversi dall'aeroporto di (OMISSIS), dove lavorava.

Con sentenza depositata il 21.3.13 la Corte d'appello di Palermo rigettava l'appello principale di B.S.G. e quello incidentale della KSM S.p.A. Per la cassazione di tale sentenza ricorre B.S. G. affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

La KSM S.p.A. resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale basato su due motivi.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. - Preliminarmente si osservi che l'eccezione di nullità della procura ad litem apposta in calce al controricorso, sollevata dal ricorrente principale nella memoria ex art. 378 c.p.c., va comunque superata per ragioni di economia processuale, atteso che entrambi i ricorsi sono da rigettarsi con compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità (v. meglio infra), con conseguente sostanziale irrilevanza dell'eccezione in parola, che è di nullità relativa ex art. 157 c.p.c., comma 2 (cfr. Cass. S.U. n. 25036/13).

Invero, come questa S.C. ha già avuto modo di statuire (cfr. Cass. n. 15106/13; cfr. altresì, Cass. n. 6826/2010; Cass. n. 2723/2010;

Cass. n. 18410/2009), il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al processo in condizioni di parità.

Ne consegue che, accertata - alla stregua delle considerazioni che seguono l'infondatezza di entrambi i ricorsi con compensazione integrale delle spese del giudizio di legittimità, sarebbe comunque vana ogni ulteriore disquisizione a riguardo o l'eventuale concessione d'un termine per sanare la nullità in discorso, che si tradurrebbe in un inutile allungamento dei tempi di definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio in termini di garanzia dell'effettività dei diritti processuali delle parti.

2.1. - Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia violazione dell'art. 31 CCNL per dipendenti di istituti di vigilanza privata nella parte in cui la sentenza impugnata gli ha negato il diritto al superiore inquadramento nel 4 livello super, nonostante che la citata clausola contrattuale lo riconosca alle guardie particolari giurate come lui addette al piantonamento fisso e che espletino in via continuativa e prevalente anche - e non esclusivamente, come ritenuto dai giudici di merito - compiti di sicurezza inerenti a sistemi computerizzati e gestiscano strumenti di controllo tecnologicamente avanzati.

Il motivo è improcedibile perchè denuncia una violazione di clausola di contratto collettivo nazionale senza produrne il testo integrale.

Invero, per costante giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass. n. 4350/15; Cass. n. 2143/2011; Cass. 15.10.10 n. 21358; Cass. S.U. 23.9.10 n. 20075; Cass. 13.5.10 n. 11614), nel giudizio di cassazione l'onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi - imposto, a pena di improcedibilità del ricorso, dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 - è soddisfatto solo con la produzione del testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l'applicazione del canone ermeneutico previsto dall'art. 1363 c.c..

Nè a tal fine basta la mera allegazione dell'intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tali atti siano stati eventualmente depositati, essendo altresì necessario che in ricorso se ne indichi la precisa collocazione nell'incarto processuale (v., ad es., Cass. n. 27228/14), il che nel caso in esame non è avvenuto.

2.2. - Il secondo motivo prospetta violazione dell'art. 1460 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7 per avere la gravata pronuncia ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore per essersi questi rifiutato di recarsi sul posto di lavoro, vista la prospettiva di essere inserito nell'organico aziendale con una qualifica inferiore rispetto alle mansioni effettivamente svolte: obietta il ricorrente principale che il proprio rifiuto doveva qualificarsi come legittima eccezione di inadempimento, adeguata e proporzionata visto l'inadempimento di parte datoriale che, malgrado le continue e pressanti sollecitazioni del ricorrente, non gli aveva riconosciuto la retribuzione e l'inquadramento dovutigli.

Il motivo è infondato, dovendosi dare continuità alla costante giurisprudenza di questa S.C. secondo cui il rifiuto, da parte del lavoratore subordinato, di essere addetto allo svolgimento di mansioni non spettanti può essere legittimo - e, quindi, non giustificare il licenziamento in base al principio di autotutela nel contratto a prestazioni corrispettive enunciato dall'art. 1460 c.c. -

purchè risulti proporzionato all'illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme a buona fede (v., ex aliis, Cass. n. 6663/99, Cass. n. 2948/01, Cass. n. 21479/05, Cass. n. 13365/06, Cass. n. 10086/07, Cass. n. 3304/08, Cass. n. 17713/13).

In particolare (v. Cass. n. 12696/12), il lavoratore adibito a mansioni non rispondenti alla qualifica può chiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non può rifiutarsi aprioristicamente, senza avallo giudiziario, di eseguire la prestazione richiestagli. Il dipendente è tenuto ad osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartitegli ex artt. 2086 e 2104 c.c. e può invocare l'art. 1460 c.c. solo in caso di un altrui inadempimento totale o talmente grave da incidere in maniera irrimediabile sulle sue esigenze vitali.

Pertanto, non è legittimo - ed è sanzionabile con il licenziamento per giusta causa - il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa dovuta, a causa di una ritenuta dequalificazione, ove il datore di lavoro adempia gli altri fondamentali obblighi derivanti dal contratto (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale ed assicurativa etc.).

In altre parole, il lavoratore può rifiutare lo svolgimento di singoli compiti non conformi alla propria qualifica e che, ciò nonostante, gli siano stati richiesti, ma non può solo per questo motivo astenersi dall'espletare qualsiasi prestazione (cfr. Cass. n. 29832/08; Cass. n. 25313/07).

Nel caso in esame, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto comunque sproporzionata l'eccezione di inadempimento sollevata dall'odierno ricorrente principale, che a fronte del regolare pagamento delle retribuzioni e della copertura previdenziale ha ritenuto che bastasse esigere un superiore inquadramento contrattuale e una determinata assegnazione di sede (peraltro neppure spettantegli) per rifiutarsi di svolgere qualsivoglia prestazione lavorativa.

2.3. - Con il terzo motivo il ricorrente principale si duole di omessa pronuncia sullo specifico motivo d'appello in cui aveva dedotto una violazione dell'art. 7 Stat. per mancata affissione del codice disciplinare.

Il motivo va disatteso, sia pure integrandosi come segue la motivazione della sentenza impugnata, che effettivamente non si è pronunciata sullo specifico motivo d'appello inerente alla mancata affissione del codice disciplinare, della cui formulazione pur dà espressamente atto.

In proposito ritiene questa Corte di aderire all'orientamento (cfr.

Cass. n. 28663/13) secondo cui la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un'esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame.

In siffatta evenienza la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall'ordinamento, nonchè dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111 Cost., comma 2, ha il potere, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione, anche a fronte di un error in procedendo (tale essendo la motivazione omessa), mediante l'enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto (altri precedenti propendono invece, sempre che non siano necessari nuovi accertamenti in punto di fatto, per la cassazione senza rinvio con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2:

cfr. Cass. n. 21968/15; Cass. n. 5729/12; Cass. n. 15112/13; Cass. n. 2313/10).

Ciò premesso in rito, va ricordato che per costante giurisprudenza di questa S.C. (cfr., per tutte, Cass. n. 20270/09), la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non è dovuta ove il licenziamento sia dovuto a violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro.

Nel caso di specie tali doveri fondamentali trovano la propria fonte non già in particolari disposizioni aziendali, ma nelle disposizioni codicistiche sul carattere sinallagmatico del rapporto di lavoro e sull'inopponibilità (ex art. 1460 c.c.) dell'eccezione di inadempimento da parte del lavoratore nei sensi sopra già chiariti in relazione al secondo motivo del ricorso principale.

2.4. - Il quarto motivo del ricorso di B.S.G. denuncia violazione del D.M. n. 85 del 1999, art. 5 (allegato B) in relazione all'art. 2103 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto legittimo occuparlo in contesti diversi dai locali aeroportuali, sebbene la citata norma regolamentare vieti alle imprese di sicurezza di adibire il proprio personale di sicurezza a compiti diversi da quelli inerenti alla qualifica rivestita o per cui hanno ricevuto una specifica formazione professionale documentata:

conclude il ricorso che il diritto del lavoratore al cit. 4 livello super comporta l'impossibilità per il datore di lavoro di adibirlo a mansioni - inferiori - diverse da quelle di controllo della sicurezza aeroportuale e che non richiedano l'utilizzo della professionalità da lui raggiunta.

Il motivo è infondato.

Come correttamente affermato dalla gravata pronuncia, il D.M. n. 85 del 1999, art. 5 (allegato B), nella parte in cui statuisce che "Le imprese di sicurezza non devono adibire il proprio personale di sicurezza a compiti diversi da quelli inerenti alla qualità giuridica rivestita o per cui hanno ricevuto una specifica formazione professionale documentata", lungi dallo stabilire una sorta di principio di inamovibilità del dipendente e/o di impossibilità di dequalificarlo (cui già provvede l'art. 2103 c.c., nei limiti in esso previsti), mira soltanto a fissare i requisiti, le condizioni e le modalità per l'affidamento in concessione dei servizi aeroportuali, anche mediante uno standard di sicurezza parametrato alla professionalità dei lavoratori che vi siano addetti.

E nel caso in discorso l'odierno ricorrente è stato adibito, fuori dell'aeroporto, pur sempre a compiti di vigilanza propri della sua qualifica.

3.1. - Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 1218, 1223 e 2697 c.c. per avere la gravata pronuncia riconosciuto in favore del dipendente il risarcimento del danno per lavoro prestato oltre il settimo giorno consecutivo senza godere del riposo compensativo, nonostante che a tal fine non basti l'inadempimento - da parte del datore di lavoro - d'un obbligo legalmente o contrattualmente previsto, essendo invece necessario che il dipendenti alleghi e provi il concreto verificarsi del danno medesimo.

Il motivo è inammissibile perchè nuovo, non essendo stato fatto valere in appello; in quella sede la KSM S.p.A. si è limitata a negare il proprio inadempimento, senza nulla addurre quanto ad eventuale mancanza di allegazione e prova del danno risarcito.

3.2. - Con il secondo motivo del ricorso incidentale si lamenta violazione - in rapporto all'art. 1362 c.c. - dell'art. 31 CCNL istituti di vigilanza privata, per avere i giudici di merito riconosciuto al lavoratore l'indennità ivi prevista sol per aver utilizzato macchinari da cui potrebbe in astratto derivare l'esposizione a radiazioni, mentre la clausola contrattuale richiede un'esposizione ad un rischio radiogeno concreto, rischio inesistente per il semplice fatto di controllare mediante video gli strumenti di sicurezza posti negli aeroporti.

Il motivo è improcedibile perchè, deducendo in sostanza una violazione di clausola contrattuale, avrebbe dovuto accompagnarsi alla produzione integrale del CCNL e alla specifica indicazione della sua collocazione in atti, come sopra già evidenziato relativamente al primo motivo del ricorso principale.

4.1. - In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati, il che consiglia di compensare le spese del giudizio di legittimità.
PQM
P.Q.M.

LA CORTE rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2016
Avv. Antonino Sugamele

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