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Sentenza

Asfissia intrapartum, Asp condannata a pagare una rendita vitalizia....
Asfissia intrapartum, Asp condannata a pagare una rendita vitalizia.
Tribunale di Palermo – Sezione III civile - Sentenza 5 luglio 2017 n. 3612 
Il Tribunale di Palermo, sentenza 5 luglio 2017 n. 3612, rilevata la responsabilità dell'Azienda sanitaria provinciale per i danni permanenti del 100% riportati da un minore alla nascita, a causa di asfissia intrapartum, l'ha condannata ad una rendita vitalizia di 1.344 euro al mese, oltre al risarcimento una tantum di 1 milione 900mila euro, e 300mila euro, iure proprio, a ciascun genitore.

Una donna di 34 anni in buona salute, in vista del secondo parto cesareo, era stata ricoverata due giorni prima nella struttura sanitaria. La cartella clinica, definita «lacunosa», non riportava i protocolli normalmente seguiti in questi casi, consistenti in tre tracciati e tre visite di controllo nel periodo compreso tra il ricovero ed il parto. Ma soltanto una diagnosi di asfissia, senza alcuna descrizione del liquido amniotico, della placenta, del funicolo, delle membrane ecc..

Per il giudice, che sul punto richiama le consulenze tecniche, «un corretto e periodico monitoraggio avrebbe evitato o quantomeno consentito di sospettare l'insorgenza dell'insulto ipossico/ischemico perinatale, con tempestiva esecuzione dell'intervento di taglio cesareo».
Ragion per cui «sussiste il nesso di causa tra la condotta dei sanitari e le condizioni del minore per negligente omissione dei dovuti controlli clinico-strumentali». Del resto, è pacifico che il taglio cesareo avvenne «in emergenza ed il bambino nacque in assenza di battito». Infine, secondo la Ctu, le condizioni del bambino «appaiono coerenti con la diagnosi di esiti di sofferenza anosso-ischemica perinatale con epilessia generalizzata sintomatica, paralisi infantile di tipo tetraplegico e ritardo neuro psicomotorio». Mentre nulla fa pensare ad anomalie della madre, condizioni genetiche particolari o altre cause naturali.

Tantomeno, continua la sentenza, la tenuta «difettosa» della cartella clinica «può pregiudicare sul piano probatorio il paziente», che anzi può ricorrere «a presunzioni» ove la prova diretta sia impossibile proprio a causa del comportamento della controparte. In definitiva, la convenuta non ha provato di aver adempiuto alla propria prestazione «con corretta vigilanza» e «monitoraggio sulla paziente» e «con tempestiva esecuzione del taglio cesareo in condizioni di insorta insofferenza».

Così, una volta accertati danni del 100%, applicando le tabelle milanesi del 2014, il Tribunale ha stabilito un risarcimento di 1,5mln di euro, «con applicazione della massima individualizzazione, in considerazione degli eccezionali esiti sulla vita di relazione e non solo», a cui vanno aggiunti altri 400mila euro a titolo di interessi. Quanto, invece, al «danno patrimoniale futuro da perdita totale della capacità lavorativa», tenuto conto dell'evidente assenza di reddito del danneggiato, osserva il Tribunale, «è ben utilizzabile il criterio previsto dall'art. 2057 c.c. di costituzione di una rendita vitalizia, a decorrere dal 18° anno di età del minore», per una valore pari al triplo della pensione sociale, e cioè euro 1344 mensili, aggiornato annualmente con l'indice FOI. A ciascuno dei genitori, poi, tenuto conto «dell'impatto sul modo di essere del nucleo familiare e di svolgimento della vita di relazione», va un risarcimento di 300mila euro, applicando «la massima quota di individualizzazione del danno», ritenendo la sofferenza «quantomeno pari, sotto tale parziale profilo, a quella dello stesso minore». Bocciata invece la domanda di risarcibilità delle spese mediche presenti e future, in quanto generica e non documentata, per quanto, chiosa la sentenza, facilmente allegabili essendo ormai «stabilizzate», o comunque «preventivabili».

Infine, l'azienda sanitaria è stata condannata a pagare le spese di lite sostenute anche dalle due assicurazioni chiamate in giudizio, perché la domanda di indennizzo verso la prima è avvenuta fuori termine, mentre la seconda, adita nei termini, ha eccepito la operatività della polizza «a secondo rischio», e poiché il massimale della prima sarebbe stato tale da coprire l'intero importo è stata respinta anche questa seconda domanda.
Avv. Antonino Sugamele

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