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Sentenza

Contratto preliminare e prelazione urbana.-...
Contratto preliminare e prelazione urbana.-
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 maggio – 26 ottobre 2017, n. 25415
Presidente Chiarini – Relatore Sestini

Fatti di causa

I coniugi Ma.Ca. e M.S. , promissari acquirenti di un locale di proprietà di D.R. in forza di contratto preliminare del 25.7.1997, convennero in giudizio la predetta D. e S.S.L. per sentir dichiarare la decadenza del secondo dal diritto di prelazione ex art. 38 l. n. 392/1978 e per ottenere l'esecuzione specifica dell'obbligo della D. di procedere all'alienazione del bene (ex art. 2932 cod. civ.).
Lo S. chiese il rigetto della domanda di esecuzione specifica del preliminare e, per il caso di accoglimento della stessa, propose domanda riconvenzionale di riscatto dell'immobile ex art. 39 l. n. 392/1978; chiese, inoltre, la condanna della D. a trasferirgli l'immobile, offrendo il prezzo già pattuito col preliminare intercorso fra la proprietaria e i coniugi Ma. -M. .
La D. si costituì eccependo la nullità del contratto preliminare in quanto concluso in frode alla legge.
Il Tribunale di Catania, Sez. Dist. di Acireale, rigettò l'eccezione di nullità del contratto preliminare, dichiarò lo S. decaduto dal diritto di prelazione e accolse la domanda di esecuzione in forma specifica proposta dagli attori.
La Corte di Appello di Catania ha riformato la sentenza, trasferendo l'immobile allo S. e condizionando il trasferimento al pagamento del prezzo in favore della D. , da effettuarsi entro il termine di tre mesi dalla pubblicazione della sentenza; ha rigettato ogni altra domanda, nonché gli appelli incidentali proposti dalla D. (che aveva insistito nell'eccezione di nullità del preliminare) e dai coniugi Ma. -M. (che si erano doluti del mancato accoglimento della domanda di risarcimento danni proposta nei confronti della venditrice).
Hanno proposto ricorso per cassazione la Ma. e il M. , affidandosi a cinque articolati motivi; hanno resistito sia la D. che lo S. , con distinti controricorsi; hanno depositato memoria i ricorrenti e la D. .

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo ("violazione degli artt. 38 l. 392/78 e degli artt. 36, 99, 167 e 269 c.p.c. in combinato disposto"), i ricorrenti rilevano che la "Corte territoriale ha finito per accogliere la domanda di trasferimento coattivo dell'immobile in questione, proposta con formale domanda riconvenzionale dal convenuto S. nei confronti dell'altra convenuta D.R. , semplicemente notificata alla stessa e riproposta con l'appello incidentale", evidenziando come tale domanda riconvenzionale fosse "palesemente inammissibile, perché proposta al di fuori dei casi di cui all'art. 36 c.p.c. ed in particolare nei confronti di un'altra convenuta e non degli attori"; assumono infatti che, "qualora un convenuto intenda proporre una domanda nei confronti di un altro convenuto, per un titolo diretto, seppur riferito a quello dedotto dall'attore, non può svolgere una domanda riconvenzionale nei confronti dello stesso, essendo limitata tale facoltà del convenuto soltanto nei confronti dell'attore, ma deve procedere ad una formale vocatio in jus o autonomamente o sotto forma di chiamata di terzo, unica possibilità di allargare il contraddittorio a tale nuova domanda"; tanto premesso, rilevano che lo S. si era "limitato a notificare la comparsa di risposta all'altra convenuta D.R. , senza le formalità di cui all'art. 269 cpc (...) previste a pena di decadenza della possibilità di proporre domande nei confronti di un terzo in un giudizio già pendente" e che a nulla rilevava la circostanza che tale terzo fosse già in giudizio in quanto convenuto dall'attore; escludono, inoltre, che ricorresse un'ipotesi di connessione con la domanda con cui gli attori avevano chiesto la dichiarazione di decadenza dello S. dall'esercizio della prelazione; concludono pertanto che la Corte non avrebbe potuto esaminare la domanda dello S. volta ad ottenere l'intestazione coattiva dell'immobile della D. .
1.1. La censura è infondata alla luce dei consolidati orientamenti di legittimità che consentono al convenuto di proporre, con la comparsa di costituzione in giudizio, una domanda nei confronti di altro convenuto (c.d. domanda trasversale).
Tale indirizzo, affermato già da Cass. n. 9/1969 e da Cass. n. 894/1971, è stato ribadito da Cass. n. 2848/1980 e da Cass. n. 577/1984 (che hanno sottolineato come lo stesso costituisca espressione dei "principi di economia dei giudizi e di concentrazione processuale") e, più recentemente, da Cass. 12558/1999 e da Cass. n. 6846/2017, che hanno precisato che tale domanda "va qualificata come domanda riconvenzionale e può essere proposta negli stessi limiti di quest'ultima".
Atteso che tali limiti risultano rispettati nel caso di specie, deve ritenersi che la domanda dello S. sia stata ritualmente proposta a mezzo della comparsa notificata alla D. nel febbraio 2006.
Né può ritenersi che la domanda dello S. dovesse essere preceduta dalla chiamata in causa della D. (ex art. 269 cod. proc. civ.), dal momento quest'ultima era già presente in giudizio per effetto della citazione compiuta dai coniugi Ma. -M. .
Va escluso, da ultimo, che i ricorrenti (pur interessati a far dichiarare l'inammissibilità della domanda trasversale in quanto esitata in una pronuncia che li pregiudica) siano legittimati a far valere una "violazione del principio del contraddittorio" (dedotta a pag. 14 del ricorso, ma non meglio precisata) che, in ogni caso, avrebbe riguardato la sola D. .
2. Tanto premesso, debbono esaminarsi congiuntamente i motivi secondo, terzo e quarto, tutti attinenti -sotto vari profili- all'esercizio della prelazione ex art. 38 l. n. 392/78.
2.1. Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 38 l. n. 392/78, degli artt. 2730 e 2733 cod. civ. e degli artt. 116, 228 e 229 cod. proc. civ., nonché l'omesso esame di un fatto decisivo "trattato in maniera palesemente contraddittoria dalla Corte territoriale".
Il motivo investe la denuntiatio e censura la Corte per avere affermato che la stessa era invalida perché non proveniente dalla proprietaria: premesso che lo S. non poteva avere appreso della volontà della D. di vendere l'immobile che dalla diretta interessata, i ricorrenti censurano la Corte per non aver considerato che era stato lo stesso S. a comunicare di volere far valere la prelazione, senza tuttavia far seguire atti concreti per il suo esercizio nei termini di decadenza previsti dall'art. 38 l. n. 392/78; aggiungono che la denuntiatio non richiedeva la notifica del preliminare e neppure l'adozione della forma scritta ed evidenziano che la Corte si era sottratta al "dovere interpretativo (...) di verificare se la conoscenza della volontà di vendere da parte della D. fosse stata ben percepita, nei contenuti essenziali, dallo S. , al fine di consentirgli l'esercizio del diritto di prelazione"; contestano, inoltre, che lo S. fosse stato reso edotto del contenuto del preliminare e delle condizioni della vendita soltanto attraverso l'atto stragiudiziale notificatogli dalla Ma. il 7.10.2005, dato che egli aveva già formalmente comunicato la volontà di esercitare la prelazione attraverso la lettera del 3.10.2005 a firma del suo avvocato"; negano, peraltro, che la denuntiatio costituisca un atto riservato esclusivamente al proprietario.
Sotto il profilo dell'omesso esame, i ricorrenti si dolgono della mancata considerazione del comportamento tenuto dallo S. (e, in particolare, del fatto che, fin dal 3.10.2005, egli aveva già comunicato la propria volontà di esercitare la prelazione) e censurano la Corte per aver valorizzato il dato della mancata denuntiatio da parte della proprietaria per respingere la domanda dei promissari acquirenti, salvo poi accogliere la domanda del prelazionario ritenendo che, a prescindere da una formale denuntiatio, lo S. fosse stato posto comunque in condizione di conoscere il contenuto della proposta.
2.2. Il terzo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 38 l. n. 392/8 e degli artt. 1362, 1366, 1374, 1375 e 2900 cod. civ.: i ricorrenti assumono che l'"invito stragiudiziale di convocazione ai fini dell'esercizio del diritto di prelazione" notificato dalla Ma. allo S. era volto a "richiedere per il caso di concreto esercizio del diritto di prelazione, il rimborso del prezzo già versato" e non poteva essere considerato una denuntiatio (ritenuta invalida in quanto non proveniente dalla D. ) "posto che l'interpello del conduttore era già avvenuto ad opera della proprietaria".
2.3. Col quarto motivo (che denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 38 l. n. 392/78 e l'omessa motivazione circa un fatto decisivo), i ricorrenti evidenziano che, "pur non avendo espressamente apprezzato l'avvenuta comunicazione della propria volontà di vendere da parte della (...) D. al conduttore" e "dopo aver ritenuto l'invalidità assoluta della notifica stragiudiziale del 7.10.2005", la Corte aveva affermato, "contraddittoriamente, che lo S. aveva comunque acquisito la conoscenza del contenuto del preliminare del 25.07.1997 e, su tale premessa, (aveva) ritenuto che lo stesso potesse ancora esercitare il diritto alla prelazione, come manifestato nella comparsa di costituzione di I grado, con volontà ribadita in appello"; sotto altro profilo, evidenziano che "la notifica della volontà di avvalersi del diritto di prelazione, posta in essere con la notifica della comparsa di costituzione in giudizio, (...) è avvenuta oltre i 60 giorni dalla conoscenza degli elementi essenziali del preliminare da parte del conduttore e, comunque, senza che a tale volontà sia seguita, entro il termine di trenta giorni, l'offerta del prezzo di vendita" (non avvenuta neppure nel corso del giudizio), essendosi pertanto determinata una decadenza, già eccepita dai coniugi Ma. -M. e, comunque, rilevabile d'ufficio.
3. I motivi meritano di essere accolti, nei termini che si vanno ad illustrare.
3.1. Questo l'iter logico-giuridico che emerge dalla sentenza impugnata:
la Corte ha affermato che la denuntiatio deve provenire dal proprietario locatore, ritenendo pertanto che il primo giudice avesse erroneamente dichiarato la decadenza dello S. dall'esercizio della prelazione;
ha rilevato -peraltro- che, pur in difetto di trasmissione del preliminare, il conduttore era venuto a conoscenza di quel contratto "già prima dell'inizio del giudizio" e che detta conoscenza "è poi divenuta comunque pacifica a seguito dell'introduzione della causa, ove lo S. ha (...) manifestato l'intenzione di esercitare il diritto di prelazione";
svolte, poi, ampie considerazioni sul "patto di prelazione", sulla sua natura di preliminare unilaterale sottoposto alla condizione potestativa di voler vendere il bene e sulla irrevocabilità della proposta di vendita in pendenza del termine in cui il prelazionario può manifestare la propria volontà di rendersi acquirente, la Corte ha affermato che, avvenuta la dichiarazione di voler acquistare, deve ritenersi consentita la tutela in forma specifica di cui all'art. 2932 cod. civ.;
tanto premesso, ha affermato che "nulla esclude che il verificarsi della condizione che innesca il meccanismo possa riscontrarsi anche a prescindere dalla denuntiatio, mezzo normalmente adeguato ma non esclusivo"; ha precisato che "l'obbligo di denunzia è imposto ma, nell'economia del negozio, a ben vedere non è indispensabile alla conclusione dell'iter, posto che il suo inadempimento non può lasciare senza tutela il prelazionario", dovendosi riconoscere "un rimedio attuativo dell'obbligo di preferire consentendo un trasferimento diretto in favore del prelazionario senza dover attendere il momento solo sanzionatorio";
ha concluso che "anche a prescindere da una formale denuntiatio il prelazionario, in presenza del verificarsi della condizione -ossia della manifestata e perdurante decisione del promittente di concludere il contratto- quindi ben può esperire il rimedio generale di cui all'art. 2932 c.c.", con "possibilità da parte del prelazionario di "sostituirsi" al terzo facendo valere il suo diritto (di fonte legale e quindi opponibile) ad essere preferito a fronte dell'altrui obbligo a vendere, ormai resosi efficace".
3.2. La ricostruzione dell'istituto della prelazione urbana sottesa alla pronuncia, secondo l'iter motivazionale testé richiamato, non è condivisibile, in quanto non tiene conto della chiara sequenza prevista dal legislatore agli artt. 38 e 39 l. n. 392/78, che si articola nelle seguenti fasi:
comunicazione al conduttore dell'intenzione di vendere, con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, contenente l'indicazione del corrispettivo e delle altre condizioni di vendita e l'invito a esercitare o meno la prelazione (art. 38, commi 1 e 2);
manifestazione dell'eventuale volontà di esercitare la prelazione, da effettuare con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione e con offerta di condizioni uguali a quelle comunicate (art. 38, comma 3);
versamento del prezzo da effettuarsi -salva diversa condizione indicata nella comunicazione del locatore- entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla scadenza dell'originario termine di sessanta giorni e contestualmente alla stipulazione del contratto di compravendita o del preliminare (art. 38, comma 4);
facoltà di esercitare il riscatto -entro sei mesi dalla trascrizione del contratto di vendita- nell'ipotesi che il proprietario non abbia proceduto alla denuntiatio o il corrispettivo in essa indicato sia superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento (art. 39, comma 1);
versamento del prezzo entro il termine di tre mesi computato secondo le decorrenze alternative indicate dall'art. 39, commi 2 e 3.
3.3. All'interno di questa sequenza non v'è spazio per un esercizio della prelazione che prescinda dalla denuntiatio del proprietario; né v'è possibilità di ipotizzare -come ha fatto la Corte di merito- l'esistenza di un patto di prelazione che consenta di ritenere concluso un preliminare di vendita per effetto della persistenza della decisione di vendere e della manifestazione della volontà di acquistare da parte del prelazionario, sì da poter dare ingresso ad un'azione ex art. 2932 cod. civ..
La Corte ha evidentemente confuso la prelazione legale (di cui si tratta nella presente controversia) con gli effetti di un patto di prelazione, che non è stato mai dedotto in causa e mai è stato riscontrato in fatto, pervenendo erroneamente all'accertamento dell'avvenuta conclusione di un contratto preliminare o, comunque, al riconoscimento della possibilità dello S. di ottenere la tutela in forma specifica di cui all'art. 2932 cod. civ.; il tutto senza considerare che, secondo lo schema tipico della prelazione legale, la conclusione del contratto preliminare avrebbe potuto costituire unicamente lo sbocco dell'avvenuto esercizio della prelazione e non avrebbe potuto prescindere -a monte- dalla denuntiatio del proprietario e dall'offerta, da parte del prelazionario, di condizioni uguali a quelle comunicategli.
Comparando la vicenda all'iter delineato dagli artt. 38 e 39 l. n. 3923/1978, la Corte avrebbe dunque dovuto accertare se -e, in ipotesi, quando- fosse avvenuta la denuntiatio da parte della D. , valutando anche se, in considerazione della peculiarità della vicenda (che ha visto lo S. interagire prevalentemente con i promissari acquirenti e in cui le comunicazioni afferenti l'esercizio della prelazione sono avvenute quasi esclusivamente in ambito giudiziale, anziché in quello stragiudiziale, come prefigurato dal legislatore) fosse comunque risultata integrata una conoscenza delle condizioni della vendita, equipollente a quella retraibile da una denuntiatio del proprietario (cfr. Cass n. 2721/1987, Cass. n. 11552/1998 e Cass. n. 11776/2002, che ammettono, seppure entro limiti rigorosi, la possibilità di "modalità equipollenti"), tale da porre il conduttore in condizione di determinarsi in ordine all'esercizio della prelazione e da far decorrere il relativo termine legale.
Un siffatto accertamento -riservato al giudice di merito- si pone come necessariamente pregiudiziale a ogni altra statuizione, aprendo la strada a esiti processuali diversi o addirittura opposti.
È evidente, infatti, che l'accertamento negativo sull'effettuazione della denuntiatio (o sull'adozione di modalità ad essa equipollenti) comporta che il conduttore non possa essere considerato decaduto dall'esercizio della prelazione e conservi, in caso di vendita a terzi, la possibilità di riscattare l'immobile (non esiste, invece, un "rimedio attuativo" dell'obbligo di preferire" che, in difetto dell'osservanza delle prescrizioni dell'art. 38 l. n. 392/1978, consenta al conduttore un trasferimento diretto, senza dover attendere il momento "sanzionatorio" dell'esercizio del riscatto).
Al contrario, ove sia risultato comunque attivato il meccanismo per l'esercizio della prelazione, dovrà valutarsi se il prelazionario abbia manifestato tempestivamente la propria volontà e, in caso affermativo, se abbia anche provveduto al versamento del prezzo nel termine prescritto: è certo, infatti, che il pagamento non possa essere effettuato -o formalmente offerto, in caso di rifiuto del venditore (cfr., per tutte, Cass. n. 9401/1999)- oltre il termine di trenta giorni successivo alla scadenza del termine assegnato per la manifestazione della volontà di esercitare la prelazione.
3.4. La sentenza va pertanto cassata, con rinvio alla Corte di merito che, in diversa composizione, dovrà rivalutare la vicenda alla luce delle considerazioni che precedono e dei seguenti principi di diritto:
"la denuntiatio di cui all'art. 38 l. n. 392/1978 deve provenire dal locatore proprietario ed essere effettuata con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, fatta salva la possibilità che risultino accertate, in concreto e in modo univoco, modalità equipollenti di comunicazione che abbiano posto il conduttore in condizione di esercitare la prelazione e che siano tali da consentire la verifica della tempestività di tale esercizio";
"l'esercizio della prelazione di cui all'art. 38 l. n. 392/1978 deve essere effettuato dal conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario o di atto che, in concreto e univocamente, sia accertato come idoneo a informare il locatore, in modo certo e documentato, della volontà del conduttore e che consenta di verificare la tempestività della comunicazione e del successivo versamento del prezzo";
"in difetto di denuntiatio (o di modalità accertate come effettivamente equipollenti), non può riconoscersi al conduttore il diritto al trasferimento del bene, che potrà essere fatto valere unicamente a mezzo dell'esercizio del succedaneo diritto di riscatto, una volta che sia avvenuto il trasferimento a terzi in violazione della prelazione".
4. Il quinto motivo (che deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218 e ss. cod. civ. e dell'art. 278 cod. proc. civ., nonché l'"omessa motivazione circa un fatto decisivo") censura la sentenza nella parte in cui ha rigettato l'appello incidentale proposto dai coniugi Ma. -M. avverso il mancato riconoscimento del risarcimento del danno a carico della D. per il ritardo con cui essi avevano potuto disporre dell'immobile.
4.1. Il motivo è assorbito dall'accoglimento delle censure relative all'esercizio del diritto di prelazione, in quanto il nuovo accertamento sul punto potrebbe incidere sull'accertamento di eventuali responsabilità della D. per il mancato trasferimento del bene ai promissari acquirenti.
5. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di lite di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione.
Avv. Antonino Sugamele

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