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Sentenza

Espropriazione: Indennità provvisoria di esproprio e decadenza dall’azione....
Espropriazione: Indennità provvisoria di esproprio e decadenza dall’azione.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 13 gennaio – 6 marzo 2017, n. 5517
Presidente Giancola – Relatore Marulli

Fatti di causa

1. Con ricorso notificato il 18.1.2013 i ricorrenti P. , nonché la P. s.n.c. - i primi in quanto già proprietari di distinti cespiti oggetto di distinte procedure di esproprio con decreti contenenti altresì la determinazione provvisoria della relativa indennità, la società in quanto affittuaria dell'immobile espropriato - giudicando le predette indennità largamente insufficienti e sottostimate, adivano la Corte d'Appello di Roma onde sentir determinare giudizialmente l'indennità dovuta a fronte del patita ablazione "nella misura ed in funzione dell'effettivo valore di mercato dei beni espropriati".
Il giudice distrettuale, all'esito dell'incardinato giudizio - nel corso del quale si costituivano la Metro C s.c.p.a. e la Roma Metropolitane s.r.l. mentre non si costituiva Roma Capitale - rilevando che il ricorso depositato il 12.1.2012, a seguito del decreto di fissazione dell'udienza di comparizione per il 26.4.2012, era stato notificato a Roma Capitale il 26.3.2012, oltre, dunque, il termine dell'art. 702-bis cod. proc. civ., dichiarava previamente improcedibile la domanda nei confronti di quest'ultima in difetto della sua costituzione.
Dichiarava invece inammissibile la domanda nei confronti delle altre due convenute, che costituendosi avevano sanato il rilevato vizio notificatorio, in quanto la proposizione del ricorso contro costoro era avvenuta fuori termine, atteso che, essendo stati i decreti impugnati notificati il 26.10.2011, il ricorso depositato il 12.1.2012 doveva appunto reputarsi tardivo essendo stato proposto oltre il termine di trenta giorni statuito dall'art. 29, comma 3, D.lgs. 1 settembre 2011, n. 150. A nulla rilevava in contrario, a giudizio del decidente, la circostanza che nella specie non fosse stata ancora determinata l'indennità definitiva di esproprio e che i ricorrenti avessero inteso richiedere, in ragione di ciò e nella persistente inerzia della competente Commissione Provinciale, la determinazione giudiziale di essa in relazione alla quale non era previsto alcun termine, atteso che l'argomento, replicando le ragioni già fatte proprie da Corte cost. sent. n. 67 del 1990, trovava risposta, nel vigore della novellata disciplina della materia ad opera del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nell'art. 22, comma 4 di tale decreto, disposizione che, rimandando nel caso di disaccordo sulla stima al procedimento di determinazione di cui al precedente art. 21, "pare disporre che, quanto all'indennità provvisoria, determinata in via d'urgenza, all'espropriato sia preclusa qualsivoglia opposizione, potendo esclusivamente chiedere la nomina dei tecnici ai sensi dell'art. 21 D.P.R. 327/01"; così come del pari non era "percorribile un'interpretazione costituzionalmente orientata" dell'art. 21 al fine di addivenire "immediatamente" ad una determinazione definitiva del'indennità dovuta, stante appunto il disposto dell'art. 22 citato che consente ora all'espropriato "di chiedere la nomina dei tecnici ai sensi del precedente art. 21".
2. La cassazione dell'impugnata decisione è ora chiesta dai ricorrenti affidandosi a tre motivi di ricorso.
Ad essi replicano tutti gli intimati con controricorso.
Hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ. i ricorrenti, nonché Roma Capitale e Roma Metropolitane s.r.l..

Ragioni della decisione

1.1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti P. si dolgono della duplice violazione di legge in cui ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. è incorso il giudice adito nel dare applicazione agli artt. 29 D.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 e 22, comma 4, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, posto che, contrariamente a quanto da esso statuito, ferma in fatto la circostanza che nella specie non era stata ancora operata una determinazione in via definitiva dell'indennità, in relazione alla prima delle norme richiamate, andava osservato che, a fronte della rilevata circostanza di fatto, "non può iniziare a decorrere alcun termine di decadenza di trenta giorni, la cui decorrenza è invece indissolubilmente ancorata esclusivamente alla notifica della indennità definitiva di esproprio", sicché nel caso di una stima solo provvisoria, "in mancanza di una diversa previsione di legge e soprattutto in mancanza della previsione di uno specifico termine di decadenza, il termine a disposizione del proprietario per la proposizione del giudizio di opposizione alla stima è inevitabilmente quello decennale previsto per la prescrizione ordinaria", con il conclusivo effetto che non poteva perciò ritenersi tardiva l'opposizione proposta dai ricorrenti oltre il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio, ma prima della determinazione dell'indennità definitiva; in relazione alla seconda delle norme anzidette si rendeva assorbente la considerazione che la nomina dei tecnici previsti dall'art. 21 d.P.R. 327/01, a cui rimandava l'art. 22, comma 4, nel caso di disaccordo sull'indennità provvisoria, "rappresenta non un obbligo, ma semplicemente una mera facoltà di cui il proprietario è libero di avvalersi o meno", di talché essa "non può impedire che il proprietario, in presenza del decreto di esproprio e prima che sia determinata l'indennità definitiva di esproprio" possa esercitare il diritto ad opporsi nella forma della domanda giudiziale della stessa.
1.2. Il motivo - in relazione alla proposizione del quale va rilevato il difetto di legittimazione attiva della P. s.n.c., in quanto l'opposizione all'indennità di esproprio è preclusa a chi sia semplicemente titolare, come la detta società, di un diritto relativo di godimento sul bene che ne è oggetto - è fondato e va dunque accolto.
La Corte d'Appello ha ritenuto tardivo il ricorso proposto dai P. avverso la stima dell'indennità provvisoria loro comunicata ai sensi dell'art. 22, comma 1, d.P.R. 327/01, in uno con la notificazione del decreto di esproprio, nella convinzione che l'opposizione in tal modo proposta, pur non avendo ad oggetto la determinazione in via definitiva dell'indennità dovuta, fosse comunque soggetta all'osservanza del termine previsto dall'art. 29, comma 1, D.lgs. 150/01. Ed, in replica all'obiezione che il termine in questione non è applicabile al caso dell'indennità provvisoria, ha creduto di poter osservare che, assicurando l'ordinamento agli interessati gli adeguati mezzi di tutela - nella specie individuati nell'attivazione del procedimento di stima previsto dall'art. 22, comma 4, d.P.R. 327/01 - "quanto all'indennità provvisoria, determinata in via d'urgenza, all'espropriato sia preclusa qualsivoglia opposizione, potendo esclusivamente chiedere la nomina dei tecnici ai sensi dell'art. 21 D.P.R. 327/01".
1.3. Così ragionando il giudice adito è però incorso nel duplice errore di diritto lamentato dagli impugnanti.
Da un lato non si è infatti avveduto che il termine previsto dal citato art. 29, comma 3, D.lgs. 150/11 ("l'opposizione va proposta, a pena di inammissibilità, entro il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest'ultima sia successiva al decreto di esproprio"), in osservanza del quale ha giudicato tardiva l'iniziativa processuale dei ricorrenti poiché, notificati i decreti di esproprio il 26.10.2011, costoro avevano proposto il ricorso per la determinazione giudiziale dell'indennità il 12.1.2002, opera solo in relazione al caso di una stima definitiva dell'indennità, sicché come questa Corte, in relazione all'analoga disposizione recata dal previgente art. 54, comma 2, d.P.R. 327/01 ("L'opposizione di cui al comma 1 va proposta, a pena di decadenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest'ultima sia successiva al decreto di esproprio") ha da ultimo annotato, "non essendo stata determinata la stima definitiva, il termine di decadenza non ha, dunque, neppure iniziato il suo decorso" e "l'azione (di determinazione giudiziale dell'indennità) resta proponibile per l'intera durata della prescrizione decennale, a far tempo dall'emanazione del provvedimento ablatorio" (Cass., Sez. I, 24/05/2016, n. 10720).
Dall'altro, non senza cadere in una vistosa contraddizione, laddove nel fatto di giudicare intempestiva l'azione dei ricorrenti è implicita l'ammissione che una tutela giudiziaria sia anche in questo caso pur sempre possibile, affermando che per la previsione dettata dall'art. 22, comma 4, d.P.R. 327/01 "all'espropriato sia preclusa qualsivoglia opposizione", ha mostrato di trascurare un non secondario dato esegetico - quale è rappresentato dalla locuzione "può chiedere comunque la determinazione giudiziale dell'indennità", che, ad onta del fatto di chiudere la prima parte del comma 1 del citato art. 54, apre la via ad una più estesa tutela giudiziaria - e soprattutto di non cogliere in tutta la sua efficacia precettiva la portata del dictum di costituzionalità enunciato da Corte cost. sent. n. 67 del 1990 - che, si ricorderà, aveva dichiarato l'illegittimità dell'art. 19, comma 1, l. 22 ottobre 1971, n. 865, come modificato dall'art. 14 l. 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui non consentiva che in caso di espropriazione il proprietario del bene e gli altri interessati possano agire in giudizio per la determinazione dell'indennità loro dovuta per contrasto con l'art. 24 Cost. - e della quale invece si era mostrato ben conscio il legislatore dell'art. 22 d.P.R. 327/01, allorché, nel rimandare al rimedio previsto dal precedente art. 21, non a caso si era espresso in termini facoltativi ("Se non condivide la determinazione della misura della indennità di espropriazione, entro il termine previsto dal comma 1 l'espropriato può chiedere la nomina dei tecnici, ai sensi dell'articolo 21 e, se non condivide la relazione finale, può proporre l'opposizione alla stima"). Che del resto l'art. 54 citato, nella parte in commento, comprenda due azioni a tutela dell'espropriato è opinione ben salda nella giurisprudenza di questa Corte che anche di recente, in motivazione, ha ribadito che "l'azione di determinazione giudiziale dell'indennità di esproprio è, dunque, testualmente prevista dalla norma in esame, in aggiunta a quella di opposizione alla stima, come attestato dal contestuale utilizzo della congiunzione e dell'avverbio "e comunque"" e "costituisce la codificazione del principio, costantemente affermato da questa Corte (Cass. n. 17604/2013; 11406/2012; 20997/2008; 11054/2001), secondo cui, una volta emanato il provvedimento ablativo sorge contestualmente, ed è per ciò stesso immediatamente azionabile, il diritto del proprietario a percepire il giusto indennizzo di cui art. 42 Cost., che si sostituisce al diritto reale, va determinato in riferimento alle caratteristiche del bene alla data del provvedimento, e non è subordinato alla liquidazione in sede amministrativa". (Cass., Sez. I, 9/11/2016, n. 22844).
2.1. Con il secondo motivo di ricorso i P. fanno rilevare ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. la contrarietà dell'impugnata decisione, nella parte in cui ha dichiarato improcedibile la domanda nei confronti di Roma Capitale, all'art. 702-bis, comma 3, cod. proc. civ., poiché la tardiva notifica del ricorso e del decreto di comparizione addotta dal decidente a fondamento di detta dichiarazione, "non comporta infatti né la decadenza del ricorrente da alcun termine né tanto meno alcuna ipotesi di inammissibilità e/o di improcedibilità del ricorso", di modo che, una volta ritenuti applicabili nella specie gli artt. 164 e 291 cod. proc. civ., il giudice adito avrebbe dovuto in accoglimento della richiesta formulata dalla loro difesa, "fissare una nuova udienza di comparizione con concessione di un nuovo termine per la notifica del ricorso e del decreto".
2.2. Il motivo è fondato e la sua fondatezza assorbe il terzo motivo di ricorso, giusta il quale i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 29, comma 4, D.lgs. 150/11, poiché il giudice territoriale anziché dichiarare improcedibile il ricorso nei confronti di Roma Capitale avrebbe dovuto verificarne preliminarmente "la legittimazione passiva ", con la conseguenza che in caso negativo ne avrebbe dovuto dichiarare il relativo difetto.
2.3. Quanto al motivo accolto va osservato che, sebbene trattasi di un procedimento speciale, il procedimento disciplinato dagli artt. 702-bis e segg. cod. proc. civ. costituisce un modello processuale alternativo al processo di cognizione ordinaria, al quale esso si affianca replicandone le finalità in quanto anche "per questa via si perviene all'accertamento del diritto come vi si giunge attraverso la via tracciata dagli articoli 163 ss. c.p.c." e dal quale tuttavia si differenzia sotto i tratti distintivi di una trattazione e di un istruttoria ispirata al principio di un'accentuata semplificazione. Di ciò è traccia, significativamente, nella regolazione della fase introduttiva del giudizio che adotta la forma del ricorso e contiene in termini volutamente brevi i tempi di instaurazione del contraddittorio, ma nella fedeltà alla comune radice che lo lega al modello della cognizione ordinaria si dà cura di prescrivere che il ricorso "deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e l'avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma articolo 163". Questo dà modo di credere, sebbene sul punto la disciplina di legge risulti alquanto laconica, che in caso di inosservanza dei requisiti afferenti tanto all'editio actionis che alla vocatio in ius si renda senz'altro applicabile, allorché il convenuto non si costituisca e non sani con la propria costituzione il vizio rilevato, la regola della rinnovazione dell'atto introduttivo nullo ai sensi dell'art. 164 cod. proc. civ. con l'assegnazione da parte del giudice di un termine perentorio per provvedere ad una nuova notificazione.
2.4. In questi termini si è del resto già espressa questa Corte (Cass., Sez. II, 29/09/2015, n. 19345) non solo rilevando la piena applicabilità al procedimento di cognizione sommaria dell'art. 164 citato, nella specie enunciata in relazione al caso del mancato avvertimento di cui all'art. 163, comma 3, n. 7, cod. proc. civ. rispetto al quale la Corte, prendendo atto della costituzione del convenuto, ha ritenuto per l'appunto applicabile l'art. 164, comma 3, cod. proc. civ. Ma anche osservando con più diretto riferimento al caso che ne occupa - anche nella fattispecie affrontata nell'occasione era stata dedotta la perentorietà del termine previsto per la notificazione del ricorso - che la situazione processuale che in tal caso si delinea è del tutto sovrapponibile, in quanto in entrambi i casi si tratta di un procedimento in unico grado di merito introdotto con ricorso, a quella che è stato oggetto di un pertinente arresto delle Sezioni Unite, "le quali hanno affermato, con sentenza n. 5700/14, che in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza alla controparte non è perentorio, non essendo previsto espressamente dalla legge. Ne consegue che il giudice, nell'ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, può, in difetto di spontanea costituzione del resistente, concedere al ricorrente un nuovo termine, avente carattere perentorio, entro il quale rinnovare la notifica".
2.5. È dunque di chiara evidenza l'errore processuale in cui si è imbattuto il giudice di merito allorché, di fronte alla notificazione alla convenuta Roma Capitale del decreto di fissazione fuori termine e alla mancata comparizione di costei all'udienza fissata, in luogo di assegnare ai ricorrenti un nuovo termine per procedere alla rinnovazione della notifica nell'osservanza dei tempi previsti dall'art. 702-bis, comma 3, cod. proc. civ., ha invece ritenuto puramente e semplicemente improcedibile il ricorso giudicando erroneamente perentorio il termine per la notificazione e violando quindi la regola della rinnovazione.
3. Il ricorso va dunque accolto e l'ordinanza impugnata andrà doverosamente cassata con rinvio della causa avanti al giudice territoriale competente per la rinnovazione del giudizio a mente dell'art. 383, comma 1, cod. proc. civ..

P.Q.M.

accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo; cassa l'impugnata ordinanza in relazione ai motivi accolti e rinvia avanti alla Corte d'Appello di Roma che in altra composizione provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Avv. Antonino Sugamele

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